Per una volta, mi permetto di scrivere di una canzone che non è la preferita di un simpatico artista o di un originale lavoratore, bensì una di quelle più care a mio padre. Non c'è esattamente un vero motivo, non c'è una particolare ricorrenza lacrimevole. Semplicemente pochi giorni fa mi è capitata di ascoltarla in radio, evento non così scontato, visto che parliamo di un gruppo che nonostante l'età continua a sfornare una hit dopo l'altra.
Si tratta di Angie, dei Rolling Stones (dall'album del 1973 Goats Head Soup). A mio padre piaceva perchè anche se non afferrava bene le parole e il senso del testo, capiva e apprezzava l'atmosfera struggente che caratterizza la canzone. Gli piaceva tutto, dalla chitarra alla voce di Mick Jagger. Ed è bello pensare che la musica ha anche questo potere di incantare, usando una lingua alla portata di tutti, senza bisogno di studiare, che anche evolvendosi e adottando regole diverse coinvolge sempre allo stesso modo.
Così riascoltando Angie, mi viene in mente lui. Tutti quanti abbiamo associato una canzone a una persona, nella vita, e tutti quanti riascoltando quella determinata canzone sentiamo di riavvicinarci a ciò che eravamo prima che qualche evento ci cambiasse nella personalità. La musica è anche questo: un ponte che ci collega a qualcosa ormai irraggiungibile con i mezzi normali. Una specie di luogo privilegiato in cui reincontrare tutti quei frammenti di vita che credevamo perduti per sempre. E lo sono, infatti. Ma in quei minuti di ascolto accade un portento che sovverte le normali regole della fisica, qualcosa che mi piace pensare sia alla base della nostra umanità.