L’evento ha ancora il prestigio e la risonanza internazionale?
E quali sono i ritorni economici, l’indotto, il ‘valore del brand’ Gran Premio?
Per chi vive a Monza e dintorni, nei tre giorni del Gran Premio la città sembra diventare l’ombelico del mondo. Almeno per chi si interessa di motori. Ma è davvero così? L’evento ha ancora il prestigio di un tempo e tutta la risonanza che ci aspettiamo sui media internazionali? E quali sono i ritorni economici, l’indotto, il ‘valore del brand’ Gran Premio? Dall’analisi dei dati e della rassegna stampa emerge un’immagine in chiaroscuro. Un evento sottotono e non sufficientemente valorizzato in chiave di marketing territoriale. Ma che continua a produrre fiumi di denaro, mettendo d’accordo centrodestra e centrosinistra monzesi almeno su una cosa: l’Autodromo non si tocca.
Per tre giorni all’anno Monza si sente caput mundi: del mondo dei motori, almeno. Sono i giorni del frenetico weekend del GP: quel Gran Premio d’Italia che si corre nella capitale brianzola ormai da ottant’anni. Ma è davvero così?
In teoria, sembrerebbe di sì. Secondo una ricerca condotta dall’Ufficio Studi della Camera di Commercio di Monza e Brianza, il 42,1% degli europei conosce il nome della città di Teodolinda proprio grazie al GP. Una notorietà che va oltre l’Europa e che da sempre è sinonimo di sprint e motori: negli anni Settanta, tanto per fare un esempio, Chevrolet aveva battezzato Monza una coupé dalle linee ispirate alla Ferrari 365 GTC/4 (un mito dell’epoca) che rimase in produzione dal ’75 all’80, riscuotendo un certo successo sul mercato nordamericano.
Ma se a metà settembre gli occhi del mondo sono davvero puntati su Monza, quest’anno sembrano avere guardato più al gossip che alle gesta sportive. Nei media nostrani ha suscitato una certa attenzione la presenza di un pilota italiano, Fisichella, che correva su Ferrari a Monza – una ‘congiunzione astrale’ che non si verificava da molti anni. Ma quelli internazionali – forse in omaggio allo spirito dei tempi – sembrano aver dedicato più spazio alla querelle in casa Renault tra Briatore e i Piquet padre e figlio che alla gara, ad esempio El Pais. Il Times, invece, si concentra sulla sfida finale tra Button e Barrichello per il titolo piloti, mentre Le Monde relega il GP monzese tra le news minori della pagina sportiva, limitandosi a citare la vittoria del brasiliano. In ogni caso, nessuno dei grandi media stranieri ha accompagnato le notizie dall’Italia con uno di quegli approfondimenti sulla località ospitante, del tipo “Cosa vedere e dove mangiare mentre siete a Monza”, che di prassi accompagnano i reportage sui grandi eventi. Evidentemente, ai giornalisti non sono state fornite cartelle stampa con informazioni turistiche esaurienti né li si è invitati (magari preventivamente) a un press tour della città. O, se si è fatto, altrettanto evidentemente è stato fatto in modo inefficace. Un’ennesima opportunità di fare marketing territoriale persa per Monza e la Brianza monzese. La ragione? La solita: le risorse del territorio non si coordinano, non ‘fanno sistema’. Il presidente della Camera di Commercio Carlo Edoardo Valli invoca l’ennesima ‘cabina di regia’, questa volta per il turismo sportivo, ma intanto le truppe avanzano in ordine sparso e i risultati (non) si vedono.
Del resto, quest’anno le novità tecniche che normalmente catalizzano l’attenzione delle redazioni sportive erano pochine. Esauriti i dieci minuti circa dedicati da Raisport al nuovo dispositivo Magneti Marelli di recupero dell’energia frenante sulle Ferrari, si capisce che in un Campionato che vede protagonisti marchi dignitosissimi ma senza grande storia e grande appeal, come Brawn o Force India, facciano più audience i colpi bassi tra Nelsinho, che accusa Briatore di averlo spinto ad andare volutamente a sbattere durante il GP di Singapore, e il patron del Billionaire che ribatte alludendo addirittura a una presunta relazione equivoca di Piquet jr. con un cinquantenne, dalla quale l’avrebbe ‘salvato’. Un’ennesima storiaccia che, proprio alla vigilia di Monza, si è abbattuta su un circo della F1 già abbondantemente screditato dal tira-e-molla tra FIA e costruttori, che ha tenuto in forse fino all’ultimo il campionato di quest’anno, e dalle vicende di spionaggio fra team dell’anno scorso.
Tutte vicende che hanno accentuato il clima già dimesso di un GP da autunno di fine crisi economica. Lo ha confermato anche un altro dei più classici indicatori ‘spannometrici’, il traffico. O meglio, il non-traffico: sarebbe bello pensare fosse dovuto a una migliore organizzazione (forse, in parte: oltre alla segnaletica provvisoria, quest’anno sulla tangenziale est hanno fatto la loro comparsa anche i pannelli a messaggio variabile…), ma è forte il sospetto che la maggiore fluidità dipendesse da un minore numero di veicoli. Tranne che nelle immediate vicinanze del circuito, quest’anno erano lontane le code a passo d’uomo dei tempi d’oro.
Tuttavia, nonostante l’atmosfera sottotono (in linea con quella dell’intero campionato, comunque) per Monza il Gran Premio rimane un grande business. L’edizione 2009, sempre secondo lo studio della CCIAA monzese (basato su dati Registro Imprese, Regione Lombardia, Istat, Censis, Isnart, Autodromo di Monza, Provincia di Milano) ha prodotto un indotto stimato complessivamente in 70 milioni di euro. Quanto la UE ha stanziato quest’anno per tutti i progetti in paesi confinanti con l’Unione, tanto per dare un’idea. Di questi, circa 30 sono i milioni di indotto turistico vero e proprio, 37 sono rappresentati da ricadute economiche sul settore ‘motori’ di tutto il territorio interessato (Monza-Brianza, Milano e, in parte, le province di Como e Lecco) e 4,6 milioni di euro da benefici per i comparti degli allestimenti, comunicazione, spedizioni, allestimento impianti e movimentazione della Brianza.
Più di un terzo dei 30 milioni di indotto turistico (il 34,1%) è assorbito dallo shopping (gadget inclusi) per un valore di circa 10 milioni di euro. Segue la ristorazione con 8.817.000 euro e la ricettività con circa 8.300.000 euro. A livello di ripartizione geografica, più di 15 milioni di euro rimangono in Brianza, 9 milioni vanno a Milano, oltre 3 milioni a Como. Alle imprese del settore ‘motori’ della Brianza, di Milano e di Lecco il GP di Monza frutta 37.300.000 euro. E complessivamente il giro d’affari annuo delle imprese automobilistiche e motoristiche della Brianza, Milano e Lecco è stimato in oltre 2,4 miliardi. Ma nel GP di Monza sono coinvolti anche artigiani, allestitori, elettricisti, installatori, imprese di comunicazione e pubblicità del territorio che proprio per il GP incrementano il loro giro d’affari di 4,6 milioni di euro.
La Camera di Commercio ha provato anche a calcolare il valore del brand GP Monza, cioè il valore aggiunto per l’azienda rappresentato dalla riconoscibilità e dal prestigio del marchio. Invece del Brandz™ Top 100 di Millward Brown Optimor, che si utilizza normalmente per le aziende private, l’indagine CCIAA di Monza e Brianza condotta da DigiCamere si è basata sul metodo Anholt Brand Index, che si utilizza per le istituzioni pubbliche (nazioni, regioni o città), integrando dati di Autodromo, Registro Imprese, Istituto Tagliacarne, Rapporto sull’internazionalizzazione della nuova Provincia di Monza e Brianza curato dall’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano.
Risultato: 3 miliardi di euro (vedi anche questo nostro articolo). Questo il valore del brand GP Monza stimato sulla base di un insieme di parametri: conoscenza della manifestazione a livello internazionale, flussi turistici generali e legati all’evento, competitività economica del territorio (imprese, indice di apertura commerciale, pil). In parole povere, questo è quanto incasserebbe Sias se decidesse di vendere baracca e burattini. Roba da pagarcisi un paio di Pedemontane e qualche linea – vera – di metrò. Avanzando pure un po’ di soldi per aiuti alle imprese, ai lavoratori, alle famiglie, alle fasce deboli.
Anche se siamo molto lontani dagli oltre 100 miliardi di dollari di Google, i 76,2 di Microsoft e i 67,6 di Coca-Cola (le tre aziende sul podio mondiale 2009 del Brandz™ Top 100), a livello nazionale si tratta di numeri di tutto rispetto, considerando che la prima azienda italiana nella classifica di Millward Brown Optimor è Gucci, all’86.mo posto con quasi 7,5 miliardi di dollari di valore del brand, seguita da Tim con circa 6,4 miliardi al 99.mo posto. Alla luce di questi numeri si capisce come mai in Consiglio Comunale abbia suscitato un’immediata levata di scudi bipartisan anche solo l’ipotesi di un Gran Premio su circuito cittadino a Roma, che andrebbe inevitabilmente a sostituire e non ad aggiungersi a Monza, in quanto la FIA ha già fatto chiaramente capire che due gran premi per un solo paese sarebbero troppi. Peccato che altrettanta concordia non si veda nella gestione. Chissà quanti potrebbero diventare quei 70 milioni di indotto annuo e quei 3 miliardi di valore del brand se il sistema parco-autodromo fosse finalmente oggetto di una strategia di marketing e di promozione sensata. E chissà che, una volta spostata la brand awareness dall’evento al luogo, non diventi più profittevole, oltre che sostenibile, valorizzare sia il circuito sia il parco con eventi meno invasivi e più ‘destagionalizzati’ del Gran Premio.