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Va in scena a Deauville un inedito di Shakespeare che dura solo pochi minuti:
una parabola fulminante sull’ossessione del potere e le sue estreme conseguenze.

 

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La sera prima mi ero perso i notiziari.

Al mattino, su YouTube, ho visto la famigerata sequenza.

Deauville, G8. Un enfant terrible in abito scuro e cravatta, solennemente imbronciato, sta in agguato mentre i maestri prendono posto al tavolo.

Un lampo improvviso gli abbaglia lo sguardo.

Le labbra si stringono intorno a un sorriso subliminale. Sembra pronto a qualche vendetta.

Si aggira nell’ombra, ignorato.

Confabula con un fotografo e con una interprete.

E poi, e poi.

La mano sulla spalla del preside.

L’accusa soffiata all’orecchio.

«Prof, Pierino mi ha rubato la mela.»

Come si può odiare uno così?

Non odio, non vergogna.

Ma uno smisurato sentimento di pietà. Questo è ciò che ho provato.

Fossi stato Obama, avrei cinto con un braccio le sue spalle.

Gli avrei detto:

«Piangi, fratello, sfògati. Ti farà bene. Ecco, appoggia pure la testa sulla mia spalla.»

E poi:

«Lascia perdere la giustizia. Lo sai: è una zia arcigna, non perdona nessuno. È fatta così. Abbi fiducia, invece, nella psichiatria e nella neurochirurgia. In America abbiamo centri di eccellenza dappertutto: da Boston a Baltimora, da New York a Houston. Scegli il posto che vuoi, ti ci faccio accompagnare da Michelle. Non aver paura: un ospedale non è un tribunale.»

Come si può odiare lo smemorato di Collegno?

O lo zio di Amarcord che sale sull’albero e grida “Voglio una donna”?

O il buffone di corte delle tragedie shakespeariane? (Sì, il fool di solito diceva la verità mentre Silvio dice le bugie: embè? Non vorremo mica attaccarci a simili dettagli).

Non vi siete mai intristiti al circo, quando il più sfigato dei clown cercava disperatamente la vostra attenzione?

No, ho smesso di vergognarmi per Silvio Berlusconi. Veronica l’aveva detto chiaro e tondo che era malato. Adesso sono in tanti a dire di lui la stessa cosa.

Non è del malato né della malattia che bisogna vergognarsi, ma di chi ci specula sopra. Di chi la trova redditizia. Di chi tiene in vita il potere del despota con ipocrita accanimento terapeutico, spacciando il suo sballamento come unica forma possibile di saggezza in un paese che non può o non vuole permettersi il lusso della legalità e della ragione.

Non l’individuo Berlusconi bisogna medicare con la frusta, ma gli zelanti cortigiani che dan fiato alle sue trombe; i suoi burattinai e i suoi ventriloqui; gli affaristi di anime morte, che fingono di crederlo vivo e vegeto solo per mantenere il culo al caldo; coloro che sublimano la sua follia per farne mercato personale e di gruppo. Sono loro i veri cattivi: gli Alfano e i Cicchitto, i Ferrara e i Sallusti, i Belpietro e le Santanché, i Capezzone e i Verdini, i Cosentino e i Dell’Utri, i Ghedini e le Gelmini, per non dire della Lega tutt’intera. Gli innumerevoli misericordiosi o miracolati che accreditano qualunque paradosso, qualunque gaffe, qualunque capriccio d’un povero ricco bambino invecchiato, viziato, vizioso, impaurito, molesto.

Berlusconi dovrebbe riposare a letto tra soccorrevoli infermiere. Maggiorenni, possibilmente.

Gli autori di Vorrei
Pasquale Barbella
Pasquale Barbella