È in uscita “Il viaggio e l'incontro. Che cos'è il turismo responsabile”, una “guida riflessiva” per viaggiare con consapevolezza. Ne parliamo con una delle voci che hanno dato vita in Italia al movimento per un turismo responsabile.
È in uscita nei prossimi giorni per Altreconomia “Il viaggio e l'incontro. Che cos'è il turismo responsabile” a cura di Maurizio Davolio e Alfredo Somoza. Una “guida” che mette a sistema le molte riflessioni svolte in questi anni in tema di turismo. Dalla critica ragionata ai fenomeni del turismo di massa, alle modalità per far sì che il viaggio sia uno strumento di sostegno allo sviluppo e un'occasione di incontro che, per quanto fuggevole, avvenga in modo rispettoso per le comunità ospitanti. Il libro raccoglie contributi di alcune tra le voci più importanti nel campo del turismo responsabile: da antropologi come Duccio Canestrini e Marco Aime, a professori di economia del turismo come Magda Antonioli. O ancora, autori come Gianni Morelli, ideatore delle guide Clup, Renzo Garrone, fondatore di RAM Viaggi, e tanti altri nomi del panorama europeo.
Abbiamo colto l'occasione per fare due chiacchiere in proposito con uno degli autori, Alfredo Somoza, e farci anticipare qualcuno dei temi trattati nel libro. Alfredo Somoza, oltre ad essere oggi giornalista, esperto di politica internazionale e presidente di ICEI, è stato il primo presidente di AITR (Associazione Italiana per il Turismo Responsabile) e uno tra i principali protagonisti del fenomeno associativo, culturale e politico del movimento a sostegno di pratiche di turismo responsabile nato negli anni '90.
Somoza, anzitutto, di cosa parliamo quando diciamo “turismo responsabile”?
Parliamo del punto di vista da cui si parte: il turismo di massa è orientato esclusivamente alla soddisfazione del cliente. Il turismo responsabile mette al centro la comunità, propone esperienze di viaggio non esclusivamente su misura di chi si sposta, ma anche delle comunità che ospitano. Mentre la fabbrica ha impatti localizzati, il turismo è un'industria diffusa: i turisti entrano nelle comunità, vanno tra la gente, e possono indurre cambiamenti forti, negativi e positivi. Il turismo ha impatti in tre dimensioni: socio-economica, culturale e ambientale, tutte e tre queste dimensioni vanno gestite. Vanno gestite insieme, con un compromesso leale tra chi vende viaggi, chi li fa e chi li “riceve”. La partecipazione è un requisito fondamentale per il successo di un'esperienza di viaggio che sia davvero “sostenibile”. Prima della nascita dei movimenti di turismo responsabile, semplicemente, non si pensava alle comunità ospitanti, non avevano alcuna voce in capitolo. Senza un diretto coinvolgimento, senza il consenso, senza consapevolezza da parte delle comunità locali, non è possibile parlare di un turismo responsabile.
Ci sono differenze tra la realtà italiana e il resto del mondo?
Sì, in Europa il movimento di turismo responsabile nasce dalla “critica del turismo”, nel solco di un orizzonte culturale altermondista. Movimenti, i primi nati in Europa, che si occupavano di turismo come Amnesty si occupa di diritti umani: denunciando ciò che non va. Tourism concern è stata ed è una delle realtà più significative. Il movimento per il turismo responsabile in Italia invece ha fin dai primi passi sviluppato anche un filone propositivo: abbiamo preso posizione e fatto critica quando ce n'è stato bisogno, ma sempre indicando delle alternative.
Ci fa un esempio?
Agli inizi del duemila, quando Aung Suu Kyi chiese di boicottare la Birmania, come meta turistica, per mettere in ginocchio la dittatura, AITR si era fatta portatrice di quel messaggio in Italia. Al contempo, aveva organizzato proposte alternative con gli esuli birmani che risiedevano nei paesi limitrofi, riuscendo così a far incontrare ai turisti la comunità e conoscere le vicende birmane senza però oltrepassare i confini statali.
Proprio negli ultimi giorni stiamo facendo pressione sul Ministero degli esteri affinché attivi lo stato di “warning” sull'Egitto: se il paese è dichiarato non sicuro dal Ministero automaticamente i flussi turistici vengono dirottati altrove poiché le assicurazioni non coprono più i viaggiatori. E' un meccanismo economico per fare pressione sull'Egitto affinché faccia chiarezza sul “caso Regeni”. Inizialmente ci hanno criticati, poi il senatore Luigi Manconi e la famiglia Regeni hanno rilanciato l'iniziativa e il nostro suggerimento oggi è al vaglio delle ipotesi di azione ministeriali. Per l'Egitto il turismo è una delle maggiori entrate e negli ultimi anni gli arrivi turistici sono in forte calo. Sarebbe un segnale forte per non lasciare cadere la questione.
Ha già citato un paio di volte l'AITR, ci spiega meglio di cosa si tratta?
Quando fondammo l'AITR intuimmo subito che parlare di sostenibilità nel turismo significava considerare anche la condizione etica, il rapporto del turismo con le popolazioni. Mentre in Europa in quegli anni ci si concentrava ancora prevalentemente sulla questione ecologica. Nacque l'idea di fondare un soggetto promotore di proposte di turismo responsabile che sapesse considerare la sostenibilità ambientale insieme a quella sociale ed economica. In AITR ci sono tante ONG, alcune di queste si sono mosse fin dai primi passi per fare cooperazione internazionale attraverso il turismo, utilizzando le esperienze di viaggio come arma di lotta alla povertà.
Oggi AITR è la più grande associazione di categoria al mondo legata al turismo, non raggruppa solo agenzie, ma anche associazioni ed enti che si occupano di aspetti diversi (WWF, ICEI, ECPAT, ARCI, ec) che possono dialogare con i temi e le proposte di turismo responsabile. Con i pochi soggetti italiani che non entrano direttamente a far parte dell'associazione, c'è comunque un dialogo aperto.
Come selezionate i progetti da proporre?
Anzitutto, AITR non propone direttamente esperienze di viaggio, si limita a selezionare i suoi soci e a rilanciare le proposte ritenute maggiormente meritevoli. Abbiamo lavorato a lungo con le certificazioni di qualità, ma poi abbiamo ritenuto non fosse la strada corretta: si configuravano come aggravio di costi a carico del consumatore senza una effettiva contropartita. Oggi abbiamo messo a punto un meccanismo di controllo interno: una commissione d'inchiesta analizza le candidature, successivamente, tra le proposte dei soci selezioniamo le migliori, rilanciandole attraverso i nostri canali. C'è un meccanismo di continuo dialogo con i soci in merito alle loro proposte. L'associazione avanza suggerimenti, correttivi ed esegue verifiche dirette e indirette; ad esempio al termine di un viaggio intervista i clienti dei soci, bypassando l'operatore.
Come mai proprio ora l'idea di un nuovo libro sul tema?
È un libro che mette a sistema quanto c'è da sapere sul turismo responsabile nel 2016. Il mondo del turismo in pochi anni è cambiato e molto materiale di cinque o sei anni fa oggi è già vecchio. Nei nostri intenti iniziali si trattava di un progetto più piccolo, ma in breve tempo abbiamo visto accumularsi materiali e partecipazioni di grande livello. Scrivono nel libro alcune tra le voci più competenti del panorama nazionale ed internazionale.
Perché parla di un mondo molto cambiato in cinque o sei anni?
La formula del villaggio turistico “tutto-incluso” che era andata molto di moda fino a dieci anni fa, e che aveva permesso di accedere a luoghi lontani con prezzi accessibili, oggi è in crisi. Un tempo quella soluzione rappresentava la scelta della maggior parte dei turisti italiani. Oggi quei numeri diminuiscono. Hurghada, Sharm, Malindi, Djerba, sono località sfinite, che spesso hanno distrutto la risorsa che generava i flussi turistici. Il turismo di massa adesso vira verso la crociera. La maggioranza degli italiani punta al non luogo turistico per eccellenza: una nave senza geografia in cui vivere nel comfort e senza correre alcun rischio.
Al contempo si sono sviluppate tante nicchie legate a nuove sensibilità. In molti hanno preso atto degli effetti nefasti del turismo di massa e si sono messi alla ricerca di soluzioni originali: turismo a piedi, in bicicletta, campi di volontariato, turismo nei luoghi cari a certi generi di musica, e tantissime altre realtà. A Santo Domingo ho incontrato turisti che erano arrivati da quelle parti in cerca di una spiaggia in cui cresce una varietà di cactus che non esiste in altro luogo al mondo. Internet da questo punto di vista ha consentito autonomia e libertà prima impensabili.
Da questa autonomia maggiori effetti positivi o negativi?
Con internet il turismo si è specializzato e oggi ci sono moltissimi modi di “girare” differenti. Questa disintermediazione ha favorito molti operatori che possono agire così in modo più genuino, senza l'intromissione dei grandi gruppi. Allo stesso tempo molti altri hanno approfittato per creare pacchetti che tutto sono fuorché rispettosi dell'ambiente e delle comunità che li ospitano. Safari fotografici umani che ricordano le prime esposizioni internazionali e il loro “giardini di acclimatamento” dove venivano esposti nei recinti pigmei e bantu come animali esotici, o ancora villaggi costruiti in modo ecosostenibile ma che non lasciano nulla al contesto sociale in cui sono collocati. Questo tipo di ecoturismo non ha niente di responsabile.
Ha accennato alla crociera come viaggio privo di ogni rischio. La sicurezza è un'altra variabile importante degli ultimi anni...
Certo, le cose sono profondamente cambiate dopo eventi come lo tsunami del 2004 o più di recente con gli attentati terroristici. Il tema della sicurezza sta cambiando rapidamente la geografia dei flussi turistici: mete consolidate perdono quota, a favore di altre. Pensiamo alla costa sud del Mediterraneo e a quanti di quei paesi sono oggi in subbuglio. Ne beneficia e ne beneficerà il turismo domestico. Le crociere, sì, guadagnano spazio anche per il senso di isolamento e protezione che offrono.
Il tema più importante però rimane a mio parere questo: anche la migliore esperienza di turismo responsabile – proprio perché ben strutturata – può attirare via via flussi crescenti di turisti e allora subito il turismo manifesta i suoi primi effetti indesiderati, trasformando radicalmente i contesti che tocca.
Uno degli obiettivi principali del turismo responsabile è quello di portare i turisti dove turismo normalmente non arriverebbe. Ad esempio, questo avviene nel turismo di comunità, nel quale la comunità si apre ai suoi ospiti, in modo consapevole e autentico, per mostrargli il proprio stile di vita, le usanze, i prodotti. Ovviamente, bisogna stare molto attenti ad evitare concentrazioni: il turismo deve sempre rimanere un'integrazione al reddito, il reddito deve derivare principalmente dalle attività tradizionali del luogo. Se i turisti iniziano a superare un certo numero il rischio è che il reddito prevalente della comunità derivi dal turismo. Quando questo accade c'è il concreto rischio che la comunità abbandoni le attività tradizionali per dedicarsi completamente allo sviluppo turistico. E questo finisce per snaturare l'oggetto stesso dell'interesse turistico, col risultato di lasciare le comunità con un pugno di mosche in mano.
Come si evita questo fenomeno? Ci sono strumenti concreti per gestire i flussi?
È fondamentale l'educazione delle comunità accoglienti. Se le comunità comprendono il senso del progetto che stanno portando avanti si può sperare di mantenere un equilibrio.
Si devono poi applicare quegli strumenti che aiutano ad evitare le concentrazioni. Ci sono esperimenti positivi che abbiamo aiutato a crescere in questi anni, in Senegal, ad esempio, c'è una delle prime esperienze di turismo comunitario su vasta scala, dove si è puntato sul coordinamento tra villaggi di modo da poter smistare i flussi in arrivo senza creare concentrazioni. Ma anche in Bolivia, in Amazzonia, sono molti gli esempi positivi in tal senso.
Un ulteriore strumento è la limitazione del numero di accessi. Vale per i luoghi naturali, come per alcune città che sono costantemente oltre la loro capacità di carico, ad esempio, Venezia. Analogamente, ci sono le tasse di soggiorno o di visita. Strumento che in Italia è male utilizzato perché finisce nei bilanci comunali e poi destinato a tutt'altro; se usato per investimenti nella qualificazione del turismo ha un senso, poiché il viaggiatore contribuisce a sostenere quei servizi in più che la comunità deve attivare per poter ospitare il suo arrivo.
L'AITR sostiene proposte di turismo responsabile anche in Italia?
Sì, assolutamente. Proponiamo da tempo tante esperienze anche in Italia. I campi della legalità con Libera, campi di volontariato con il WWF, e così via. Una bella idea di origine francese che sta prendendo piede anche in Italia è quella dei “migrantour”, cioè di visita ai quartieri multietnici accompagnati dagli stessi abitanti del luogo. A Torino hanno iniziato quelli di Viaggi Solidali, poi sono seguite proposte simili a Napoli, a Roma. A Milano, tramite ICEI, abbiamo attivato un bel progetto di questo tipo con immigrati di origine peruviana.
L'Italia è un paese in cui c'è moltissimo lavoro da fare. Il turista che arriva in Italia troppe volte è destinato esclusivamente alle grandi città d'arte, Firenze, Venezia, Roma. Il patrimonio incredibile e diffuso che c'è sul resto del territorio scompare. Eppure lì avremmo una potenziale riserva turistica che si potrebbe attivare in modo sostenibile, senza tirare su un mattone: pensiamo solo al grande patrimonio ricettivo che è in possesso degli ordini religiosi e che oggi per gran parte resta inutilizzato.
Quali sono i motivi alla base di questa situazione?
Non c'è logica di sistema. Da quando la competenza del turismo è passata dallo Stato alle Regioni ogni Consiglio regionale ha promosso politiche turistiche una diversa dall'altra, rendendo molto più difficoltoso pensare in un'ottica sistemica. Eppure dovremmo, perché in Italia il turismo contribuisce a formare il 10% del PIL, non è poco.
Prendiamo, ad esempio, il Cammino di Santiago, che oggi è uno degli itinerari a piedi più frequentati a livello mondiale: quel percorso è frutto di una logica di sistema. Erano secoli che nessuno calcava più quei sentieri, il Governo doveva trovare il modo di spostare turisti dalle zone balneari costiere e portarli a scoprire altre zone della Spagna, e così ecco l'idea, valorizzare un antico percorso a piedi che passasse per Navarra, Asturie, Castiglia, Galizia. E' stato pensato e costruito con un forte coordinamento generale quel progetto e i risultati si vedono. In Italia spazi per itinerari del genere ne avremmo moltissimi, ma spesso le iniziative di valorizzazione differiscono da provincia a provincia con risultati sotto le aspettative.
Gli argomenti insomma sono molti. Quando potremo leggere il libro?
Presenteremo il libro a It.a.cà, Festival del turismo responsabile, a Bologna a fine mese, con Patrizio Roversi. Seguiranno certamente diversi appuntamenti di presentazione anche qui in Brianza. Il libro sarà in libreria dai primi di giugno.