"Colui che crede che la crescita possa essere infinita in un mondo finito, o è un folle o è un economista"
Abbiamo una grande fiducia nel progresso, da bravi razionalisti. La convinzione che la scienza e la tecnica possono risolvere tutti i problemi dell'uomo, compresi gli attuali cambiamenti climatici, crisi energetiche, fame nel mondo, e crisi socio-economica, è ormai parte del DNA dell'uomo e della donna occidentale. Siamo “forgiati” di un illuminismo che rasenta il fanatismo.
Facciamo qualche esempio. Qualche anno fa nelle Americhe (sia Nord che Sud, sia Bush che Lula, sia destra che sinistra) si diffuse la convinzione che i biocarburanti avrebbero risolto il problema della fine del petrolio. Non ci volle molto a capire che i costi ambientali ed economici connessi alla coltivazione intensiva di essenze oleose (soia, colza, mais, ecc.) e specificamente al petrolio necessario in concimi di sintesi, anti parassitari, uso dei macchinari agricoli, ecc. erano di gran lunga superiori a quelli dell'estrazione petrolifera diretta, peraltro sempre più complessa. A questo si aggiunse la crisi alimentare che fece schizzare in alto il prezzo dei cereali: quando la finanza fiuta aria di affari, non sta certo con le mani in mano!
Un altro esempio sotto gli occhi di coloro che li sanno e li vogliono usare, è il ritorno al nucleare. Essendo ad emissioni zero (di CO2, ma di radiazioni?) si dice che non ne possiamo fare a meno, visto il miglioramento tecnologico in termini di sicurezza. Peccato che nessuno abbia ancora risolto il problema delle scorie, che lasceremo in eredità ai posteri per migliaia di anni (non mi risulta che ne sia stato smaltito neppure un grammo fino ad oggi ed i depositi italiani cominciano a mostrare la pericolosa usura del tempo).
L'ultimo entusiasmo internazionale è quello che guarda al litio, il materiale base per le batterie di ultima generazione che si dovrebbero utilizzare nell'auto elettrica. Oggi concentrato e reperibile in natura in poche zone del pianeta (Bolivia, Cile, Afghanistan), la storia sembra ricalcare quel colonialismo sulle materie prime che abbiamo saputo attivare in innumerevoli situazioni: “comprare” il materiale per quattro soldi e molte tangenti al potente locale di turno, lavorarlo in occidente e metterlo sul mercato tenendosi tutto il valore aggiunto prodotto. Ma il litio, come il petrolio, il ferro, il rame, il coltan, sono materia disponibile ENTRO UN LIMITE, dunque non potranno essere, ciascuno di essi, la base della soluzione strategica al problema energetico.
Il problema non è SOLO quello di ridurre il consumo di carburanti e di emissioni nei trasporti, ma quello di ridurre il trasporto di merci, e di ridurre gli spostamenti individuali. Il problema non è quello di “favorire la fluidità del traffico” asfaltizzando e cementificando quel poco di territorio che resta, bensì quello di ridurre il numero di veicoli privati. Non basta passare all'auto elettrica: occorre usarla di meno o comunque in modo diverso. Cambiare i nostri riferimenti etici ed estetici rispetto alla mobilità (che è solo un campo considerato in queste righe, il ragionamento è estensibile a molti altri) ci aprirebbe orizzonti inesplorati, anche in termini di socialità, di convivialità e di salute. Si tratta di apprendere come convivere con il limite.
All'inizio di questo millennio, dovremmo avere tutti gli strumenti “razionali” e culturali per comprendere l'ineluttabilità del limite. Non può bastare la eco-efficienza sul piano tecnologico per risolvere il problema della scarsità e del limite: essa è doverosa e necessaria ma non basta. Accanto alla fiducia nella scienza e nella tecnica dobbiamo imparare la sfida della “SUFFICIENZA”, della sobrietà, della riduzione dei consumi, della riduzione produttiva dei beni materiali, perchè "colui che crede che la crescita possa essere infinita in un mondo finito, o è un folle o è un economista” (Kenneth Boulding).
Sergio Venezia
s.venezia@brianzaest.it