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Poi, un giorno, il miracolo dei miracoli. E’ mattina presto. Suonano nella strada: “Parigi oh cara…”. Picchiano alla porta. Una tempesta di pugni: “Sono io, salta fuori!”

Lui è speciale, ha i capelli rossi, la barba che punge, il violino a tracolla. Insegna musica all’istituto dei ciechi, dove va e viene con la sua bici da corsa, ma vorrebbe cavalcare una moto perché gli piace la velocità specialmente se c’è una Manon Lescaut sul sellino che l’abbraccia e gli grida nel vento: “Vai, vai più forte, più forte finché mi manca il fiato …” Ma nessuna Manon è quella giusta. La musica che suona di preferenza è quella dell’Aida perchè vorrebbe essere il faraone con un harem di soprano. E se fosse il Barbiere di Siviglia? Disferebbe le trecce delle dame.

Un giorno d’estate incontra lei che incede in una nuvola di farfalle, che non si guarda in giro ma fissa un punto davanti a sé come se là vi fosse chi l’aspetta da sempre. E’ lui? Lui incorda il violino e ne stacca un do maggiore da far cascare le rondini in fila sui cavi elettrici. “Madama Butterfly…” e s’inchina sfolgorando la sua testa rossa. Lei non batte ciglio, si fa prendere per la vita e trascinare per i prati, giù, giù fin dove scorre il fiume.

Lei fa la sarta con aghi d’argento, forbici d’oro, nastri, coriandoli, decolté, chiffons, bignè, bourbons, palpiti, rossori. Chi si veste da lei si sposa subito.

Poi lui sparisce, in tournée con l’ orchestra di ciechi. Chissà dove? Lui non scrive mai, come se fosse morto. Lei lascia cadere ogni buon partito nella speranza del suo ritorno, ma lui torna nei sogni e basta. Lei mugugna, piagnucola, si graffia la faccia per farsi male. A chi dovrebbe chiedere conto della sua disgrazia? Al suo diavolo custode che invece di proteggerla le balla davanti agli occhi soffiandole in faccia, tirando fuori la lingua per farla morire di paura.

E se non vuole disperarsi del tutto corre al bar, sulla strada provinciale, per la carità di un calice di vino da cacciare giù finché tutto le va via dalla testa, non ricorda più niente, né di sé stessa, né di lui, né del sole , né della luna.

“Per carità un altro bicchiere.”

Il barista è restio, ma lei mette i soldi sul banco

“Si, marsala con uno schizzo di campari.”

E la gente bisbiglia: “Mai più farsi vedere in piazza, andare al mercato, inginocchiarsi a Messa, accompagnarsi ai cristiani…mai più finché non smetta il vizio del bere e del girare di notte barcollando per le strade, lei e

il suo rognoso cagnolo.”

Il bastardino è l’unico che la soffre, l’unico a leccarle le mani, a uggiolarle tra i piedi, come se volesse consolarla per ciò che lei balbetta invocando le stelle che le fanno un po’ di luce con quel loro mutismo siderale, tanto, lei o un sasso, da quella distanza di lassù sono eguali.

Il cagnolo non la lascia mai, sempre tra i piedi, per sentirla, toccarla, farle intendere che la capisce nonostante il garbuglio del suo dire fasullo fatto di patemi che le sbuffano dal cuore come l’acqua del fosso che straripa nel temporale. Lei parla al cagnolo, si confida con lui, con i suoi occhi d’acqua dolce, con il suo muso bagnato di bene.

Poi, un giorno, il miracolo dei miracoli. E’ mattina presto. Suonano nella strada: “Parigi oh cara…”. Picchiano alla porta. Una tempesta di pugni: “Sono io, salta fuori!” Lei sbircia dalla finestra e le scoppia il cuore. E’ lui! Lui appoggiato ad una Arley Davidson nuova di zecca. Dove l’ha rubata? Una motocicletta cromata, tirata fuori dall’inferno: mille cilindri. Sul sellino c’è un mazzo di fiori e di erbe. A lei gira la testa. E’ matta di gioia! Lui ripicchia alla porta, grida che la vuole subito, così come è, calda di letto. Lei ride, ride…le piace struggerlo: che aspetti, che gli si aguzzi l’appetito.

Lei si cambia: camicetta senza maniche, senza colletto, senza bottoni, solo un nastro viola alla gola. Gilet da toreador, gonna plissé, coralli nei capelli. Si rimira allo specchio, s’ incipria, l’ombretto sotto gli occhi, il rossetto sulla bocca, intanto lui frigge perché lei faccia presto: “Buttati dalla finestra che ti prendo al volo!”

Lei appare come fiamma senza fumo. Lui è il re, lei la sua regina, insieme sono maestà dell’erba estiva. Lei è pronta, in ghingheri, per correre al fiume su quella riva di sabbia fine che sembra il letto del paradiso. E’ mattina di giugno, gli alberi sono folti, verdi, lucenti nel sole, popolati di uccelli, e l’erba sulle prode fruscia di grilli e ramarri. Il Re e la Regina vanno abbracciati dondolando nell’aria luminosa. Già si sente la corrente del fiume che lima i sassi. Lei tiene gli occhi spalancati per guardare tutto, senza che nulla si sottragga. Tutto deve essere rimirato, messo in conto nel cuore, fiorito nella memoria: tutto, tutto, le margherite, i ranuncoli, l’erba matta, i pioppi, le robinie, i salici, i cespugli, i sassi, la sabbia, la riga scintillante della corrente, uno che pesca sull’altra riva, lontano, lontano.

Il giorno passa come una cometa e quando lei si addormenta con la faccia contro la sabbia, lui, zitto, zitto lascia il luogo e poco dopo si sente il rombo della motocicletta sul cui sellino è appassito il mazzo di fiori ed erbe. A lui è arrivata la cartolina militare col questionario prescritto: “Altezza: due metri! Capelli: rossi! Cuore: cuor di leone! Basta così: arruolato! Domani mattina presentati alla caserma : addio, mia bella addio e se non partissi anch’io sarebbe una viltà.”

Lui si presenta sicuro di tornare dopodomani. Lui è troppo giovane per sapere che sarà tra i primi caduti: battaglia delle Termopili!

Lei si sveglia. Lui non c’è più. Lei chiama, corre sulla riva, si spaventa, vuol buttarsi nel fiume, piange, pesta i piedi, a piedi torna a casa mentre tramonta.

Il cagnolo l’aspetta dietro la porta, è stremato per essere stato solo tanto a lungo. Lei gli dà da mangiare, lo pettina, lo accarezza poi apre l’uscio e lo supplica perché scappi e non torni più. Il cagnolo vorrebbe restare ma lei gli s’inginocchia davanti e gli grida di andarsene: “via, via, voglio morire e basta.” La bestiola titubante obbedisce. Poi sparisce anche lei. Qualcuno dice di averla vista sul ponte della ferrovia, lei e il suo cagnolo tutti e due stralunati, lei a gridare, la bestiola ad abbaiare, come due matti, polverosi da far paura. E quelli che la vedono da lontano tirano dritto.

 

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Gli autori di Vorrei
Adamo Calabrese
Adamo Calabrese

Adamo Calabrese è scrittore, autore di teatro e illustratore. Ha pubblicato con Einaudi il romanzo "Il libro del re", con Albatros i libri di racconti "L'anniversario della neve", "La cenere dei fulmini", "Il passaggio dell'inverno", con Joker "Paese remoto". Ha illustrato i propri libri ed edizioni di Dante, Gibran e Pascutto. Scrive e disegna per il quotidiano "Il cittadinio" di Lodi, per le riviste "Vorrei" di Monza e "Odissea" di Milano. I suoi ultimi lavori teatrali hanno messo in scena opere di Brecht, Joyce, San Francesco e Iacopone. Nel 2012 RAITREha trasmesso un suo testo. Nel 2014 è stato finalista del premio internazionale di grafica satirica "Novello". Insegna letteratura presso le Università della terza età di Sesto san Giovanni e Milano (Università Cardinale Colombo)

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