“Perché la lapidazione? Non ci sono in Iran altri modi per uccidere?
Perché è il più abominevole di tutti. Perché questo attacco contro il viso, questa pioggia di pietre su un volto innocente e nudo, questa crudeltà che codifica le dimensioni dei ciottoli per garantire che la vittima soffra a lungo, è una rara concentrazione di disumanità e barbarie.
E perché c’è, in questo modo di distruggere un volto, di strappare la carne e di ridurlo in una pozza di sangue, perché c’è in questo gesto di bombardare un volto fino a sfigurarlo, qualcosa di più che uccidere. La lapidazione non è una punizione. La lapidazione è la liquidazione della carne a cui si fa il processo, in qualche modo retroattivo, essere stata questa carne. Solo carne: la carne di una giovane e bella donna, forse amante, forse amata, e avendo forse goduto della felicità di essere amata e di amare.” (Bernard-Henri, saggista francese)
Si moltiplicano petizioni e richieste ufficiali a Teheran e in tutto il mondo per salvare Sakineh. Il 2 novembre 2010 il Comitato Internazionale contro le esecuzioni riferisce che le autorità di Teheran hanno dato l'autorizzazione per la condanna che sarà eseguita nella prigione di Tabriz il 3 novembre. Dalle ultime agenzie di stampa risulta che la sua condanna, prevista per oggi mercoledì 3 novembre 2010, è stata momentaneamente sospesa.
Le autorità iraniane comunicano di aver deciso di commutare la pena della lapidazione in impiccagione, questo a seguito delle dure proteste della Comunità internazionale e di una martellante campagna della stampa straniera. Le probabilità di un’imminente esecuzione di Sakineh sono sempre molto alte.
Chi è Sakineh?
43 anni, madre di due figli. Condannata per la prima volta il 15 maggio 2006, da un tribunale di Tabriz, per il reato di "relazione illecita" con due uomini in seguito alla morte del marito. E’ rinchiusa da 4 anni nella prigione di Tabriz, nella regione nord-occidentale dell’Iran. Dopo il suo arresto, nel settembre 2006, ricevette una nuova condanna perché ritenuta complice nella morte del marito.
Malek Ejdar Sharifi, capo della magistratura nella provincia di Azerbaijan affermò, in quella occasione: "La donna è stata condannata alla pena capitale per aver commesso omicidio e adulterio." La Corte Suprema iraniana confermò la sua condanna a morte il 27 maggio 2007 rinviata, in seguito, solo per l’intervento dell'Ayatollah Ali Khamenei che ne impedì l’esecuzione. Il 12 agosto 2010, dalla prigione iraniana Tabriz, fu trasmesso un programma televisivo di Stato nel quale Sakineh fu costretta a confessare l’adulterio e il suo coinvolgimento nell'omicidio del marito. Una confessione, secondo il suo avvocato, frutto di torture inflittele due giorni prima del colloquio.
Povera Sakineh!
Forse le hanno detto che stamane, all’alba, l’avrebbero impiccata. Forse l’hanno fatta preparare come se questo fosse stato l’ultimo giorno della sua vita. Forse le hanno permesso di scrivere una lettera con le sue ultime volontà. Un’ennesima tortura psicologica che si aggiunge alla pena da infliggerle. Sajad 22 anni, suo figlio più grande, in un’intervista a Bernard Henry-Lévy, dichiara :
“Se voi non ci foste, mia madre sarebbe già morta…vi prego non mollate, non abbiamo nessuno, a parte voi, che ci tenga la mano, bisogna raddoppiare le pressioni sulla Repubblica Islamica.”
E noi non molleremo, Sajad. Cercheremo di dare voce a tutte le donne iraniane oppresse e minacciate che rischiano la lapidazione. Nei Paesi islamici più radicali, nelle regioni più rurali, più povere e meno istruite, sono ancora molte le donne condannate a questa pena iniqua e barbara. Le loro sentenze vengono emesse sulla base di processi sommari, sulla base delle testimonianze degli uomini del villaggio.
La nostra voce si aggiunge a queste altre voci, in un unico coro:
“Basta” dice Joumana Haddad, poetessa e dal 1997 giornalista della sezione culturale del quotidiano libanese 'An Nahar', per esprimere lo sdegno per la lapidazione di una donna.
Sahar Tawfiq autrice del Cairo Sahar Tawfiq : “Quella delle donne condannate alla lapidazione è una realtà terribile, a cui bisognerebbe porre fine…tante donne vengono condannate o sono già state uccise in un modo così crudele.. ''
Karima Moual, giornalista marocchina del Sole 24 Ore:
“La condanna di donne alla lapidazione è una ''realtà che non si può tollerare…sono molte le donne che si trovano nella situazione della Sakineh in quei Paesi dove ancora oggi si ricorre alla lapidazione …non si può tollerare che ci sia ancora nella nostra epoca questa realtà, che donne vengano uccise barbaramente in modi del tutto primitivi e sono moltissime le donne che purtroppo si trovano a subire discriminazioni sessuali anche in altri ambiti''.
Mahnaz Afkhami - Stop alle ''persecuzioni delle donne'' in Iran. E' l'appello lanciato da Mahnaz Afkhami, ex ministro degli Affari femminili del governo di Teheran e scrittrice, che ha dato il suo sostegno all'iniziativa di AKI. ''Chiediamo - ha detto - che il governo iraniano fermi le persecuzioni contro le donne e abolisca la pratica selvaggia della lapidazione''.
Layla Joude - La giornalista di origine siriana dà il proprio sostegno all'iniziativa di AKI. ''E' giusto che noi intellettuali portiamo avanti queste battaglie'', commenta la Joude, che cura un blog sugli immigrati di seconda generazione, 'Gli altri siamo noi', per il sito del quotidiano 'La Stampa' e lavora per il settimanale 'Yalla Italia'.
Asmae Dachan - Scrittrice di origine siriana, aderisce all'iniziativa di AKI. La Dachan segue da vicino le vicende della comunità islamica in Italia ed è stata portavoce del dipartimento femminile dell'Unione delle Comunità islamiche (Ucoii).
Iman Sabbah - Di fronte alla condanna a morte di una donna per lapidazione ''non si può tacere''. Ne è convinta Iman Sabbah, giornalista di origini palestinesi di 'RaiNews24' e 'RaiMed'. ''Non si può tacere quando i diritti fondamentali vengono negati alle donne, ma anche agli uomini e qui parliamo del diritto più essenziale, quello alla vita'', commenta la Sabbah che ha aderito all'iniziativa di AKI.
Manda Zand Ervin - La condanna alla lapidazione di Sakineh Mohammadi Ashtiani "è un atto barbaro" ed è un dovere "aderire" alle iniziative promosse per salvarle la vita. E' quanto afferma l'iraniana Manda Zand Ervin, scrittrice e attivista per i diritti umani, che aderisce con convinzione all'iniziativa di AKI.
"Le donne iraniane - afferma la Zand Ervin, direttore dell'organizzazione con sede in Usa 'Alleanza per le Donne Iraniane' - sono da 120 anni in lotta con il clero islamico per ottenere dignità. Nella Repubblica Islamica - aggiunge - le donne non sono considerate essere umani". La Zand Ervin lancia un appello per salvare Sakineh.
"Il rispetto dei diritti umani - conclude - è una questione globale che interessa tutti. Per questo motivo, ora è più che mai importante che le donne occidentali sostengano le donne iraniane in difficoltà".