Primo episodio. La mamma invece di tossire sospira, un sospiro piccolo, piccolo, da scricciolo e chiude gli occhi. Chiude gli occhi per sempre.
Scena prima. (In casa di Cenerentola)
Mà mà màm mamàm mammà… singhiozzo perché mia madre, nonostante mio padre sia il più bravo accordatore di violini del paese, si è ammalata di tosse. Tosse di petto, una tosse che spasima tutta la notte. Mio padre è disperato, in punta di piedi va avanti e indietro leggendo il suo libro di preghiere: vobiscum,voiscum,vobiscum…finchè il lumino della candela d’improvviso si spegne. Chi ha soffiato? La tosse di mia madre? Mia madre non tossisce più. Miracolo! Macchè miracolo! La mamma invece di tossire sospira, un sospiro piccolo, piccolo, da scricciolo e chiude gli occhi. Chiude gli occhi per sempre.
Papà,papà… Mio padre ha ripreso a pregare: requiem aeternam dona eis, Domine…!!!
Ieri mia madre mi aveva chiamato con un filo di voce. “Ascolta…” “Ti ascolto…” “Vieni più vicina, non ho più fiato.” Mi ero chinata su di lei.
”Camola!” così mi chiamava quando ero bambina e mi faceva le trecce. “Io?” “Sì, tu, Camola” mi aveva toccato con la mano gelata. Voleva accarezzarmi? “Camola…” Finsi di sbattere due piccole ali che non avevo. “Io…?” “Non temere…” Mi si piegavano le ginocchia e tutto mi ballava intorno, la porta e la finestra mi parevano capovolte “Ti veglierò dal cielo.” “Il cielo…?” Guardai in alto: il soffitto, le travi annerite, le cipolle appese, i mazzi di fiori secchi, le gabbie degli uccelli. “E’ là che mia madre era destinata? Nella gabbia che era stata abitata dalla cornacchia? Il soffitto è il mio cielo, il cielo amico che posso toccare arrampicandomi su una sedia e poi sul comò. L’altro cielo, sopra il tetto, mi fa paura, troppo lontano. È di là che viene l’inverno, i temporali, le nubi, i fulmini. Guardai mia madre negli occhi ed il suo sguardo mi accolse come la mano che mi porgeva da bambina. “Camolina…” “Dove andrai, mamma?” “Nella gabbia della cornacchia.” E riprese a tossire nascondendo la faccia nel cuscino.
Scena seconda. (Nevica come non è mai nevicato)
Da quando mia madre non c’è più la neve non smette di cadere. Giorni e giorni di neve, cioè giorni e notti come se il cielo volesse cancellare il mondo. Io e mio padre stiamo dietro la finestra. Siamo sgomenti! In silenzio, poco a poco, la neve copre le siepi, gli alberi, le case. Qualche casa dà ancora segno di sé con la banderuola segnavento che spunta appena dalla coltre nevosa. Non possiamo più uscire, neppure per andare al cimitero. Contro la porta c’è una montagna di neve e sopra la neve appaiono le volpi in cerca di cibo. Volpi, ma anche gatti randagi che fanno coppia con le volpi avendo letto il libro di Pinocchio, sperando che l’unione dia loro la fortuna di trovare qualcosa da rosicchiare. Come facciamo a vivere con tutta questa neve? Mio padre guarda il calendario e scuote la testa: “Marzo è ancora lontano. Fino a marzo il sole sarà debole e non scioglierà la neve.” “Marzo...?” “Già, marzo. Almeno fino a san Giuseppe.” “San Giuseppe è il diciannove di marzo.” “Già, il diciannove marzo.” Intanto nevica e nevica e delle volpe e dei gatti affondati nella neve si vedono solo le punte delle orecchie.
Scena terza. (Arriva una carrozza)
Finalmente è il diciannove di marzo e finalmente il sole sorge limpido sopra gli alberi del bosco. Che tiepidi raggi, nuovi di zecca! La neve se ne va in acqua. Le strade sono di nuovo buone con un fondo di ghiaia scricchiolante. D’improvviso, sulla strada, un gran clangore di padelle e coperchi percossi ed un gran sventolio di penne di gallina. “Che diavolo?”
Una vecchia carrozza verniciata di blu si arresta davanti alla nostra casa. Anche il cavallo è colorato di blu. “Padre, corri, corri, vieni a vedere!!!” “Chi c’è?”. Mio padre schiude la porta. Oooh..! Mai ho visto un simile equipaggio! “Oooh…!” Un cavallo blu, una carrozza blu tanto carica che le ruote sono schiacciate in forma ovale e la coppiglia del mozzo è un povero filo di ferro.. Ma carica di che? Pentole, padelle, penne di gallina? Il cavallo s’inchina. “Oooh…!” Solleva la zampa. Oooh…! Ha le unghie sporche! “Bonjour monsieur e mademoiselle!.” Mi ha chiamata mademoiselle. Che cavallo ossequioso! “Es que vous avez un peu du pain?” “Pain?” Un cavallo blu che chiede un pezzo di pane! “Oui, si est possibile une baguette.” L’equipaggio viene dalla Francia? Dalla corte del re Luigi…che Luigi? tredicesimo, quattordicesimo…mah? Non ho il conto dei re di Francia. Mio padre s’inchina a sua volta. “Monsieur cheval, es que vous avez dans la voiture? “Une reine!” “Oooh! Parbleu” “Parbleu à vous! Avete, oui o non, un pezzo di pane?” “Javol, Abbiamo un pezzo di pane.” “Danke!” Chissà perché parliamo in francese e tedesco? Forse il cavallo blu mi mette soggezione. Oooh…si spalanca la carrozza ed appare la regina! Un manico di scopa! I capelli dritti in alto come la saggina della ramazza. Una testa zeppa di bigodini, mollette, forchette invece di pettini, invece di nastri cordacce strette intorno a ciuffi ispidi che le scendono fin sugli occhi come se non avessero forza di stare su. Quella non s’inchina. Anzi, leva il mento, tira su col naso, socchiude gli occhi e sibila: “Chi siete voi?”
Bibliografia
Jakob e Wilhem Grimm. Cenerentola.
Manoscritto scomparso sotto la straordinaria pioggia che allagò Berlino nell’ottobre del 1805. La presente stesura è la versione orale tramandata attraverso la servitù della famiglia Grimm.
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