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l Milano Film Festival quest’anno l’ha imbroccata. E non parlo della rassegna dei cortometraggi in concorso, ma dell’acqua. Con un’iniziativa pensata insieme alla rivista Altreconomia e che intende aderire alla campagna“Imbrocchiamola!”, in tutti i punti ristoro del Festival non è possibile comprare acqua minerale e imbottigliata. Solo acqua di rubinetto e, naturalmente, gratuita.
L’iniziativa nasce dalla convinzione che l’acqua debba restare un bene comune e fruibile da tutti e che quello delle acque in bottiglia, “purissime levissime” e taumaturgiche, quando non addirittura a “zero calorie”, sia solo un altro mito da sfatare, oltre che un enorme business per qualcuno.
Tanto più che l’acqua del rubinetto, a Milano come nella maggior parte delle città italiane, si può tranquillamente bere, è soggetta a maggiori controlli rispetto alle acque in bottiglia, è più comoda, visto che arriva direttamente a casa, e costa molto meno. Sia in termini economici che ambientali, dal momento che non deve essere trasportata su gomma per centinaia di chilometri e non lascia come residui tonnellate di plastica da smaltire.
Non si spiega allora come mai gli italiani detengano il primato del consumo mondiale di acqua minerale, con i loro 190 litri in media all’anno pro capite. A meno di non mettere in relazione questo dato con la cifra che le aziende imbottigliatrici sono arrivate ad investire in pubblicità: 379 milioni di euro.
D’altra parte in Italia l’imbottigliamento e la vendita dell’acqua garantiscono alle imprese guadagni da centinaia di milioni di euro a costo zero. Nessun prezzo per l’acqua prelevata è corrisposto alle comunità locali. 14 Regioni su 20 non ricevono un euro per l’acqua imbottigliata e dove invece un costo viene corrisposto, si tratta comunque di cifre irrisorie sull’affitto dei terreni o che non superano i 2 euro per ogni mille litri.
In Trentino, ad esempio, Nestlé, leader mondiale del mercato dell’acqua, imbottiglia tra i 90 e i 110 milioni di litri di acqua “Pejo”, corrispondendo all’omonimo Comune per meno di 30 mila euro l’anno.
Ma se quella del rubinetto è buona, sicura e non inquina e se siamo convinti che l’acqua non può essere privatizzata né rappresentare un monopolio di poche aziende imbottigliatrici, allora cominciamo anche noi a chiedere nelle pizzerie, nei ristoranti, in tutti i luoghi pubblici, che ci portino acqua in caraffa rigorosamente del rubinetto (naturalmente do per scontato che a casa non ci trasciniamo pesanti confezioni di imbottigliate dal supermercato!).
La campagna “Imbrocchiamola!” consiste in questo e sul sito www.altreconomia.it è possibile aderirvi e segnalare dalle varie parti d’Italia i luoghi pubblici che la danno e quelli che no (la brocca, s’intende!). Badate comunque che non possono rifiutarvela. Se qualche ristoratore accampa scuse, del tipo “non ve la consiglio”, state in guardia: un esercizio pubblico con regolare licenza, e che per giunta vi porta in tavola da mangiare, non può non attingere ad acqua potabile.
E’ un gesto che non costa nulla ma può non essere inutile, tanto più che la privatizzazione del bene comune per eccellenza è stata ratificata in Parlamento. All’insaputa di tutti, o quasi, lo scorso 8 agosto infatti la Camera dei Deputati ha convertito in legge il decreto n.112, relativo alle norme sui servizi pubblici locali. Adesso è legge, n.133/2008, e all’art.23-bis sancisce l’obbligo per gli enti locali di privatizzare i servizi pubblici “a rilevanza economica”. Tra questi l’acqua, appunto, definita “servizio a rilevanza economica”, che le società private potranno gestire ed erogare. In particolare le società quotate in borsa, fatte salve finanche dal vincolo che impedisce ad altre tipologie di gestori di un servizio di acquisirne di diversi o in altri ambiti territoriali. Le SpA miste quotate in borsa potranno, invece, fare affari dove vorranno.
Con buona pace di un diritto umano che, in quanto tale, dovrebbero essere le istituzioni pubbliche a garantire e rendere accessibile a tutti.