«Sarò sincero. Una delle canzoni che ricordo con più affetto è “Perdere l’amore” di Massimo Ranieri, del 1988». Per Enrico Roveris, attore teatrale, il brano dell’interprete napoletano è una finestra sul suo passato. «Mi riporta all’infanzia in Grecia, nelle isole dell’Egeo, mi ricorda mia madre che nelle mattine assolate cantava a squarciagola. È questo il valore che ha per me quel pezzo, anche se nella mia cultura musicale c’è ben altro – aggiunge – soprattutto chitarristi come Paco de Lucia o Pat Metheny». Di quest’ultimo, l’album First Circle è stato per Roveris una svolta: «Una vera e propria epifania che mi ha cambiato la vita – dice – un intero mondo di musica che prima non conoscevo mi si è spalancato». Spesso, è proprio la musica che normalmente ci si vergognerebbe di ascoltare quella a cui leghiamo alcuni dei ricordi più belli della nostra vita. Come se perdesse ogni connotazione estetica per diventare un semplice contenitore di emozioni. In fondo ammettiamolo, se la musica che a noi non piace per tanti altri invece è bellissima, un motivo dovrà pur esserci. Forse è proprio per questa capacità. Forse è qui il segreto per cui dopo anni di Scorpions, Guns’n’Roses, Rolling Stones, Queen e Deep Purple con alcuni miei coetanei riusciamo ancora a scioglierci con i pezzi degli 883. E questo labirinto di gusti e generi in sole sette cosine striminzite che si chiamano note, dodici se contiamo i diesis. Perché al di là di virtuosismi e distorsioni, quello che conta è solo la bellezza del ricordo.
La canzone di Enrico Roveris è "Perdere l'amore"
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- Di Simone Camassa