S
ono nato nella Clinica Zucchi di Monza nel 1965. La primissima infanzia l’ho vissuta nella cascina Scotti, nel quartiere Cazzaniga a ridosso del confine tra Monza e Lissone. Il mio cognome è il più diffuso in assoluto tra i residenti di Lissone. Ricordo come fosse ieri il gigantesco cantiere dell’Ospedale S. Gerardo, vicinissimo alla mia cascina di residenza. Con i miei amici spesso andavamo a giocare sulla montagnetta di terra creatasi dagli scavi del cantiere. Si trattava di una grande quantità di terra riposta a nord del cantiere in corrispondenza della cascina Rivè, più o meno dove oggi è edificato il complesso dell’università di medicina.
I ragazzi del quartiere avevano ricavato una sorte di pista in cui ci si divertiva a girare con le bici da cross, che allora andavano molto in voga, seguendo un percorso sinuoso di saliscendi tra i cumuli di terra. Era davvero molto divertente. Nei giorni di pioggia si formava un laghetto in corrispondenza degli argini creati dalle scavatrici e spesso in primavera ci si divertiva a catturare i girini oppure a cacciare le lucertole con una tecnica rudimentale costitiuta da un bastoncino e un cappio di spago. Oltre la cascina Rivè c’era, e c’è ancora, un boschetto che separa Monza dal comune di Lissone. Per noi ragazzini era poco accessibile e quindi, quando l’attività del cantiere dell’Ospedale si avviò alla conclusione e la montagnetta fu smantellata, cominciammo a frequentare per i nostri giochi i prati che si estendono verso la ferrovia Milano-Chiasso, a ovest dietro via Debussy, ora in gran parte edificati e in cui è rimasto un piccolo giardino pubblico. Uno dei divertimenti emozionanti era scendere nel piccolo dirupo dell’interramento e mettere chiodi sui binari; si aspettava il passaggio dei treni e poi si recuperava i chiodi completamente schiacciati dalle ruote dei convogli.
Nei primi anni ’70 trascorrevamo ore ed ore a costruire carretti con assi di legno e cuscinetti a sfera fuori uso. Questi carretti erano costituiti da un pianale di legno sotto il quale erano inchiodati i due assi, sempre di legno, alle estremità dei quali erano incastrati e ribattuti con chiodi quattro cuscinetti a sfera che servivano da ruote. Non avendo a disposizione discese di scivolamento nelle immediate vicinanze, andavamo in gruppetti nel Parco di Monza alla discesa che costeggia la Villa Mirabellino e la cascina S. Fedele, dove è installata l’antenna della Rai. Questo fu uno dei divertimenti che portò il gruppo di miei coetanei e amici a esplorare territori un pochino distanti da casa, conoscere altri ragazzi dei quartieri e godere delle bellezze del Parco.
Dopo le scuole medie frequentai l’Ipsia Artigianelli, alle Grazie Vecchie, conseguendo un titolo profesionale che purtroppo posso dire che non mi è servito a nulla: ho comiciato a lavorare in una piccola officina meccanica a conduzione famigliare, una condizione tipica dell’impresa brianzola di allora; molte ore di lavoro, stipendio magro e il principale sempre dietro al lavoro dei dipendenti.
Dopo pochissimi anni sono stato assunto in una grande fabbrica metalmeccanica alla periferia di Monza. Anche qui la mia professione si è rivelata inutile; nei processi produttivi hanno prevalso il massiccio impiego della delocalizzazione e quindi la fabbrica è diventata un luogo di puro assemblaggio dei semilavorati. Odiernamente anche l’azienda in cui lavoro sta soffrendo gravemente la crisi economica e spesso ricorre alla cassa integrazione, alla mobilità oppure incentiva le dimissioni volontarie. Nel futuro del lavoro, almeno così come l’ho inteso fin dalla mia infanzia, c’è una grandissima incertezza, non si sa bene come si trasformeranno questi nostri territori; nel frattempo sono andato ad abitare in collina, poco fuori di Monza, in un comune della Valle Lambro. Qui il paesaggio è ancora molto bello e la vita sociale è a misura d’uomo. Insieme alla compagnia di amici frequento soprattutto i ritrovi sparsi nella Valle, a Gerno, a Canonica, a Triuggio ecc.
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