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 Usellino se ne va, valica il Vesuvio, traghetta il Trasimeno, si ferma a Colleferro per una boccata d’aria, arriva a Roma sudato fradicio. Lavora come lucidascarpe, mangia e beve nel retrobottega di qualche caritatevole.

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itemi voi se vale la pena raccontare vecchie storie. Non sarebbe meglio lasciare i morti dove stanno, sotto terra? Già c’è il cippo di marmo col loro nome. Chi passa può togliersi il cappello e inchinarsi. “Salve! Come si sta di là?”

Ma Usellino Caputo non lo ricorda nessuno. Eppure è stato uno dei patrioti di Carlo Pisacane, preso a fucilate dai Borboni appena messo piede sulla spiaggia di Sapri. Nessuno ricorda se quel giorno c’era sole o brutto tempo, se c’era bonaccia o mare mosso, se gli uccelli cantavano sugli alberi o becchettavano tra l’erba, se qualche filosofo interrogava le onde e si rispondeva da sé. Dico io: “C’era solleone e le cicale si sgolavano per coprire gli spari della battaglia. Trecento garibaldini contro mille Borboni. Non so quanti anni avesse Usellino: sedici, diciotto, venti? Giovane, giovane. Dite voi se chi muore giovane non sia caro agli dei.”

Usellino era nato sui monti Irpini, sotto il dominio dei Borboni. Suo padre non sapeva né leggere né scrivere, sua madre peggio, faceva di conto sulle dita delle mani e dopo il dieci non c’erano più numeri ma solo l’abisso dell’infinito.

Usellino fa il chierichetto e tra una Messa e l’altra il parroco gli insegna l’alfabeto, come si legge e come si scrive: Ambarababbaciccoccò… Usellino impara subito perché ha la testa da gatto furbo: Ambarababbaciccococcò…Per via di un tomo strapesante il ragazzo viene a sapere come Dio ha fatto il mondo: fiat lux! e impara che le persone sono terra e terra ritorneranno: pace amen! Per fortuna oltre il “fiat lux” negli armadi della sacrestia, vi sono ben altri libri. C’è la Divina Commedia rilegata in cuoio marocchino. Usellino la consuma con gli occhi: “Era già l’ora che volge il desio ai navicanti…Amor ch’a nullo amato amor perdona…Fatti non foste a viver come bruti ma per seguir virtute e conoscenza!”

Un fulmine precipita nell’animo di Usellino: virtute e conoscenza! Via, via dai boschi Irpini gremiti di cinghiali, via verso l’alto mare aperto percorso da sentieri, stradoni, ponti, picchi da scalare e valli da discendere. Usellino raccoglie due stracci, una treccia di fichi secchi, la Divina Commedia. “Quo vadis?” vorrebbe sapere il parroco. “Non lo so” ribatte il ragazzo che alza il dito dove volano le anitre che vanno chissà dove. “L’angelo ti accompagni!” lo benedice il reverendo e, per viatico, lo affumica d’incenso e mirra.

Usellino se ne va, valica il Vesuvio, traghetta il Trasimeno, si ferma a Colleferro per una boccata d’aria, arriva a Roma sudato fradicio. Lavora come lucidascarpe, mangia e beve nel retrobottega di qualche caritatevole.

Coi primi soldi si paga la scuola serale “Buona volontà”. Studia come un matto: la Terra è tonda, tutt’ al più schiacciata ai poli, le rette parallele non s’incontrano mai: perché, perché non s’incontrano mai? Catone Uticense muore di propria mano: “Libertà va cercando, ch’è si cara, come sa chi per lei vita rifiuta”. Idem Socrate. L’acqua bolle a cento gradi, il ferro arrugginisce per l’ossigeno dell’aria, il cuore pompa il sangue dalla punta dei capelli alle unghie dei piedi, giorno e notte senza mai fermarsi per tutta la vita.

Ma non è tutto, impara la politica dai compagni che studiano con lui. Sotto banco uno gli passa i Canti di Leopardi: “Piangi, che ben hai donde, Italia mia…” Un altro i sonetti del Foscolo: “Un dì, s’io non andrò sempre fuggendo di gente in gente…” Il preside della scuola è Giuseppe Mazzini, ma c’è e non c’è. In fondo all’aula una piccola vedetta lombarda tempera le matite per tutti. Tutti parlano di morire per l’Italia.

Così, quando Carlo Pisacane chiama coloro che hanno cuore, Usellino alza la mano. Si tratta della conquista delle Due Sicilie, Monti Irpini compresi. Chissà se i suoi genitori sono ancora vivi? Chissà se potrà riabbracciarli e avvolgerli nella bandiera tricolore? Lui s’imbarca assieme ad altri giovanotti col fazzoletto rosso al collo: eran trecento eran giovani e forti! E’ il primo a toccare terra sulla spiaggia di Sapri. Non crede ai proprio occhi, altro che sventolare il tricolore: mille addetti della famiglia “Mamma santissima” sono appostati con schioppi e forconi. Biechi sputano a terra. Li comanda una dozzina di ufficiali borbonici inguainati nella divisa bianca con gli alamari blu e rossi. Torvi i mamma santissimi si grattano i coglioni. Un frate di sant’Antonio invoca il Te Deum. Ditemi voi se non è un ufficio funebre. Il capitano degli ufficiali si tocca il berretto. Sparano…! Usellino è il primo a prendere una fucilata in pieno petto. Il suo sangue impetuoso sgorga in forma di rosa senza spine: eran trecento eran giovani e forti e sono morti. Dite voi se a distanza di tanti anni non si debba ancora piangere.

“Usellino, come si sta di là?” Non risponde. E’ proprio morto. A Sapri, la nipote della nipote della nipote della “spigolatrice” va su e giù per la spiaggia raccogliendo conchiglie che vanno avanti e indietro con l’onda. Niente altro: con gli occhi azzurri e coi capelli d’oro..

 

Bibliografia

Luigi Mercantini, La spigolatrice di Sapri. Palermo, 1857

 

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Gli autori di Vorrei
Adamo Calabrese
Adamo Calabrese

Adamo Calabrese è scrittore, autore di teatro e illustratore. Ha pubblicato con Einaudi il romanzo "Il libro del re", con Albatros i libri di racconti "L'anniversario della neve", "La cenere dei fulmini", "Il passaggio dell'inverno", con Joker "Paese remoto". Ha illustrato i propri libri ed edizioni di Dante, Gibran e Pascutto. Scrive e disegna per il quotidiano "Il cittadinio" di Lodi, per le riviste "Vorrei" di Monza e "Odissea" di Milano. I suoi ultimi lavori teatrali hanno messo in scena opere di Brecht, Joyce, San Francesco e Iacopone. Nel 2012 RAITREha trasmesso un suo testo. Nel 2014 è stato finalista del premio internazionale di grafica satirica "Novello". Insegna letteratura presso le Università della terza età di Sesto san Giovanni e Milano (Università Cardinale Colombo)

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