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Corro alla finestra e resto esterrefatto. Il  circo Krupp dilaga nella piazza. Il signor Krupp in persona schiocca la frusta e si rivolge a me.

 

, è proprio così! La morte non è niente. E’ qualcosa per sentito dire. Prendiamo il caso del mio vecchio. Lui tossisce giorno e notte. Quando non ce la fa più mi chiede di seppellirlo nell’orto. “Prima” dico io “bevi un po’ di latte caldo” “Comeee?”dice lui . E’sordo anche in punto di morte. “Latte caldo.” ripeto. Gli viene una crisi di tosse. “Basta abbaiare. “ Lo sgrido con gentilezza e lui si sbrodola. “Se ci fosse tua moglie!” A sentir nominare sua moglie, cioè mia madre, lui fa un gesto disperato con la mano e ancora una volta mi supplica: “Sotterrami nell’orto.” Poi mi fa cenno che mi vuole raccomandare qualcosa. Mi avvicino. “Le mie poesie” bisbiglia “Portale a mio fratello.” “Mio zio?”  “Sì, lo zio.” “Lo zio morto in guerra?” “Lui” “Ma…Dove?”  Il vecchio leva la mano tremante puntando l’indice verso la finestra.  “Là, là.” “Là non c’è niente, è notte, è buio” Il vecchio lascia cadere il braccio e resta con gli occhi spalancati. E’ la fine. Nelle sbiadite pupille sono apparsi i suoi cari: mia madre Mariuccia, la zia Giuseppina, qualche compagno di lavoro, il maestro che gli ha ficcato in testa tutto l’Iliade. Amen! Il cuore del mio vecchio ha cessato di battere: Bum, bum…nessuna risposta. Il latte avanzato lo darò al gatto.  Il mio vecchio se ne è andato. Ora sta nell’orto, sotto il fico, a guardare l’infinito.

 Le poesie di mio padre sono nel quaderno con la copertina nera e il bordo rosso. “Bene…” dico al quaderno delle poesie: “Andiamo.” Riordino la casa, recapitato il gatto ai vicini, alla porta appendo un cartello con la scritta: “Chissà se tornerò.” Il mio vicino di casa mi chiede: “Dove vai?” “Non lo so.” Il fratello di mio padre è morto in guerra, ma in quale guerra? E se fosse ancora vivo? Prendo il primo treno che passa. Il treno va per monti e per mari. S’intende coste di mare. In ogni stazione mi sporgo dal finestrino e interrogo la gente: “Chi sa dov’è mio zio?” La gente mi guarda incuriosita e dice: ”Tu prima spiega com’è tuo zio. I capelli, il naso, la bocca. Che mestiere fa?” Dico io: “Stava in tribunale e timbrava le carte. La domenica si esibiva come prestigiatore a casa nostra. Faceva scomparire piatti e bicchieri e li faceva riapparire in forma di foulard variopinti. No, non è sposato, la sua fidanzata, la signorina Mirella, è scappata. Dopo i giochi di prestigio si addormentava sull’ottomana. Dormiva e sorrideva nel sonno. Mia madre lo copriva con un plaid. Lui non aveva nessuno, la sua famiglia eravamo noi. La casa? Niente casa, stava in un casello ferroviario abbandonato. I treni non passano più di là.”

 Mi ritiro dal finestrino, mi chiudo nello scompartimento, tiro fuori il quaderno con la copertina nera, lo sfoglio in cerca di qualche notizia su mio zio. Niente, le poesie sembrano paragrafi di un libro di scienze, divagazioni sulle stelle, sui mari, sui lampi, sui tuoni eccetera eccetera, ma niente su mio zio.

 Una sera, arrivo in una città: non so che nome abbia. C’è la fiera annuale. Alberghi strapieni, gente che dorme sugli alberi. Per fortuna trovo un buco nell’albergo della stazione. E’ proprio un buco. Chiedo: “C’è acqua?” “Nein.” “Moccolo?” “Nein.” “Veleno per scarafaggi?” “Jamais.” Povero me! Mi inerpico su per la scala a chiocciola soffiando ad ogni gradino troppo alto: “Dove sei fratello di mio padre? Dove sei fratello di mio padre? Dove sei fratello di mio padre?” Risposta: “Nessuno lo sa, nessuno lo sa, nessuno lo sa…” Arrivo in faccia a una stanzetta dove già dormono quattro gatti. Niente chiave alla porta, solo uno spago da far passare nella serratura e legare al rampino dell’anta interna sufficiente a vietare il passo agli spiriti della notte. Entro. Libri in ogni dove, sul tavolo, sull’inginocchiatoio, nel vaso da notte, sotto il letto da dove sgusciano sparpagliandosi sul pavimento come lumache dopo la pioggia. Con due dita repellenti sollevo il tomo più squinternato. Ogni pagina è macchiata. Lacrime, brodo di gallina? Mi caccio sotto le coperte e subito mi scontro con una tartaruga in letargo. Salto fuori dal letto. Piuttosto dormo in piedi, diritto come il re del Portogallo, sotto la lampadina che pencola dal soffitto.

 Invece no. Scoppia un putiferio nella piazza davanti all’albergo. Ruggiti di leoni, barriti di elefanti? Corro alla finestra e resto esterrefatto. Il  circo Krupp dilaga nella piazza. Il signor Krupp in persona schiocca la frusta e si rivolge a me. Mi chiede se ho portato le poesie di mio padre. “Le ho portate.” dico io  “Perché questa domanda?” “Il signor Arciduca vuole che le poesie di tuo padre siano lette e declamate nel nostro circo. Il signor Arciduca vuole che il popolo mangi il pane degli angeli.” “Le poesie di mio padre?” “Sissignore!” “E chi reciterà le poesie di mio padre?” “La zebra africana.” “La zebra africana?” “Sissignore.”

Non l’avesse mai detto! Appare il fratello di mio padre, mio zio. Lui, proprio lui, conduce per la cavezza una zebra strigliata di fresco. Sono sotto la finestra dell’albergo. Mio zio mi fa cenno. Ho capito.  Solennemente innalzo al cielo il quaderno con la copertina nera e il bordo rosso. Mio zio e la zebra chinano la testa. Una per una strappo le pagine del quaderno e le lascio sfarfallare. Mio zio le prende al volo e le porge al quadrupede. La zebra inforca gli occhiali e si schiarisce la voce. Legge. Una voce tenera come un ruscello nel prato. D’un tratto uno squillo di tromba. E’ arrivato il signor Arciduca con la sua corte: cento cavalieri, cento dame in carrozza, cento mori che spargono profumi, cento cuochi che frullano la maionese, cento violini che sospirano, cento lune che appaiono in cielo, non di meno cento stelle che sciamano come lucciole.  Un altro squillo di tromba. Mio zio si erge sulla punta dei piedi. Dal taschino del suo gilet tira fuori un foulard multicolore, poi un altro, poi altri ancora, cento, mille, un milioni di foulard variopinti. Nel turbinio delle sete colorate la zebra africana, adagio, adagio svanisce. Non c’è più. Dove c’era la zebra piange di gioia la fidanzata di mio zio. Quella scappata? Sì, lei, la signorina Mirella. Miracolo? No, gioco di prestigio. Mio zio abbraccia la fidanzata. La fidanzata abbraccia mio zio. Il signor Arciduca leva le braccia e tuona: “Finché morte non vi separi!”

 

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Gli autori di Vorrei
Adamo Calabrese
Adamo Calabrese

Adamo Calabrese è scrittore, autore di teatro e illustratore. Ha pubblicato con Einaudi il romanzo "Il libro del re", con Albatros i libri di racconti "L'anniversario della neve", "La cenere dei fulmini", "Il passaggio dell'inverno", con Joker "Paese remoto". Ha illustrato i propri libri ed edizioni di Dante, Gibran e Pascutto. Scrive e disegna per il quotidiano "Il cittadinio" di Lodi, per le riviste "Vorrei" di Monza e "Odissea" di Milano. I suoi ultimi lavori teatrali hanno messo in scena opere di Brecht, Joyce, San Francesco e Iacopone. Nel 2012 RAITREha trasmesso un suo testo. Nel 2014 è stato finalista del premio internazionale di grafica satirica "Novello". Insegna letteratura presso le Università della terza età di Sesto san Giovanni e Milano (Università Cardinale Colombo)

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