Dalla notte dei tempi ai giorni nostri, l’amore si conferma il motore (a volte da revisionare) del mondo. Lo possiamo leggere nelle scritte sui muri delle nostre città
Le massime, i detti, i proverbi sull’amore si sprecano. Si va dall’“omnia vincit amor” di virgiliana memoria al più prosaico “ogni scarrafone è bello a mamma soja” di incerto autore. Il topos è indubbiamente tra i più praticati della storia umana. E figurarsi se non lo si pratica, ecumenicamente, da Sud a Nord. La liturgia è la stessa, si officia il medesimo rito, scegliendo spesso le stesse parole. C’è chi si impegna di più e cerca lo svolazzo lirico o la condizione artistica, chi invece pesca nell’armamentario della più trita retorica. Sì, perché parliamo di “versi” scritti, quelli che, a differenza delle parole, rimangono (a volte sul cuore, a volte sul groppone).
Guardare i muri delle città italiane, in una casistica miscellanea per latitudine, è significativo. Abitiamo in nuove Pompei, senza lupanari ufficiali, ma comunque con numerose scritte attraverso le quali riflettere sul motore (ingrippato?) del mondo che è il sentimento amoroso.
Ecco alcuni esempi, in un giro archeologico di esplorazione della modernità artistico-letteraria.
Partiamo dai melensi, genere sempre fecondo di struggimenti spacca-zebedei da sturm und drang de noantri:
1 – il superclassico, in versione multietnica:
2 – Ma c’è il sorpasso da parte del neoclassico postpitagorico (nel senso che mischia e sintetizza parole e numeri perché seguace della filosofia postscrotoniate degli ad minchiam che Pitagora lo ha bello che dimenticato):
3 - Voilà l’uomo della scienza, neopositivista per antonomasia, che si spinge verso il big bang della coronaria:
4 – Oppure quello che rimarca il concetto einsteniano del continuum spazio-temporale, nel dubbio non sia chiaro:
4 – L’amor panico eccolo infine nella versione del melenso vezzeggiante che, superata la lezione dei classici, dei postpitagorici, dei postpositivisti e neoeinsteiniani, mostra già evidenti segni di barocco semiotico:
Oltre ai melensi, ci sono poi quelli che copiano, per andare sul sicuro (principio di autorità: se lo ha detto lui, allora va bene). Si pesca nella canzone per significare il proprio amore… ed esprimere dubbi in merito:
Canzone e scuola medica salernitana in questo esempio, sia chiaro:
… con pericolosi rigurgiti di sofferenza nello svolazzo barocco (aridaglie):
Il rigore romantico, quasi manzoniano, lo si incontra qui, nell’accenno di poesia dal finale aperto a mille significati:
Ma, dai finali aperti, spesso si trascende apertamente nel drame bourgeois, nel dolore della perdita, negli errori (nelle corna, insomma):
… si arriva a sottintendere finali tempestosi e apertamente struggenti:
… per confluire in un roboante mea culpa che tanto sarebbe piaciuto a quell’infigardo manierista e iperbolico del Guido Reni:
Per finire, colui che si fa carico del problema (il tradimento) e chiede la civile ricomposizione:
Ma siccome l’amore trionfa sempre, si torna sul luogo del delitto, per riassaporare il sapore di quel che è stato. Puro Dostoevskij…
L’amore, però, fa anche brutti scherzi, rompe schemi, remore e indugi, ci trasforma in esseri irriconoscibili. Ci vorrebbe, a volte, la neurodeliri:
Ma se la neurodeliri non interviene, ecco che fine si fa: il passo dal mondo immaginario alla pura spazzatura è brevissimo:
Ci vuole grande sforzo per recuperare il senno. Aiuta un po’ di sano pragmatismo nordico, milanese, che va dritto al cuore della questione, elencando le specialità della casa con un ruvido marketing…
… oppure si affida al ricordo dell’amour fou nella sua versione monzese:
Chiusura nella grandezza del giorno per giorno, della pazienza, della virtù trasmessa dall’esempio. L’amore maturo e consapevole significa riconoscersi reciprocamente e, soprattutto, imparare ad amare i piccoli difettucci del partner per una serena e lunga vita insieme…