Quando avranno inquinato l'ultimo fiume, abbattuto l'ultimo albero, preso l'ultimo bisonte, pescato l'ultimo pesce, solo allora si accorgeranno di non poter mangiare il denaro accumulato nelle loro banche (Toro Seduto)
Poter chiudere in cassaforte le risorse naturali del mondo. Creare degli enormi forzieri per foreste, fiumi, mari, come riserve di valore da lasciare in eredità.
Potrebbe essere una richiesta per Babbo Natale. In realtà, è un progetto interessante, ben studiato e non del tutto campato in aria. La proposta viene dalla Carbon Currency Foundation, un'organizzazione non governativa che si occupa della salvaguardia delle foreste pluviali, ed è di creare una moneta ecologica che abbia come riserva l'Amazzonia.
La Carbon Currency Credit: una moneta complementare ed ecosostenibile. Complementare e non alternativa a quella circolante, in quanto non si sostituirebbe ad essa, ma l'affiancherebbe, con lo stesso valore di scambio. Ed ecosostenibile, dal momento che la sua emissione sarebbe vincolata ad un'originale riserva a garanzia del suo valore, ovvero le foreste.
Sarebbero i Governi, le Istituzioni internazionali e/o gli Enti locali interessati, dopo aver stipulato un "patto territoriale" per delimitare ed individuare le aree geografiche d'intervento, ad impegnarsi nell'emissione della moneta complementare, che potrebbe circolare all'interno come all'esterno delle aree coinvolte e potrebbe essere utilizzata, congiuntamente alla valuta principale di riferimento, per acquistare beni e servizi.
Le banconote verrebbero stampate in quantità proporzionale alle dimensioni delle aree pluviali e così la loro circolazione sarebbe "agganciata" all'estensione delle foreste in chilometri quadrati.
Se si pensa, infatti, in quanta considerazione è tenuta qualsiasi cosa - sia essa oro o petrolio - faccia da base di riserva per una moneta corrente, ben si comprende l'opportunità di utilizzare la più importante foresta pluviale del pianeta, un bene assolutamente da conservare, come base di garanzia per l'emissione di una speciale moneta.
Tanto più che oggi diventa sempre più difficile preservare l'Amazzonia dalla colonizzazione a scopi agricoli e di allevamento. Proprio in questi giorni, in occasione del vertice mondiale sul riscaldamento globale in corso a Bali, il Wwf ha reso noti i risultati di uno studio secondo il quale, entro il 2030, oltre la metà del polmone verde del mondo rischia la distruzione per mano dell'uomo e a causa dei cambiamenti climatici. Con il conseguente rilascio in atmosfera di una quantità di Co2 che va dai 55,5 ai 96,9 miliardi di tonnellate.
Ogni ettaro di foresta amazzonica ritiene infatti annualmente 15 tonnellate di anidride carbonica. Con i suoi 369 milioni di ettari essa dunque costituisce per il mondo intero il più grande serbatoio di biodiversità, di acqua e di carbonio. Eppure, oggi, soltanto il 3,6 per cento dell'area è sotto protezione ambientale.
Ma se il valore ecologico diventasse anche un valore economico, monetario, potrebbe allora rivelarsi, per chi vive su quel territorio, un incentivo tangibile ad evitare la deforestazione?
E' proprio questa la speranza alla base del progetto, il cui elemento più critico potrebbe alla fine rivelarsi come la sua migliore opportunità. Infatti, è vero che il rischio svalutazione, per una moneta il cui valore è direttamente legato alla dimensione delle foreste pluviali esistenti, sarebbe sempre in agguato. Più si estendono le aree soggette a deforestazione, tanto maggiore è la svalutazione del carbon currency credit. E tuttavia questo stesso pericolo può trasformarsi in uno stimolo alla salvaguardia delle riserve naturali, sia per gli emittenti che per i possessori di questa valuta.
Come dire, insomma, che il denaro è a servizio dell'uomo, e non viceversa. E che le foreste, i mari, i fiumi, sono depositi, riserve di valore, da prendere in prestito e restituire, se possibile, con gli interessi.