Le leggi per la trasformazione degli agro-alimenti "strozzano" i piccoli produttori che non possono permettersi gli impianti delle grandi industrie, così nasce la campagna nazionale dei coltivatori biologici
Genuini, ma clandestini. Pane, vino, conserve, miele, frutta e verdura: sono i prodotti della terra dei piccoli contadini, che le regole studiate a misura di altri, rischiano di rendere illegali. E tagliare così fuori dal mercato.
Cammino su una piazza di Matera tra i banchetti di tanti contadini locali, arrivati qui dai paesi vicini a vendere e a far conoscere i loro prodotti, a scambiarsi idee e buone pratiche. E’ la fiera delle autoproduzioni. Stare in piazza è il modo più semplice che hanno per incontrare i consumatori e costruire con loro un legame sociale e di fiducia e una rete di scambio alternativa.
Vito, 28 anni, ci tiene a definirsi contadino, piuttosto che agricoltore. La sua è una scelta di vita e non solo di un lavoro. Vuole vedere se si può vincere la sfida per un economia più giusta e per il diritto di tutti ad un cibo sano, prodotto nel rispetto della cultura e dell’ambiente locali.
“Essere contadino – spiega - comporta un rapporto particolare con la terra, che non pretenda troppo da essa. A nessuno è lecito chiedere più di quanto può dare: è una questione di rispetto, delle cose e delle persone”.
Vito, Francesco e tanti altri qui, non sono industriali, né imprenditori agricoli. Perché semplicemente il loro lavoro si basa sulla cura della terra, e non sulla sua desertificazione, sul produrre cibo che sia nutrimento e non veleno. Essi rappresentano un’agricoltura alternativa al modello industriale, al produttivismo esasperato che sfrutta e toglie alla terra più di quanto è in grado di restituirle.
Ma a quest’altra agricoltura, presente in mille realtà d’Italia, la legge non guarda, non le riconosce la diversità e non ne ascolta la voce. Anzi, la rende fuorilegge.
Perché le norme igienico-sanitarie che oggi regolano il settore agro-alimentare, impongono a chiunque si occupi della trasformazione di prodotti alimentari, indipendentemente dall’entità della produzione e dal tipo di lavorazione, di dotarsi di laboratori specializzati che rispettino determinati standard di dimensioni e attrezzature. Standard che, pensati a misura delle grandi aziende agricole e delle multinazionali dell’agrobusiness, penalizzano le piccole produzioni biologiche, sane e di alta qualità, spesso incapaci di affrontare la spesa della messa a norma di un laboratorio.
Per resistere a questo sistema di regole, è nata la campagna nazionale ”Genuino Clandestino”, lanciata da Campi Aperti, l’Associazione per la Sovranità Alimentare dei contadini biologici di Bologna. Il 17 e 18 aprile, artigiani e produttori biologici e naturali di ogni parte del Paese, si sono riuniti a Roma, per una due giorni all’insegna di mercati, musica e informazione.
Così gli organizzatori: “Utilizziamo risorse abbondanti, come il tempo e il lavoro umano, e risparmiamo quelle preziose come l’acqua e la terra. Non abbiamo i mezzi necessari per mettere a norma un laboratorio, per iscriverci alla camera di commercio o per essere considerati imprenditori agricoli, ma non vogliamo essere considerati fuorilegge”.
Sui loro prodotti, un unico marchio: ”genuino clandestino”. A rivendicare l’accesso al mercato mediante l’autocertificazione dei prodotti e la vendita diretta che, come e meglio di qualsiasi certificazione esterna, rendono trasparenti e visibili le responsabilità del produttore e la qualità delle produzioni.