Il lavoro ha al Nord una specie di dimensione mitica, ricordata anche da straordinarie maschere della comicità nazionale. Ecco, un mito… ho come l’impressione che l’aura leggendaria finisca un po’ per sfumare i contorni del reale. A me, tutto questo nordico ammazzarsi di lavoro sfugge nelle sue grandi linee.
Ho un’ottica distorta, strabica, presbite e vedo che ad altre e più meridionali latitudini, quando si lavora (quando, per l’appunto), si lavora ben di più, grandemente di più. Il sabato libero, a Sud, per lo più non esiste. È impegnato da metà giornata in azienda. E, se serve, si impegna pure il pomeriggio, ogni tanto, per una riunione di coordinamento. L’orario di ingresso e uscita non è mai flessibile: fai 9 o 10 ore pagate per 8 (quando va bene) e zitto, senza fiatare, perché il permesso è una gentile e parsimoniosa concessione. Se poi lavori in attività a forte stagionalità (es. turistico-ricreative e del loro indotto) diventano normali i periodi di 16-18 ore al giorno, sabato compreso e arrivederci a famiglia e affetti.
L’economia, per una volta, ha una spiegazione: è una questione di produttività (che può essere definita, approssimativamente, come il rapporto tra la quantità di output e le quantità di uno o più input utilizzati per la sua produzione). Essendo il Nord più produttivo (migliore organizzazione del lavoro, più economie di scala, maggiori automazioni, ecc.), per ottenere lo stesso risultato bastano meno input, meno lavoro. Meno male!
Eppure, sembra che le sorti del Paese siano tutte sulle atlantiche spalle dei lavoratori del Nord, che solo al di là del Po si conoscano ritmi folli e conseguenti ambasce quotidiane. Lo stress, ah lo stress del sempre di corsa… vorrei misurarla questa corsa, questa capacità aerobica: temo che qualcuno, oltrepò, finirebbe per somigliare a uno spompato Ben Johnson (doping compreso), a vantaggio di magri corridori calabro-sauditi, etiopico-cilentani, kenian-murgiani.
Supermercato Esselunga di uno dei comuni del primo hinterland milanese, alcuni addetti sono in pausa a fumare una sigaretta nella piazza che si apre davanti all’ingresso. Un giovane, segaligno e olivastro, dice a un collega tirando una boccata: «Ma secunnu a ttia mu fannu fari u straurdinariu? Pi mmia puru ottu ure su na fumata cumu a chista». [Ma secondo te me lo fanno fare lo straordinario? Per me, anche otto ore sono una fumata come questa].