È la prima comunità ad intentare una causa per l”effetto serra” negli Stati Uniti.
Una class action in piena regola contro le multinazionali del petrolio, ritenute direttamente responsabili del “global warming”. Ad avviarla sono stati gli Inuit di Kivalina, una piccola isola di terra e di ghiaccio in Alaska, a 750 Km dal Circolo Polare Artico.
Gli eschimesi di Kivalina, infatti, il riscaldamento globale lo vivono ogni giorno nei pezzi di terra che il mare si sta portando via ad una velocità che, secondo le relazioni ufficiali della U.S. Army Corps of Engineers, segnerà la scomparsa dell’isola nel giro di 15-20 anni.
Fino a poco tempo fa, Kivalina era circondata dal mare ghiacciato per nove mesi su dodici ed erano proprio i ghiacci a proteggerla dalle tempeste dell’oceano artico. Dal mare di ghiaccio gli eschimesi traevano vita, pescando salmone e cacciando caribù. Ma adesso il mare è diventato la grande minaccia. Ormai il piccolo villaggio è circondato dall’acqua aperta fino a dicembre, senza più riparo dall’erosione costante. A nulla è servita la muraglia di rocce terminata nel 2006, né i sacchi di sabbia che ogni giorno vengono scaricati disperatamente sulle rive: il mare salato erode tutto e l’innalzamento del suo livello, conseguenza dello scioglimento dei ghiacci nell’Artico, sta sommergendo la terra degli Inuit. Se non si corre ai ripari, l’isola è destinata a scomparire nel giro dei prossimi anni.
Intanto, l’unica rivincita possibile per gli eschimesi è trascinare in tribunale le compagnie ritenute le principali responsabili dell’emissione di gas serra. A rispondere dei danni agli abitanti del villaggio ci saranno in tutto nove società petrolifere, dalla Exxon alla Shell, quattordici società di energia elettrica e una società di estrazione del carbone.
Dal canto nostro, forse contribuiremo anche alla loro causa se ci metteremo in “ Marcia per il Clima” il 7 giugno a Milano. “Stop the fever”, salviamo le tante aree d’Italia e del mondo che già subiscono gli effetti dei cambiamenti climatici: questo è l’appello della manifestazione nazionale, promossa da tantissime associazioni italiane. L’obiettivo è sollecitare un ripensamento dei modi in cui, sia come Paese che come singoli, produciamo energia e la consumiamo, per muoverci, abitare, lavorare.
“La rivoluzione che vogliamo – si legge nel manifesto della marcia - si propone subito, in tutta Europa e nel mondo, di arrivare in dieci anni a produrre e consumare con il 20% di maggior efficienza l’energia e soprattutto di usarla con razionalità, di far dipendere per almeno il 20% il fabbisogno energetico da fonti rinnovabili e di ridurre di almeno il 20% le emissioni e l'inquinamento di gas che alterano il clima sulla terra”.
Perché, sebbene non ancora riconosciuto giuridicamente, il riscaldamento globale è un reato. Dei massimi e dei minimi sistemi, di tutti e ciascuno.
Dalla mattina del 7, piazze tematiche, concerti, spettacoli e mostre. Il corteo vero e proprio partirà invece alle 15 da piazza S. Babila snodandosi verso i giardini pubblici di Porta Venezia.
Per info, adesioni, locandine: www.stopthefever.org.
Una class action contro l'effetto serra
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- Di Marilena Chierico