Da un certo tempo in poi qualcosa era cambiato nella vita di Leuco. Nei suoi sogni notturni non erano più apparsi i suoi cari defunti: i genitori, gli insegnanti, gli amici.
In tutta l’Iiade, il greco Leuco è nominato una sola volta, nel libro quarto, quando alla ripresa della battaglia tra Achei e Troiani egli viene ucciso da Antifo, figlio di Priamo. Viene ucciso per sbaglio perché la lancia che l’ha ferito era invece indirizzata contro Aiace. Leuco viene colpito mentre cerca di trascinare fuori dalla mischia un morto greco, per salvarlo dalla spoliazione dei nemici. Il morto scivola dalle mani di Leuco e lui, trafitto, cade su quel cadavere. Di quella salma Omero dice: “morto” e niente altro. Leuco ha presentito la sua morte molto tempo prima, quando viveva a Itaca e non c’era ancora nessuna avvisaglia della guerra di Troia. Allora la vita di Leuco si svolgeva quietamente nel rinnovarsi delle stagioni col germoglio dei fiori, la maturanza dei frutti, l’oro dei boschi autunnali e il loro pudico spogliarsi nell’inverno. Un giro degli anni accompagnato da Anna, la moglie di Leuco, con il suo sapiente accendere il fuoco, cucire, coltivare l’orto e leggere a voce alta, all’unisono con Leuco, il libro della sera. Ma da un certo tempo in poi qualcosa era cambiato nella vita di Leuco. Nei suoi sogni notturni non erano più apparsi i suoi cari defunti: i genitori, gli insegnanti, gli amici. Erano invece sopravvenute solo occasionali conoscenze, per lo più riferite alla sua infanzia: il gobbo dell’edicola dei giornali. La coppia di vecchi che dava da mangiare ai gatti della strada. La venditrice di modelli da sartoria che, una volta all’anno, veniva a trovare sua madre. Tutte persone con le quali Leuco aveva scambiato rare parole, forse qualche saluto e basta. Poi era cessata anche la processione di quei periferici personaggi e nei suoi sogni erano apparsi solo sconosciuti, uomini e donne che egli non aveva mai incontrato. Da allora Leuco aveva avuto paura della morte. Nell’aldilà non avrebbe incontrato i suoi genitori, nè il gobbo dell’edicola? Sarebbe stato sgomento in mezzo a una folla di ignoti che non aprivano bocca e che forse erano assolutamente muti? Quando Leuco riceve la cartolina di Agamennone con l’ordine di presentarsi alle armi la sua paura della morte sale di grado. Nessuna dolcezza di Anna
serve a lenire il suo batticuore. La preparazione della sua partenza è all’insegna della necessità di essere riconosciuto in ogni modo, sia da vivo che da morto. Tutto ciò che finisce nella sua valigia ha questo scopo: il gilet col davanti di velluto rosso e il didietro di lucido satin che Leuco aveva sovente indossato nella sua parte di suggeritore, nella giovanile compagnia teatrale che lui stesso aveva costituito assieme ai suoi amici più cari. Tutti coloro che avevano assistito alle sue rappresentazioni non avrebbero avuto difficoltà a riconoscerlo. A teatro si faceva chiamare Re Lear. Nell’aldilà ci sarebbe stato qualcuno che gli sarebbe venuto incontro a braccia aperte gridando con gioia: Re Lear, Re Lear…? O nell’Ade anche la gioia sarebbe stata negata? Nella valigia entrano anche l’orologio di suo padre, la forbice di sua madre, il punteruolo da calzolaio di suo nonno materno, il regolo calcolatore di…la palla d’avorio da bigliardo di…una pietra levigata dal fiume, il tomo di una vecchia enciclopedia, ed ancora fili da cucire, matite da disegno, esemplari di minerali, polvere d’oro, sabbia, cenere…tutto, tutto ciò che può farlo riconoscere: “Re Lear, Re Lear…sei tu , sei proprio tu?” Leuco parte per la guerra con la valigia strapiena, tanto pesante quasi da staccargli il braccio e nell’altro braccio il grande ombrello di tela verde, con il quale si ripara dalla pioggia autunnale quando va in cerca di funghi. Anna lo accompagna fino alla stazione, piangendo a dirotto, tirandolo per le maniche, implorandolo di non presentarsi, di scappare, di nascondersi. E lui, zitto. Ma in vista della stazione Anna diventa di sasso: “Non scrivermi.” dice guardando a terra “ Non scrivermi mai. Torna e basta!” e voltasi corre via lasciando Leuco come un altro sasso, con la valigia a terra e l’ombrello posato sulla valigia. Quando Leuco arriva davanti alle mura di Troia il vento solleva turbini di sabbia. Immediatamente lui si getta nella mischia, in mezzo al sangue e alle grida. Ma nessun chiama: “Re Lear, Re Lear…!”. Accecato dalla sabbia Leuco si fa avanti agitando il suo ombrello senza badare a difendersi o a risparmiarsi. Senza badare ad Antifo, figlio di Priamo, che palleggiando l’asta prende di mira Aiace e, contro quel principe acheo, scaglia il ferro. Antifo sbaglia, la sua asta si pianta nella pancia di Leuco. Il povero Leuco che in quel momento ha preso tra le braccia un morto greco e cerca di tirarlo fuori dalla mischia. Un morto che non sa chi è, che resterà sconosciuto per sempre, uno dei tanti ignoti che aspettano Leuco nell’adilà, indifferenti al pianto di Anna che si caccia in bocca il fazzoletto perché nessuna la senta singhiozzare: “Re Lear, Re Lear…”
Bibliografia. Omero Iliade, quarto libro. Traduzione di ignoto rinvenuta nei depositi della biblioteca comunale della Mortola (Bordighera)