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E che tu sia genio o vermetto, funziona comunque

Ecco un commento a caldo, e a ritmo, quello delle trombette vivaci che accompagnano i titoli di coda, le stesse canzonette jazz delle preziose scene incastonate nel film di Allen. E’ quella del classico Woody la colonna sonora, spensierata e vitale, in perfetta antitesi con i discorsi iniziali del protagonista, mancato premio nobel ma ottimo maestro di vita, così pare. Melody infatti impara da lui a liberarsi di lui, da questo Boris acido e fissato, disfattista. E’ uno zoticone che toglie la bella ragazza ingenua dalla strada, la ingoia nel suo mondo fatto di leggi fisiche e cinismo e la risputa al mondo donna più che mai consapevole. Infatti nel secondo tempo Melody non è già più una sprovveduta ragazzina, ma una mente brillante e fervida, sempre molto attraente, ma ora capace di spiegare il principio di indeterminazione di Eisnberg  attraverso il “menage à trois” che la madre, ex bigotta, intrattiene in un appartamento di Manhattan. Le pareti, tappezzate di collage di nudo, completano il ritratto della donna, moglie tradita e abbandonata, che era giunta a NY per ritrovare la figlia e riportarla sulla retta via.


“Basta che funzioni” è un film di metamorfosi frutto del caso, o, forse, destinate ad avvenire in qualsiasi caso. Non c’è assurdità, o tema attuale e provocante, su cui Woody Allen risparmia una battuta: la pellicola è un ricettacolo di frasi da scriversi sull’agenda per poterle citare alla prossima cena con amici. Non abbiamo tregua, ironia e umorismo, mai sconfinanti in satira pesante, ci avvolgono piacevolmente, rispettosi ma irriverentemente coinvolgenti. Il pubblico ride continuamente rischiando di coprire così la battuta successiva: questo rende l’idea dell’indice di gradimento di  “Basta che funzioni” e del ritmo a cui lo spettatore è sottoposto.


Inserirei nel mio i-pod se potessi il monologo in cui Boris descrive Melody appena dopo il loro matrimonio, il ritratto che ne fa la voce fuori campo accompagna le immagini della loro vita di coppia è di una dolcezza che in Woody Allen non avevo mai trovato, e neanche altrove. Originale serenata di un genio.

Ma sono tante le frasi che tarderanno ad abbandonarmi, come molte altre “chicche”  della filmografia di questo genio regista,  ma stavolta anche le storie narrate, che in molti altri suoi film terminavano con “the end”,  mi rimangono appiccicate addosso, come se il cerchio per alcuni non si fosse chiuso”. Parlo di personaggi ancora in divenire, come Melody e suo padre, o come la compagna di Boris, la medium dai caldi occhi bruni: esistenze che lasciano aperta in me una finestra per riflettere sul grado di conoscenza e consapevolezza del sé che ognuno di noi può raggiungere. E penso a come non esista un momento della propria vita in cui non valga la pena di svoltare l’angolo…o di buttarsi dalla finestra, ovviamente se si è certi di piombare proprio sulla donna, o sull’uomo, della propria vita!