Si sono suicidati, diventando un simbolo per l’umanità. Lui torturato e violentato con l’unica colpa di essere amico di un oppositore. Lei, dopo la morte del suo amato Behnam beve una dose di veleno e dà l'addio su facebook.
“Forse, se tu sapessi quanto qualcuno ti ama, potresti tornare dalla morte”
Nahal
“È di nuovo giovedì. Vieni Behnam. Balliamo insieme ancora una volta, di giovedì”
E’ il 28 settembre 2011. E’ l'ultimo messaggio di Nahal, amaro come il veleno, lasciato sul blog da quell'ultimo straziante addio. Si toglie la vita a 28 anni con un'overdose di farmaci per aver perso Benham, il fidanzato 22enne, studente di Scienze applicate all’Università di Teheran, torturato e spinto alla morte dal regime.
Ventotto giorni dopo la morte del suo amato Benham, Nahal Sahabi, la maestra d'asilo, lo raggiunge. E’ancora giovedì. Una storia d’amore che ricorda quella di Giulietta e Romeo. Una storia triste e drammaticamente vera.
Nahal e Benham si conobbero di giovedì, si incontravano ogni giovedì, il giorno libero di lei dal lavoro, per ballare ed amarsi.
Si tolgono la vita entrambi, sempre di giovedì. Quei volti belli e disperati diventano un atto d'accusa al regime, il simbolo della protesta, della rabbia, di quel disperato senso d'impotenza che si trasforma in odio e risentimento.
La vicenda
Behnam Ganij, 22 anni, viene arrestato il 31 luglio 2011 insieme all’amico Kouhyar Goudarzi, 25enne attivista per i diritti umani, noto alle autorità iraniane, coinvolto nelle proteste contro la rielezione del presidente. E’ l'Iran di Mahmoud Ahmadinejad un paese dove le vite degli altri sono strumenti nelle mani dei carnefici. Vite da piegare.
E’ fine luglio, gli agenti del ministero dell’Intelligence bussano all’appartamento di Kouhyar. Ammanettano anche Benham perché testimone scomodo. Li sbattono entrambi nel carcere di Evin, a Teheran: luogo simbolo della
repressione dell’opposizione definito in un rapporto ONU del 2003 “una prigione nella prigione” dove restano per otto giorni. Benham è tenuto in isolamento, interrogato, torturato.
Hanno cercato di strappargli una confessione contro Kouhyar, una prova del suo collegamento con il Mek, il partito dell’opposizione del Mujahedin. Secondo il The Times, quotidiano britannico, i due amici sarebbero stati violentati a turno e minacciati con i bastoni. Benham cede.
E’ ormai un uomo senza più anima, distrutto dalla vergogna per quello che ha subito, in preda ai sensi di colpa per quello che forse ha confessato. Quando esce è un uomo finito. Non esce più di casa, non parla, rifiuta di vedere persino Nahal. Si lascia devastare dalla depressione. Il primo settembre prepara il cocktail letale e muore.
Anche Nahal ha paura. Molta paura. Paura di essere rapita, violentata, torturata. Nahal è sola. Chiunque l'aiuti rischia lo stesso girone infernale.
Sul suo blog scrive: «Hey Benham disgraziato cosa devo fare senza di te, magari se riuscissi a farti capire quanto ti voglio potresti rinunciare alla morte».
Quattro settimane. Solo quattro settimane la separano da Benham .
E’ il 28 settembre, sulla tastiera l'ultimo addio: “È di nuovo giovedì. Vieni Behnam. Balliamo insieme ancora una volta, di giovedì”
Non mangia che colombe l’amore e ciò genera sangue caldo,
e il sangue caldo genera caldi pensieri
e i caldi pensieri generano calde azioni, e le calde azioni sono l’amore.
W. Shakespeare