Ma una notte lo zio Pitagora non riesce a dormire. Si gira e rigira nel letto finendo addosso al tepore palpitante della sua donna.
Lo zio Pitagora è un bravo maestro, con semplicità spiega tutto, dalle oscillazioni del pendolo a come fa la pioggia a diventare neve e perché “La cavallina storna” fa piangere. I suoi alunni sono contenti di lui e gli regalano piccoli porcospini, funghi porcini e gemme da innestare su vecchi alberi. Anche la sua donna, la zia Pina, è contenta di lui. Prima di addormentarsi lo ascolta ripassare la matematica: i teoremi sono le loro preghiere serali. Il Signore Iddio è il quadrato costruito sull’ipotenusa, i profeti sono i raggi del cerchio che convergono verso il centro. La zia Pina è orgogliosa di lui, come se fosse lei ad averlo fatto. “ Io sono la tua madre vera” gli dice nei momenti di gloria e quando la gloria è tale da far tremare la casa, lei lo accarezza, lo pettina, gli cuoce riso e zucca e lei stessa lo imbocca con il cucchiaio d’argento dono delle loro nozze.
Ma una notte lo zio Pitagora non riesce a dormire. Si gira e rigira nel letto finendo addosso al tepore palpitante della sua donna. “Pardon” si scusa e rotola verso l’altra sponda restando in ascolto dei rumorini che bisbigliano nel buio: i tarli che rosicchiano il tavolo della cucina, la lattuga che cresce nell’orto. D’un tratto un subbuglio: un muggito che non è di mucca, un nitrito che non è di cavallo, ma un clamore come di cento pentole che bollono e cento padelle che friggono. Chi è? Chi ruzza contro la porta? Pare una moltitudine che va, si ferma, ritorna, non sa dove andare, rigira su sé stessa, poi sosta perché le manca il fiato. Con circospezione lo zio Pitagora si accosta alla finestra. Sbircia e straluna. Mai visto tanto raduno di bestie senza pelo, grigie e rognose come suole di scarpe che hanno marciato troppo. Niente corna, ma nasi smisurati che penzolano fino a terra soffiando su tutto ciò che si muove: lucertole con la coda o senza coda, topi, gatti, rane che vanno al fosso, pesci che saltano fuori dall’acqua.
Lo zio Pitagora si ritrae. Che fare? Svegliare la zia Pina? Ma se lei fosse in preda a un brutto sogno di ladri che la rincorrono svegliandola di soprassalto col rischio di buttarla dal letto? Lui riapre la finestra, non più d’un dito, e guarda fuori. C’è un occhio attonito in mezzo ad una pelle raggrinzita che lo guarda a sua volta. “Chi sei?” ma la pupilla non fiata. Lo zio Pitagora si decide, chiama la zia Pina.. “Chi, che cosa?” farfuglia la donna sbrogliandosi dal camicione da notte “Chi c’è?” “Non so” balbetta lo zio Pitagora. “Vieni a vedere.” Lui si mette un dito sulle labbra: “Sssst…!” Altrettanto lei: “Sssst…!” Entrambi, a piedi piatti per non fare una briciola di rumore, vanno alla finestra. “Ma sono elefanti!” grida lei “Sono elefanti africani.” “ Ja ja!” conferma un bestione che leva il naso e caccia un tuono. Esplodono altri boati e nell’acerba luce dell’alba emerge una mandria di plantigradi che domandano a gran voce: “ Canne? Dove si va per Canne?” “Per Canne?” ripete la zia Pina. ”Sì,sì, Canne!” “Ma qui si va per Mortara.” Sussulto dei bestioni che si guardano intorno smarriti finché il più anziano si fa avanti: “Muchas gratias! Noi dobbiamo andare a Canne. Achtung! Ci aspetta Annibale. Achtung! Ci aspetta il console Terenzio Varrone. Achtung! Senza di noi non può cominciare la prima guerra Punica. Achtung!”
“La prima guerra Punica?” La zia Pina abbraccia il suo uomo. “Scappa! prima che vengano a reclutarti.” “Scappare dove?” “Dove c’è buio.” “Sotto il tavolo?” “Più sotto, più sotto!” “In cantina?” “In cantina!” Lo zio Pitagora sdrucciola nel sottofondo della casa ficcandosi nel vecchio armadio pater familias della cantina. Dentro c’è di tutto: ulivi benedetti, olio santo, finimenti di cuoio borchiati d’oro di quando i cavalli volavano, lenzuola della prima notte di nozze con la scritta “Salve!”
Non passa uno spillo di tempo quando bussa alla porta il Podestà agitando la cartolina precetto. “ Eia Eia alalà! E’ scoppiata la prima guerra Punica! Non c’è tempo da perdere. Tutti i maschi in caserma. Avanti marsch! Viva Roma caput orbis, Eia Eia alalà!” Per fortuna lo zio Pitagora è scomparso. “Dov’è?” chiede il Podestà. “Quien sabe?” dice la zia Pina. “Come quien sabe?” dice il Podestà. “Quando l’hai visto l’ultima volta?” “L’ultima volta?” “Sì, l’ultima volta!” “L’ultima volta era qua, in cucina, correggendo i compiti dei suoi alunni.” “Ah…?” dice il Podestà. La donna precisa: “ Se una vasca si riempie d’acqua in tre ore, in quante ore si riempie se invece di acqua si versa inchiostro di china?” Il Podestà è imbarazzato. “Inchiostro di china?” “ O rabarbaro.” dice la zia Pina. Il Podestà taglia corto: “E dopo il problema?” “Abbiamo mangiato due uova alla coque con un cucchiaio di mostarda.” “E dopo?” insiste il Podestà. “Una mela cotta.” “E dopo?” La zia Pina diventa rossa. “Dopo, dopo, dopo?” La donna non parla più. Il Podestà sbatte la cartolina sul tavolo e scalciando la porta trotta fuori.
La donna si precipita in cantina: “Scappa…!” silenzio. “Scappa…!” neppure un fiato. Lei apre l’armadio. Lo zio Pitagora è là. Dorme sotto la pila di quaderni dei suoi allievi. “Scappa…!” Lui apre un occhio. “Via, via…!” lui apre l’altro occhio. “Devi fuggire! Sveglia, sveglia!” Lui si stropiccia gli occhi. Lei è china su di lui. Lui abbraccia lei. Cioè, lei abbraccia lui. Nel trambusto si chiude la porta dell’armadio. Dentro si sente come uno squittio di topi che si felicitano l’uno con l’altro. Poi silenzio, alto silenzio come a Canne, ora che sono passati tanti, tanti secoli dal tempo della battaglia. Dove c’è stata la pugna ora c’è un esteso campo di grano che sembra il mare. Il vento intermittente fa ondeggiare le spighe. Il povero maestro è là sotto, stretto ai quaderni dei suoi allievi. Il sole veglia il tumulo di giorno, le stelle lo vegliano di notte. Così è l’immortalità. Quanto tempo impiega l’inchiostro di china a riempire la vasca? La zia Pina non lo saprà mai.