A Barcellona l'intergrazione degli immigrati
parte dall'architettura e dalle olimpiadi
Secondo le statistiche municipali di Barcellona uscite questo mese, l'anno passato si è chiuso con una popolazione immigrata di Barcellona di 294.918 mila persone, il 18% rispetto alla popolazione totale, 14 mila in più rispetto al 2008.
La crescita piu bassa degli ultimi dieci anni se si eccettua quella del 2006. Quasi il 50% delle persone immigrate sono latinoamericane, il 26 % della UE, il 7% africane e il 18% asiatiche.
E' l'italiana la comunità più numerosa in Barcellona, con 22.684 persone che figurano nel registro amministrativo (non vuol dire che siano residenti, ma che vivano a Barcellona per un tempo x e necessitano accedere ai servizi di base). Di questi, più della metà sono italiani perchè figli o nipoti di ex emigranti italiani in Sud America. Solo il 45% sono gli italiani presenti a Barcellona e nati in Italia.
Seguono gli equadoregni, i pakistani, i boliviani e i peruviani.
La maggior parte della popolazione immigrante vive nel centro storico (Ciutad Viella y Raval). Più della metà degli abitanti del Raval (quartiere centralissimo ad ovest della Rambla) sono pakistani, filippini e indiani.
Io vivo nel Raval, nella strada che delimita, secondo la convenzione, il Raval alto, cioè la parte più ricca ed elegante del barrio, dal Raval basso, il barrio più sporco, caotico, criminale e "illegale" di Barcellona. Molti urbanisti, sociologi, studiosi, giornalisti, tessono le lodi di Barcellona come città esempio di convivenza pacifica.
Marcello Foa ne "Il Giornale" di sabato 11 03 07 scrisse:
"Eppure non percepisci tensioni. I ragazzini giocano per strada, le donne passeggiano tranquillamente, le studentesse straniere, che adorano abitare al Raval, rientrano a qualunque ora della notte e nessuno le importuna. Nelle piazze e agli incroci, la gente si ferma a chiacchierare. C'è vita, vita da quartiere. E quando passa l'auto della polizia il clima non cambia, nessuno si irrigidisce. Non è come a Parigi, dove «le flic» è visto come un nemico.
E allora ti chiedi: perché Barcellona riesce dove gli altri stanno fallendo?"
Si fa rispondere dall'antropologo italiano La Cecla e dall'architetto artefice del famoso rinnovamento urbanistico di Barcellona degli anni ottanta, Josep Acebillo. Sotto l'impulso dei giochi olimpici, secondo i due esperti, Barcellona fu tirata a lucido grazie a "una politica intelligente che permette di evitare i ghetti e costruisce piazze, spazi nuovi come la Rambla del Raval - una rambla di più piccole dimensioni che collega il raval alto con il basso - una politica in cui la generosa accoglienza riservata agli immigrati va di pari passo con la rigorosa difesa dell'identità dei catalani".
Ora, per non svalorizzare un piano di riabilitazione per il solo fatto di essere nato in funzione dei giochi olimpici, mi è sembrato più professionale andare alla ricerca di un documento che potesse chiarificare il piano di riabilitazione del Raval. "Derribos no, rehabilitacion si" ( smantellamento no, riabilitazione si): è una scritta sul muro a darmi il primo indizio. La riabilitazione ha portato con sè la demolizione di centinaia di palazzine popolari per far spazio a hotel di lusso in funzione del decollo commerciale del barrio più denso di immigrazione. Per chi voglia saperne di più c'è il documentario "En costruccion" di José Luis Guerín ( 2001), due ore di girato in cui l'autore riesce a trasmettere l'impossibilità di riconciliare le teorie urbanistiche con gli interessi reali e il grado di alienazione degli abitanti sfollati. Nel modello della comunità catalana quasi non c'è spazio per un barrio come Il Raval. Riabilitare ed integrare in nome della sicurezza e del mercato.