Aveva mosso un passo, due, aveva urtato contro la parete. Non sapeva che lì c’era il muro? Aveva cambiato direzione. Un altro passo, ma di nuovo aveva urtato contro un ostacolo: il comò della biancheria. Aveva perso l’orientamento. Era già nell’altro mondo?
I
nesplicabilmente si erano accese tutte le luci. Nel fondo della notte si erano accese tutte le luci nella casa dell’assistente di elettrotecnica dell’istituto tecnico Alessandro Volta: due stanzine col bagno e la cucina. L’assistente si era svegliato di soprassalto, era balzato a sedere sul letto e si era tirato le coperte addosso. “Chi è?” Silenzio assoluto. Nessuna goccia dal rubinetto, nessuna voce nel sonno in altri appartamenti, né passi nella strada, né fragori di treni dal vicino scalo ferroviario. Poi dall’anticamera il comando dell’Arcangelo Gabriele: “Orsù, preparati!” “Preparati…?” L’assistente stupito si era sporto verso quella voce notturna, ma di là sopraggiungeva solo un profumo di mele. Lo stesso profumo che lui ricordava dall’infanzia, quando i suoi genitori ordinavano sullo scaffale vicino alla porta d’ingresso la scorta delle mele per i poveri morti che d’inverno tornavano a visitare la casa. Tornavano imbacuccati, con i cappucci tirati fin sugli occhi, lenti nell’andare per la fatica di ricordare i luoghi terreni dopo i tanti anni di permanenza nell’altro mondo. Difficile riconoscerli. “Tu chi sei?” Chiedevano i genitori “Sono il nonno Siro” “Sei venuto per lo sciroppo della tosse?” Il povero morto acconsentiva con un cenno del capo. “E tu?” “Sono la nonna Lena.” “Gomitoli di lana?” “Sì, gomitoli di lana.” Chi chiedeva decotti, chi pomate per i reumatismi, chi filo e aghi per cucire, inchiostro per scrivere, libri di preghiere. I più numerosi erano i poveri morti da parte della madre. Erano uno sciame: sorelle, cugine, cugine delle cugine, amiche delle cugine, con i loro cani fedeli, gatti amorosi, timidi criceti, canarini tenori, annose tartarughe, anche farfalle da lampadario, libellule da cespuglio, api da alveare, lucciole da siepe……Da parte di suo padre c’erano soprattutto i suoi compagni di lavoro, quelli che avevano organizzato gli scioperi clandestini e poi erano scomparsi in Germania: Arbeit macht frei! Non c’era l’amico prediletto con il quale il padre aveva letto tanti libri, soprattutto l’Orlando furioso, ad alta voce, una mano a tenere il segno sul libro, l’altra mano sul cuore, una strofa il padre e una strofa l’amico, compiacendosi per la meraviglia delle ottave che suonavano come violini. Purtroppo quell’amico si era tolto la vita e le porte degli Inferi si erano richiuse su di lui con doppio catenaccio. “Orsù, sei pronto?” L’Arcangelo Gabriele aveva alzato la voce e l’assistente era frettolosamente scivolato dal letto, i piedi nudi sul pavimento gelato, le braccia strette ad abbracciarsi perché a quell’ora della notte faceva molto freddo. L’inverno era al suo apice, gli alberi avevano cuore di ghiaccio. L’Arcangelo Gabriele avrebbe dovuto sapere che gli alberi erano vicini alla morte. “Non sono pronto del tutto.” Si era scusato l’assistente. L’Arcangelo aveva battuto imperiosamente il piede. I’elettrotecnico aveva sospirato. “Qualche libro…” aveva supplicato. Per tutta risposta la luce si era spenta precipitando l’uomo in un abisso di paura. E adesso? Dall’anticamera assoluto silenzio. A tentoni l’assistente aveva brancicato l’aria. Cercava un appiglio, un soccorso, una mano che accogliesse la sua mano. Nulla. Aveva mosso un passo, due, aveva urtato contro la parete. Non sapeva che lì c’era il muro? Aveva cambiato direzione. Un altro passo, ma di nuovo aveva urtato contro un ostacolo: il comò della biancheria. Aveva perso l’orientamento. Era già nell’altro mondo? Barcollò, ma non cadde riuscendo ad attaccarsi alla sedia. Era smarrito. Cercò con i piedi le ciabatte. Non c’erano. Le aveva prese l’Arcangelo Gabriele? Per fortuna tornò la luce, l’umilissimo bagliore della piccola lampada in cucina, sopra la stufa a gas. Quietamente il labile riverbero si diffuse per la casa smagrendo le ombre che sussurrando andarono a rincantucciarsi negli angoli. Il labile riverbero, come un viaggio d’inverno, si posò infine sulla figura miracolosamente apparsa sulla porta. Una giovane, una ragazzina! L’assistente avrebbe voluto cadere in ginocchio davanti a quella immagine, invece si portò le mani al cuore. Sulla porta sorrideva la sua compagna di scuola al tempo delle “medie”: Anna Santina Tresoldi. Lei e il suo cane Dick. Dopo tanto, tanto tempo, da non contarsi più i tic tac degli orologi, i trilli dei giorni, i passi degli anni, le tante persone diventate aria, le tante cose sprofondate come semi nella terra, la sua compagna di scuola era rimasta la stessa, con la stessa camicetta, la stessa gonna, le stesse calzine corte, gli stessi sandali. Aveva ancora i capelli legati con lo stesso nastro di cotone. E il suo cane Dick scodinzolava come aveva sempre scodinzolato. La morte li aveva lasciati intatti. “Eccomi!” disse l’assistente di elettrotecnica dell’istituto tecnico Alessandro Volta e il profumo di mele colmò la casa e tracimando dalle finestre si estese per tutta la città, raggiunse lo scalo ferroviario, addirittura andò oltre, spargendosi per tutto il mondo, fino alla più remota stazione dei treni, segnata sugli atlanti geografici col nome di Vladivostok, capolinea della transiberiana al tempo degli zar di Russia.