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Un kolossal fuoristrada per troppa passione: perdonabile.


Baaria è un Kolossal dalle dimensioni colossali, questa è la prima impressione, presto certezza quando scena dopo scena viene confermata dal’intreccio e dal tono narrativo oltre che dal vastissimo cast perfettamente vestito e truccato in perfetta sincronia con lo scorrere degli anni nella narrazione.

Siamo di fronte ad una storia da romanzo epico dove i sandali calpestano il viale principale polveroso di un paesino della Sicilia e, qualsiasi cosa accada, c’è sempre un coro di persone e di animali che assiste alla scena, spesso con sguardo perso o stupito, dipingendo un perenne sfondo popolare quasi statico che dona un tocco di folklore alle vicende, intime o politiche che siano.

Alla lunga questa presenza risulta fastidiosa e innaturale, a mio parere: la folla perde funzionalità forse a causa del suo estremo essere statica, inoltre, con l’arrivo degli anni ‘80, comincia a risultare anche anacronistica. Dell’effetto folla, però, non ce ne si accorge subito perché per la prima mezzora lo spettatore è impegnato in una corsa disperata, senza fiato, assieme al bambino che deve portare le sigarette al vecchio giocatore di carte prima che se ne asciughi lo sputo. Anche noi, sulle poltrone, rincorriamo gli eventi, i personaggi, il loro legami e i vari contesti introdotti di continuo e, spesso, difficili da cogliere velocemente.

Una volta attenuatasi la sensazione di confusione, forse causata della corsa frettolosa e della troppa folla da cui non ho potuto rifuggire, riconosco la sensazione globale che la pellicola mi ha lasciato negli occhi ed è piacevole.

“Baaria” narra una vicenda sicuramente ricca di emozioni, la prima ad essere percepita è quella che il regista ha provato nel mettere in scena questa storia, sicuramente speciale per sé stesso e per le persone che ama. E questa passione è talmente forte da essere da me percepita come una presenza fisica e viva: un grande cuore sanguigno che batte dietro lo schermo, ne percepisco il ritmo e la vitalità in ogni scena e in ogni inquadratura, e così accade che ogni eccesso, e ce ne sono tanti nel film, venga perdonato. Almeno da me.
Troppi temi trattati e troppi generi alternati nelle riprese, troppi volti protagonisti. E anche troppa musica: a volte, seppur splendida, esagera in trionfalismo e pomposità. Troppi minuti seduta e infine troppe chiusure: per gli ultimi 40 minuti mi assale la continua sensazione che il film stia per continuare, invece la narrazione fa una capriola e prosegue, fino ad una chiusura di cerchio a mio parere troppo esplicita e dichiarata, quasi matematicamente calcolata.

Bravo l’attore protagonista, meravigliose le inquadrature dalle tre rocce da toccare con una pietra in un unico lancio, indimenticabile la scena in cui un Raul Bova giornalista ascolta dalla bocca del protagonista la storia di quella terra e di quelle cime selvagge che si identificano grazie ai morti di e per mafia.


Avete presente un bambino che entra in un paese dei balocchi dove basta desiderare pupazzi e trenini e  acchiapparli per farli propri?Lo vedrete uscire con le braccia stracolme di tesori, dal classico orsetto con gli occhi a bottone all’ultima invenzione tecnologica per la consolle, una bracciata traboccante di vari generi di preziosissimi oggetti che trasudano emozione e promettono piaceri futuri e ore liete. E’ un po’ così che immagino il regista del film visto oggi, un uomo ancora un po bambino con le braccia colme di irrinunciabili “cose da raccontare”. Tornatore è un maestro e pur sovraccarico non inciampa perdendo l’equilibrio ma il suo procedere un po’ a zig zag risente della mancata selezione degli argomenti e dei temi da inserire nella pellicola.
Tanti, troppi tesori anche per chi vede “Baaria”, e non tutti sono così abili da non inciampare, come il regista, e trattenerli tutti con sé, per il momento mi accontento della mia parte, in attesa di altri suggerimenti dal pubblico.