La Grande Distribuzione è ormai così potente da determinare i prezzi dei prodotti e da incamerare una larga percentuale degli stessi. La Brianza è il territorio europeo a più alta densità di superfici destinate a Centri Commerciali ed anche quello dove il consumo di suolo ha superato il 50%
Il Commercio Equo e Solidale (C.E.S.) nasce in Olanda sul finire degli anni '70 e si basa su alcuni semplici presupposti: favorire la nascita di un mercato con regole “eque” anche per le popolazioni situate negli stati più poveri del pianeta, che devono sottostare alle condizioni spesso imposte nelle sedi delle borse mondiali di prodotto, quando non addirittura dalle multinazionali. Oltre a questo, sono da subito evidenti gli intenti di solidarietà nei confronti dei produttori, attraverso forme inedite per l'economia tradizionale, come il pre-finanziamento della produzione e la definizione di un prezzo concordato con grande anticipo. In questo prezzo viene anche calcolato un costo “sociale”, volto a sostenere lo sviluppo di comunità dei produttori (garanzie di frequenza scolastica per i loro figli, di minimi standard sociali e sanitari).
Tutto questo, in Italia si articola in alcune grandi centrali di importazione dei prodotti (la più grande è CTM Altromercato) ed una miriade di Botteghe del Mondo, sparse sul territorio nazionale, con un'organizzazione che, a partire da un volontariato spesso vicino e complementare all'azione ed ai progetti di cooperazione di molte ONG, si articola fino a forme di imprenditoria e cooperazione, ispirate dalla solidarietà.
La Bottega, dunque, a differenza di quasi tutte le altre organizzazioni CES europee che puntano da subito sui canali della grande distribuzione, diventa la forma, lo strumento di presenza e di offerta concreta dei prodotti CES nel territorio.
Il progetto ha molto successo, esaminando la crescita dei dati economici sul piano commerciale, i risultati offerti alle comunità dei produttori ed anche la penetrazione nella consapevolezza dei tanti consumatori critici, il cui numero risulta in costante aumento.
Ad inizio del millennio, alcune grandi organizzazioni del mondo CES, anche in Italia decidono di imboccare la strada della grande distribuzione che a prima vista, sembra offrire grandi vantaggi: contratti certi per forti quantitativi di prodotti, visibilità degli stessi ad un universo di potenziali acquirenti di gran lunga più numeroso dei frequentatori delle Botteghe.
Senonchè..... compaiono le prime crepe nel processo: il fenomeno finisce nel mirino del mercato “ordinario” e della grande distribuzione, come una appetibile nicchia di consumatori, e le stesse centrali – alcune delle quali hanno addirittura la natura di consorzio di botteghe – ne divengono preda, arrivando a fatturare negli ipermercati fino a più della metà dei prodotti da loro distribuiti, facendo salire anche al primo posto per fatturato del loro portafoglio clienti diverse catene distributive (in modo bipartisan e trasversale, con buona pace per tutti i colori e le sfumature politiche!). Molte Botteghe sono costrette a chiudere perchè non possono reggere questo livello di concorrenza. Inoltre alcuni prodotti sono “insostenibili” sul piano ambientale poiché, essendo producibili anche nei paesi dove sono venduti, detengono una “zaino ecologico” pesantissimo, a motivo dei molti chilometri di trasporto che devono compiere (petrolio, energia, inquinamento....). Oggi questi nodi sono venuti o stanno venendo al pettine anche tra i volontari delle Botteghe ed i consumatori critici e vi sono in atto riflessioni e nuove piste di azione.
Quale direzione può dunque prendere il CES per concorrere ad un altro mondo possibile? Certamente il supporto a mercati locali ed endogeni, che puntino alla sussistenza delle comunità locali senza farle dipendere in prevalenza dall'esportazione di prodotti, così come richiesto da anni dal Fondo Monetario Internazionale. La consapevolezza che le Botteghe potrebbero divenire un luogo di visibilità riconoscibile nei territori, non solo per il CES ma per tutta l'Economia Solidale, dunque hanno un valore intrinseco che travalica l'azione commerciale. Una volano produttivo che deponga l'importanza dell'”offerta” per passare al traino della “domanda”, evitando in tal modo inutili sprechi di materie prime di energie e di trasporto, e distribuendo ciò che è richiesto, che “ci serve per vivere”. La necessità per tutti noi di alcuni prodotti imprescindibili per la vita quotidiana (si pensi ad esempio agli indumenti e biancheria di cotone) attorno ai quali si potrebbero immaginare progetti imprenditoriali ed intere filiere produttive, promosse, supportate e garantite dalle centrali e dalle botteghe. Una integrazione territoriale più stretta con gli altri soggetti dell'Economia Solidale, come i GAS, le Cooperative Sociali, i produttori locali, nella rete dei Distretti di Economia Solidale.
Un ultimo aspetto, non secondario, è porsi la domanda “quale modello di consumo si vuole promuovere”?
La Grande Distribuzione è ormai così potente (la Brianza è il territorio europeo a più alta densità di superfici destinate a Centri Commerciali ed anche quello dove il consumo di suolo ha superato il 50%) da determinare i prezzi dei prodotti e da incamerare una larga percentuale degli stessi. Lo studio dei nostri consumi attraverso le tessere di fidelizzazione le permette di innalzare o distruggere i produttori, non in base alla qualità della produzione ma solo al successo registrato allo scaffale o alle decisioni strategiche di spinta pubblicitaria del momento, o..... Anche alcuni dei produttori italiani biologici, vicini al circuito dei GAS, hanno pagato pesantemente questo prezzo, rimanendo abbandonati a loro stessi dalla Grande Distribuzione dall'oggi al domani. E' questo il modello di consumo che ci piace?
Sergio Venezia - s.venezia@brianzaest.it