Sulla lettera era scritto che lei, la persona che lui attendeva, l’avrebbe raggiunto alla stazione di Varenna, nel pomeriggio di quel giorno. Lui doveva avere fiducia, lei sarebbe arrivata.
L’incaricato dell’Archivio di stato del territorio di Lecco aveva sempre creduto che tra la vita e la morte vi fosse un distacco netto, invece si era trovato nella stazione ferroviaria di Varenna, in prossimità del lago, in mezzo a una folla ibrida di vivi e di morti.
Tra i defunti, in forma di puri spiriti, c’erano i suoi nonni, deceduti quando lui era bambino, c’erano i suoi genitori andati in fumo sotto i bombardamenti dell’ultima guerra. Tra i vivi c’erano i suoi compagni di scuola che non vedeva da molti anni, chi ancora impiegato in qualche amministrazione pubblica, chi a riposo in qualche decoroso pensionato di provincia.
I presenti nella stazione di Varenna erano tutti col viso rivolto al binario che s’inoltrava nella galleria, appena al di là dei semafori ferroviari, traforando la montagna irta di boscaglia come la fortezza di un confine ostile. Nessuno badava a lui, essendo tutti sospesi all’attesa del treno che sembrava dovesse apparire da un momento all’altro sbucando, con irrompente fischio, dalla galleria.
Anche l’archivista aspettava il treno e, come gli altri, anche lui stringeva una lettera nella mano destra. Sulla lettera era scritto che lei, la persona che lui attendeva, l’avrebbe raggiunto alla stazione di Varenna, nel pomeriggio di quel giorno. Lui doveva avere fiducia, lei sarebbe arrivata. Lui doveva guardarsi in giro, lei, in mezzo ai viaggiatori, avrebbe alzato la mano. Lui l’avrebbe subito riconosciuta, lei l’avrebbe chiamato. Il cuore dell’archivista batteva velocemente. Man mano che passava il tempo lui era più preoccupato perché la folla che attendeva il treno rumoreggiava e si scomponeva.
I vivi, stracarichi di bagagli, ingombravano la stazione con vecchie valige, bauli borchiati di ottone, cappelliere, gabbie con gatti e pappagalli. I puri spiriti ondeggiavano ad ogni alito di vento che scendeva dalla montagna, moltiplicando le loro presenze come fiammelle di candele agitate da sospiri. In tutta quella confusione l’archivista doveva alzarsi sulla punta dei piedi per riuscire a scorgere l’imbocco della galleria. Egli supplicava tutti di porsi ordinatamente lungo la pensilina per lasciare libera la vista all’imminente apparire del treno.
Purtroppo nessuno lo ascoltava, anzi i più erano scesi tra i binari sbandierando le loro lettere, telegrammi e avvisi giudiziari che invitavano ad accogliere premurosamente i viaggiatori in arrivo ed a ringraziarli per il viaggio che avevano intrapreso con lo scopo di incontrarli; chi era partito da luoghi remotissimi, chi addirittura dalla Prussia orientale, ma la fatica del viaggio non era nulla rispetto alla consolazione di ritrovare chi si credeva perduto per sempre.
Poi, repentinamente, per l’accendersi di fuochi sul molo di Varenna, cadde la notte. E non c’era stata nessuna avvisaglia di treni. I vivi e i puri spiriti fecero a gara ad impallidirsi, emulati dal sorgere della luna dalle aguzze creste dei monti. Per fortuna sopraggiunse il maitre dell’ “Hotel du lac” annunciando che l’hotel era pronto ad ospitare chi avesse voluto accomodarsi nelle sue stanze. Tutti accolsero l’invito.
La cena fu servita ai vivi intorno a una lunga tavolata, una cena con grandi pesci fritti in padelle d’argento. I puri spiriti si accomodarono sui sofà lungo le pareti immergendosi nei bisbigli delle loro orazioni. Finita la cena ed esaurite le preghiere, i vivi e i morti si mescolarono per raccontare storie. Si cominciò con avventure di viaggi e un giovane spirito narrò dei tappeti volanti che nelle notti estive solcano il cielo della città di Damasco. Poi vi furono storie di fantasmi che fecero rabbrividire tutti nonostante la non verosimiglianza delle vicende. E’ possibile che da vecchi libri sorgano sussurri notturni?
Ma a notte alta l’incaricato dell’Archivio di stato del territorio di Lecco fece aggiungere un ceppo di rovere sul camino e quando la fiamma fu così alta che la sua luce rifulse per tutta la hall dell’hotel, il detto archivista alzò l’indice della mano destra e, come se volesse liberarsi da una pena a lungo sommersa, annunciò di voler raccontare la propria vita. Nel silenzio generale, effervescente di curiosità, l’archivista disse:
…impossibile ripetere ciò che disse l’archivista perché nello stesso istante la notte fu lacerata dal fischio del treno tanto atteso, mentre dal fondo della galleria della stazione di Varenna esplodevano le fiamme della tempestiva frenata del convoglio che s’attorcigliava sui binari come la saetta sul parafulmine.
Si spalancarono le portiere delle carrozze in fastoso apparire: prima discese l’incaricata della revisione dell’Archivio di stato del territorio di Lecco che aveva tanto amato l’incaricato degli stessi archivi, la quale incaricata, per mala sorte, aveva invece sposato un negoziante di vini e, nonostante se ne fosse subito pentita, non aveva avuto il coraggio di scappare dal legittimo coniuge perché il giorno della progettata fuga, la Germania di Hitler aveva invaso la Polonia ed ogni ferita privata era apparsa meno di un graffio davanti al male universale.
Non cessando il fischio del treno, come richiamo di vento che non cala, né ora, né mai, l’archivista corse fuori dall’ Hotel du lac e subito incontrò l’incaricata della revisione degli archivi. Entrambi si buttarono l’uno nelle braccia dell’altra, gridando i loro nomi come se si battezzassero a nuova vita, stupefacendo i vivi e i morti dell’Hotel du lac che intorno a loro applaudivano acclamandoli sposi consacrati, perché nel frattempo la Germania di Hitler era stata sconfitta, la Polonia aveva riconquistata la libertà e il commerciante di vini era emigrato in America dove era sprofondato nel più assoluto oblio.
Post scriptum
Per la levità di quel fortuito matrimonio, i novelli sposi ebbero la facoltà di camminare sulle acque del lago finché la luna non tramontò nel sereno mattino.
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24.2.14