Il giovane poeta milanese Riccardo Burgazzi propone un confronto fra "Via del Campo" di De Andrè e "Aguaplano" del cantautore piemontese
«A parte "Vieni via con me, vieni via con me", che piace a tutti – dice Riccardo Burgazzi, giovane milanese recente vincitore di un concorso letterario di Fara Editore – per essere meno banali mi piace citare di Paolo Conte il brano "Aguaplano" (dall'omonimo album del 1987), un testo molto visionario, meno quotidiano rispetto a "Via del Campo" (di cui aveva parlato in precedenza, ndr; e di cui noi abbiamo parlato in questo articolo). Si tratta di un modo di far poesia veramente da rapimento – spiega – perché sono associate cose che non significano nulla, l'una con l'altra. È un'arte rara quella di far poesia in musica, e la cosa bella è che nessuno degli autori che ci riescono ti direbbero di essere poeti. Ti direbbero che sono cantautori – precisa – e non sarebbe una definizione sbagliata, perché lo sono davvero, dovendo padroneggiare due arti diverse».
In tanti restano spesso affascinati dalla componente visionaria della poesia, che la musica non può che amplificare, grazie all'evocatività del suo linguaggio. Riuscire a regalare visioni, che di volta in volta possono essere vie di fuga, immagini di un mondo possibile o semplicemente frammenti di vita, è un'arte che nobilita la condizione umana. Se poi si tratta di visioni complicate o criptiche, all'artista in questione può sembrare pure che il proprio lavoro appartenga ad uno status artistico "alto". È vero, in effetti, che ogni tanto ai poeti piace il gioco complicato, la difficoltà, rispetto al parlar piano e al dare alle cose il loro nome. Per fortuna De Andrè rientrava nel secondo gruppo.