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Gandini atterra dalla Svezia con un marziano candore
proprio al fianco dei protagonisti della Videocrazia.

 



Film coraggioso, film doloroso, film doveroso.
Gandini, sorvolando intenzioni e mosse antiberlusconiane, atterra dalla Svezia con un marziano candore proprio al fianco dei protagonisti della Videocrazia. Sceglie esplicitamente di conoscerli solo e veramente da vicino, volti ultranoti o mai visti che siano, Erik ha intenzione di ascoltarli, registrarli e riprenderli in profondità zoomando nelle pieghe delle loro esistenze come fossero rughe d’espressione nei volti. Si mantiene al di fuori con l’orecchio teso a catturare le minime vibrazioni cardiache ed epidermiche che percorrono i corpi e le vite dei soggetti che incontra.
Siamo ben lontani dalla caccia allo scoop o alla notizia-bomba: in Videocracy la protagonista è una relazione, un processo, un fenomeno di cui noi pubblico facciamo inevitabilmente parte. E ad essere trasmessi non sono messaggi anti o pro persone o simboli, infatti le braccia del regista e degli spettatori non si ergono al cielo per puntare da lì dita accusatorie contro i petti di celebrità e politici, sono braccia aperte alle emozioni che il documentario racconta, da sé, senza titoli e sottotitoli che meglio spieghino rispetto alla pura rappresentazione della realtà.  
Sono due a mio parere le scene significative e caratterizzanti di questo “Gandini Style”.  
RICKY VAN DAMME
La prima è la storia del ragazzo bresciano che passa la propria vita a sognare di fondere in sé l’essenza di Van Damme e Ricky Martin. E gesticola sul balcone di casa mentre gli si corruga la fronte disquisendo di quanto possa convenire accettare soprusi per fare successo. E di quanto le donne siano maggiormente richieste perché “portatrici sane di audience”.
Apprezzo che Gandini ci permetta di ascoltarlo.
Nel finale lo si vede lasciare lo studio di Mediaset devastato dalla consapevolezza di non poter sfondare il sistema. Il suo volto è mimetizzato nel pubblico e “guarda triste nel vuoto, forse anche lui consapevole in quel momento dello squallore dello spettacolo quando rimane senza luci, senza pubblico, quando svela il nulla che si nasconde dietro il trucco e la cartapesta… Come dire che i sogni muoiono all’alba” ( Luca Franco, da “Schermaglie”).
CORONARSI
Secondo elemento significativo per comprendere il valore della pellicola e il suo distinguersi da altri documentari di taglio maggiormente politico è la modalità con cui è stata ritratta la figura di Fabrizio Corona. Questo personaggio compare inizialmente intervistato nella sua auto e, con un certo fastidio, apostrofa Gandini con un “Mi hai fatto pensare…”. Pensare, detto come fosse la cosa più pericolosa al mondo appunto perché non spettacolarizzabile, non ribaltabile, non declinabile all’uso che si vuole fare della propria persona. È qui che a mio parere Gandini si dimostra una documentarista di grande valore, proprio nel suo saper stabilire un rapporto con Corona e regalarci momenti di consapevolezza e di verità da un tipo come lui. Sarebbe stato molto più semplice per il regista e digeribile per il pubblico il poter liquidare il suo ultranoto personaggio inchiodandolo in una scontata identificazione con il Male. Ecco invece come sulla mano che guida la telecamera vince in maniera eclatante la volontà di cercare di capire il meccanismo che c‘è dietro. E così accade per tutto il resto del film.


Anche a me, ebbene sì, esattamente come a Corona… Gandini “Mi ha fatto pensare!”.
Almeno 3 volte.

1) Ascoltando le parole del regista del Grande Fratello mi appare esagerato sostenere che il flusso delle immagini selezionate per la trasmissione segua il flusso del cervello del Premier: donne carnose e belle, colori, divertimento. Esagerato a parer mio è il voler vedere nel Cavaliere una volontà di creare un mondo a propria immagine e somiglianza. Più ragionevole pensare che l’ipotetica selezione di immagini effettuata o richiesta dal Cavaliere segua la logica della conquista del potere e del piacere: andare incontro ai desideri della maggioranza degli spettatori. Infatti chi cambia canale davanti a balletti ammiccanti che abbagliano con forme sexy e luccicanti paillettes? E…magia! Ecco che il mondo diventa un carillon di sorrisi, opulenza, colori e danze…
Non si tratta di un ritratto del Premier, chi non lo sogna un mondo così?
Poi si può volerci vedere un desiderio di saturare il popolo di piacere per ammansirlo e comandarlo, rendendolo oramai satollo e incapace di reazione. Ma questa è un’altra storia.

2) Noto che il pubblico ride del ragazzo di Brescia mentre, poche scene dopo, non reagisce alla vista dei provini delle improvvisatissime “veline di campagna”. Grottesche e pietose le loro movenze, quanto i discorsi del ragazzo di Brescia che coltiva il suo sogno latino-orientale tra karatè e mosse di bacino. Eppure, forse, il loro “sculettare” si rivela un movimento a cui siamo talmente assuefatti da non sembrarci da deridere quanto invece le considerazioni, buffe ma a modo loro logiche, del nostro “Candide” padano.

3)Un’altra reazione generale che mi colpisce durante l’ultima scena del 1° tempo: un video elettorale girato e pensato alla maniera del Karaoke. Immagini di donne scorrono veloci assieme a musica e testo dell’inno politico. Molti ridono, come davanti ad un musical scanzonato di satira trash. Come se fosse un film! Siamo consapevoli di essere noi i destinatari di quel prodotto e che l’autore-ideatore-promotore di questo ridicolo e umiliante messaggio ci governi da più di 14 anni? Un moto d’indignazione, il mio, in completa dissonanza con l’euforia generale.

ORIZZONTI
Mi soffermo a pensare anche sulla considerazione finale: “Senza la tv, scatola magica in ciascuna delle nostre case, non si può fare nulla. Lì, BASTA APPARIRE”.
Sorrido mentre sento queste parole, chiedendomi fino a quando sarà così ora che c’è internet. Il web sembra minacciare la supremazia di questo parallelepipedo che ogni giorno emana colori e onde di pensieri nei soggiorni di ciascuno di noi. Penso infatti agli Stati Uniti e all’Afghanistan, a come, diversamente ma con la medesima viscerale potenza, internet è riuscito a modificare i valori di questi paesi e a scardinare la loro tradizionale e castrante modalità di veicolazione precedente.
Fino a quando dobbiamo attendere?
Quando uscirà quel film sugli schermi Italiani?
Per ora, come accade per molti capolavori di successo internazionali, qui non si è ancora trovata una casa di produzione che distribuisca questa storia. Eppure ha anche un lieto fine.

NOI PUBBLICO
Esco dalla sala un po’ attonita, i commenti generali formano un coro che all’unisono pare intonare “me ne rendo conto”. Anche durante la proiezione la platea, dimostratasi nelle scorse esperienze sempre molto educata e silenziosa, oggi mi sorprende per rumorosità e indisciplina. Colpa (o merito) di Videocracy questa inquietudine?
Pare che le persone si sentano nel salotto di casa: scambiano considerazioni con i vicini di poltrona o parlottano tra sé e sé, come se stessero stirando o mescolando la cena mentre la tv serve loro lo spettacolo quotidiano.
Spente le luci ci accoglie una trasmissione in bianco e nero, una delle prime tv private: una casalinga si spoglia all’interno di un quiz tv. Si interrompe il bianco e nero d’annata e immagini, come spari di luce, lampeggiano sullo schermo illuminandoci i volti ancora candidamente osservanti. Restiamo ipnotizzati dal susseguirsi di seni e sederi che, in rigoroso ordine cronologico e perfettamente in sincrono con il ritmo crescente delle percussioni in sottofondo, ricostruiscono la storia della nostra televisione. Ipnotizzati fino all’applauso finale, catartico e liberatorio per i molti che hanno trattenuto il respiro osservando la nuda evoluzione subita dal paese negli ultimi 30 anni.
Mi guardo attorno mentre sullo schermo troneggia il titolo, VIDEOCRACY – BASTA APPARIRE. Sono certa che ciascuno dei presenti da un frame in poi si è ricordato, bambino o adulto, ma di esserne già stato spettatore. Da lì in avanti, sì. Spettatore. Tacito fruitore. Destinatario di messaggi. Contenitore di valori.
Fino ad adesso. Piccole dosi di tv, metadone scalato al contrario fino all’odierna assuefazione.