Massimo Campanini, storico del pensiero islamico, apre a Lecco un ciclo di incontri dedicato al Medioriente indicando quali sono i nodi cruciali della storia contemporanea a sud del Mediterraneo
Cinque incontri a Lecco per comprendere il Medioriente. Un corso, aperto a tutti i cittadini, promosso da due associazioni, “L'Altra via” di Calolziocorte e la “Comunità di via Gaggio” di Lecco, ideato per capire gli attuali scenari, stando lontani dalle semplificazioni.
«Per comprendere un'area del mondo complessa e interessata da profondissimi cambiamenti - dicono gli organizzatori - c’è bisogno di fermarsi ad ascoltare chi opera a stretto contatto con quelle popolazioni. Per questo, dopo un'introduzione storica, ci occuperemo di attualità ascoltando la testimonianza di diverse persone che operano da tempo in quelle realtà». Il primo incontro ha visto ospite il professor Massimo Campanini, storico del pensiero islamico all’Università di Trento. Campanini, nell'intervento che riproponiamo di seguito, ha voluto mettere in luce alcuni nodi cruciali della storia contemporanea del Medioriente, quelli che, come ha specificato nella sua premessa: “sono passaggi necessari per capire la situazione attuale”.
Di seguito riportiamo i passaggi fondamentali dell'intervento di Massimo Campanini.
Sul concetto di “Medioriente”
«C'è un problema teorico fondamentale non appena iniziamo a parlare di Medioriente: oriente rispetto a che? Noi guardiamo arabi, indiani, cinesi, come orientali, ma siamo stati noi a decidere che i paesi dal Levante fino al Giappone siano “orientali”. Se risalissimo alle radici abramitiche ci accorgeremmo che l'Islam è occidentale, per esempio, e che volendo trovare un centro tra le grandi religioni monoteiste troveremmo per tutte Gerusalemme. Bisogna uscire quindi da questo campo visivo, tenendo presente che il concetto di Occidente è fortemente connotato dall'ideologia. Fu creato in Inghilterra nel corso dell'Ottocento, Kipling fu tra i letterati quello che diede più fama al concetto. Un grande scrittore, ma anche un colonialista che parlava di “fardello dell'uomo bianco” riferendosi alle necessità di “civilizzare” l'uomo orientale. Sono state in quel momento coniate quelle categorie che utilizziamo ancora oggi».
Categorie superate
«Vicino e medio oriente oggi sono, dal punto di vista storiografico, categorie superate. Gli avvenimenti degli ultimi anni legano quel mondo al nostro. L'Islam emerge dalle nostre radici, si affaccia sullo stesso nostro mare, ci sono storiche connessioni, legami geografici, che non possono essere trascurati. Proseguiamo a parlare di “Medioriente”, ma si tratta di una categoria paradigmatica inventata da noi; e dietro questa barriera ideologica ci sono tradizioni, usi e valori comuni.
Zucchero, albicocca, arancia, limone, carciofo, alcol, algebra, chimica, alambicco, ammiraglio, carovana... potrei andare avanti a lungo, parole che segnano anche una comunanza linguistica. Smontare l'idea di Medioriente arabo e islamico alieno alla realtà Europea è necessario.
Gli studi accademici oggi parlano di area MENA Acronimo che sta per “Middle-East & North-Africa”, fascia geopolitica che va dal Sahara occidentale fino all'Iran, comprendendo la mezzaluna fertile e la penisola araba. Questo è il “Medioriente” di oggi. Un marocchino quindi potrebbe dire che un italiano è un orientale?».
Tre fasi della storia contemporanea
«Il momento determinante della storia del Medioriente contemporaneo è quello coloniale, perché in quel momento, l'espansione imperialistica dei paesi europei determina in modo indelebile la storia successiva di quest'area. Seguono poi altre due fasi: una fase post-coloniale e un'altra che definirei semplicemente post-postcoloniale che arriva fino ai giorni nostri. Non ci sono termini precisi perché le categorie storiografiche sono sempre flessibili. Possiamo con certezza affermare però che i paesi della zona MENA hanno tutti trascorso una fase di dominio, una di decolonizzazione e una terza fase in cui le contraddizioni della decolonizzazione sono emerse determinando lo scenario attuale. A queste tre fasi si possono parallelamente correlare diverse fasi del pensiero e dei movimenti islamici».
L'epoca della colonizzazione
«Il primo paese arabo musulmano a essere colonizzato fu l'Algeria nel 1830 dai francesi, l'ultimo ad acquisire l'indipendenza fu la Libia nel 1969. In questo lasso di tempo i dominatori hanno portato con loro una serie di concetti nell'area MENA destinati a rimanere. La realizzazione dello Stato moderno, su tutti, è il tema che ha trasferito con sé anche un nuovo patrimonio di concezioni correlate ed estranee al mondo musulmano. L'iniezione di queste categorie, trasportate con la violenza del dominio coloniale, ha creato molti impatti. Basti fare cenno ai confini retti che separano Stati che fino a quel momento non esistevano: Algeria, Libia, Siria, Libano. Il Libano era una provincia dell'impero ottomano, lo stesso si può dire dell'Iraq: mai avevano visto una reale autonomia. Ulteriormente questi territori erano confusi da fenomeni nomadici e spartizioni claniche, che da lì in avanti si sarebbero dovuti scontrare con rigidi confini formali prima inesistenti. A questa imposizione si sono aggiunte le ideologie: ad esempio il nazionalismo. L'idea di “patria” e “nazione” nel linguaggio politico classico islamico non esiste. Il concetto di “libertà” in arabo non ha mai avuto l'accezione occidentale, “libertà” indicava semplicemente chi non era schiavo».
Reazioni nel mondo musulmano
«Come reagisce l'Islam all'importazione di ideologie e dello Stato moderno? Nel pensiero islamico questi concetti vengono riferiti al più ampio tema della modernità e la modernità frequentemente associata all'Occidente. Ancora oggi leggendo autori arabi o islamici si riscontra l'uso della categoria di modernità intesa come qualcosa che arriva dall'Europa o dagli USA. Si tratta di una modernità ormai pervasiva. A Medina c'è KFC, per dire. Il mondo musulmano davanti a questa invasione di campo ha reagito e reagisce in due modi: mediante la modernizzazione dell'Islam o attraverso l'islamizzazione della modernità».
La modernizzazione dell'Islam
«Per modernizzazione dell'Islam si indicano le teorie di quegli autori che ritengono l'Islam incapace di dialogo con la modernità. Costoro credono necessaria una rilettura in chiave modernista della tradizione. Ad esempio Hoda Sha'rawi che tanto si spese nel movimento femminista egiziano o alcuni marxisti siriani che arrivarono a estremizzare la modernizzazione al punto di dire che l'Islam andava cancellato perché colpevole dell'arretratezza di quella parte di mondo. Altri pensatori di questa scuola ritengono che la religione debba essere confinata nell'intimità, nell'ambito domestico, ma si tratta di una contraddizione forte poiché l'Islam ha dalla sua nascita una forte vocazione sociale».
L'islamizzazione della modernità
«La corrente di autori e pensatori che sostiene la seconda via, quella dell'islamizzazione della modernità, ritiene che l'Islam sia perfettamente in grado di governare il moderno e che anzi il moderno sia islamico. Muhammad ʿabduh, ad esempio, che ha ispirato una importante riforma dell'educazione in Egitto. Da questa scuola di pensiero nasce la corrente dei Fratelli Musulmani, una corrente con molte variabili, nata nel 1928 in Egitto poi sparsasi per tutto il MENA. I Fratelli Musulmani sono oggi la principale voce che sostiene i motivi dell'islamizzazione della modernità. Anche in questa corrente ci sono derive estremiste che arrivano a promuovere il totale rifiuto dell'Occidente. Nascono in questo solco l'estremismo salafita e la resistenza armata all'Occidente».
L'invenzione della nazionalità
«Questa prima fase ha visto nascere stati-nazione che sono il primo prodotto culturale del colonialismo. Se considerate tutto il MENA gli unici paesi che ai tempi non furono colonizzati sono Turchia e Arabia Saudita, anche l'Iran in qualche modo subì una colonizzazione indiretta attraverso le compagnie petrolifere inglesi. Molti di questi Stati cercano artificialmente di costruirsi un'idea di nazionalità. Ferhat Abbas, algerino, scriveva nel 1920: “ho chiesto ai miei concittadini, ho visitato le strade, le case e i cimiteri e nessuno mi ha saputo dire cosa fosse l'Algeria”. Erano Stati creati sulla carta e sotto il controllo delle grandi potenze europee.
Se si risale alle radici è facile notare che il mondo islamico è per sua natura sovranazionale. L'idea di nazione fa a pugni con l'Islam, perché l'Islam è fondato sul concetto di Umma, la comunità dei credenti, un'idea trasversale che nega la creazione di qualsiasi confine. A livello generale la questione del nazionalismo è quindi dissonante, ma ormai il concetto di nazione è introiettato nella mentalità comune e non si può eradicare. Si può parlare di “patria araba” a livello culturale, ma nel discorso pubblico ormai la patria si è associata al nazionalismo. Senza divisione mandataria dopo la Prima Guerra Mondiale non si sarebbe venuta a creare una simile situazione».
L'epoca della decolonizzazione
«Ripercorriamo velocemente alcune tappe: Iraq 1931, Libano e Siria 1946, Egitto 1952, Marocco, Tunisia e Sudan 1956, Algeria 1961. Si è trattato di un processo dilatato nel tempo e che si è sviluppato parallelamente alle tensioni europee, del primo e del secondo conflitto mondiale. L'Europa nelle due guerre ha perso il suo peso specifico, innescando in questi paesi processi che avevano radici più profonde. I motivi e i movimenti della rivolta hanno preso fuoco in particolare dagli anni '50.
Se si considerano i percorsi di decolonizzazione dell'area MENA ci si rende conto che la gran parte di questi paesi ha acquisito e costruito l'indipendenza grazie a élites militari. L'Algeria dopo la lotta di liberazione è stata gestita da militari. In Libia fu Gheddafi a prendere il timone. In Tunisia, militari. Tutti i presidenti egiziani, a parte Morsi, venivano dall'esercito. In Sudan i militari sono al potere ancora oggi con Omar al-Bashir. Il partito Ba'th in Siria è andato al potere tramite l'esercito. Lo Yemen è diventato repubblicano grazie a una rivoluzione militare. Turchia e Iran sono stati costruiti da militari, Kemal e Pahlavi. Alcuni paesi come il Marocco, la Giordania o l'Arabia Saudita non rientrano in questa categoria, ma gli altri hanno tutti raggiunto l'indipendenza grazie a gruppi militari. Questo ha un suo significato, vuol dire che non c'è stata possibilità di evoluzione democratica».
I regimi militari
«Due elementi essenziali contraddistinsero quelle élites militari giunte al potere: erano laiche (Nasser, Assad, Gheddafi, Saddam, ec) e si richiamavano a nazionalismo e socialismo. Questi regimi laici imbevuti di ideologie occidentali hanno per decenni osteggiato il discorso islamico; nella fase della decolonizzazione l'Islam è stato innegabilmente emarginato e duramente represso. Ricordiamo in quegli anni quanti Fratelli Musulmani sono stati trucidati in Siria ad Hama, quanti ne sono stati messi in prigione da Gheddafi in Libia».
La repressione dell'Islam
«Uno dei motivi fondamentali del ritorno dell'Islam a partire dagli anni '70 è stata la reazione viscerale alle repressioni dei trent'anni precedenti. Non è l'unica spiegazione, ma una importante spiegazione. I paesi più stabili del mondo arabo contemporaneo sono monarchie a legittimità religiosa, realtà che non hanno conosciuto l'emarginazione del discorso islamico. In Giordania e in Marocco, ad esempio, sono stati portati avanti processi di cooptazione dei partiti islamici. Una delle ragioni fondamentali della radicalizzazione che scuote il mondo musulmano oggi si trova in quella lunga fase di repressione. Laddove i partiti islamici sono stati coinvolti nella gestione del potere, come nei casi sopracitati, le istituzioni hanno avuto e hanno maggiore legittimità, ci troviamo davanti a società con strutture più solide».
La decolonizzazione
«Guardando in retrospettiva il processo di decolonizzazione, caratterizzato dall'esclusione dell'Islam dal discorso pubblico, è stato un processo che ha minato alla base lo sviluppo democratico di questi paesi. Le società civili sono rimaste gracili perché sottoposte a una continua brutale repressione benedetta dall'Occidente».
Il fallimento della stagione laica e “socialista”
«La Guerra dei Sei Giorni è stata il simbolo del fallimento di quelle ideologie: del socialismo e del militarismo. Dopo la disfatta egiziana in quella guerra alcuni intellettuali dissero che la sconfitta era imputabile all'Islam, altri arrivarono a promuovere una totale e definitiva avversione all'Occidente. In particolari contesti sociali ed economici questa seconda linea di pensiero ha trovato terreno fertile per far fiorire alcuni gruppi armati che conosciamo ancora oggi».
La lotta armata
«La lotta armata delle organizzazioni islamiche è iniziata nel 1974, quaranta anni fa, da un primo tentativo teso a rovesciare il governo di Sadat in Egitto. I mass media fanno spesso risalire il terrorismo islamico all'epoca di Maometto, ma nasce nel '74 e questo deve essere tenuto presente. Si tratta di un fenomeno contemporaneo che ha delle ragioni molteplici e non unicamente assimilabili al mancato successo dei modelli occidentalizzanti proposti dai governi militari».
La crisi economica
«Un'importante concausa è certamente quella economica. Dopo la crisi petrolifera molti di questi paesi hanno visto un importante impoverimento delle classi medie, che erano la spina dorsale di quelle società. Non bisogna farsi incantare dai miliardari del Golfo, sono piccole caste che garantiscono, solo nei casi più illuminati, una certa distribuzione delle risorse. Guardiamo ad esempio all'Egitto: come ci si può meravigliare della sua instabilità? Siamo davanti a un paese in piena esplosione demografica, afflitto da una disoccupazione enorme e figlio di decenni di rapaci gestioni ad opera di Sadat e Mubarak.
Le società un tempo socialiste oggi sono lasciate al liberismo selvaggio e questo implica forti sperequazioni sociali. Spesso le rivolte nascono e si identificano con la bandiera del ritorno alle origini, alla propria identità, rintracciata nell'Islam. Questo non giustifica il terrorismo, ma ne spiega i meccanismi. I processi di rivendicazione sono sempre indicatori di una perdita: quando si rivendica un'identità è perché quell'identità è ormai perduta, e le rivendicazioni che si innescano sono sempre percorse da tendenze conservatoriste».
Le molte voci dell'Islam
«Guardare però al mondo islamico oggi non è semplice perché esso è mille voci. La maggior parte della comunità musulmana sta ben oltre i confini del MENA, più della metà degli islamici oggi vive in Indonesia, in India, in Pakistan, nell'Asia centrale, paesi che oggi per esempio non abbiamo nemmeno preso in considerazione e che hanno al loro interno dinamiche molto diverse da quelle raccontate qui.
Il salafismo, che ultimamente nei telegiornali sentiamo presentato come il nido del terrorismo islamico, non deve essere sovrapposto interamente al wahhabismo. La maggior parte delle classi dirigenti salafite è apolitica, rifiuta l'impegno, si fonda sulla rilettura delle fonti, sullo studio del Corano, non vuole costituirsi in formazioni partitiche. Ci sono salafiti politicizzati, certo, e ci sono altri salafiti jihadisti, che sono una minoranza, in crescita, ma statisticamente minimale. I salafiti politici sono nemici dei Fratelli musulmani. La transizione egiziana dopo la primavera del 2011 l'aveva esplicitato chiaramente, nonostante entrambe facessero parte di un islamismo conservatore. Anche se esiste un islamismo quindi questo è tutt'altro che monolitico».
L'ISIS
«L'ISIS non è l'epilogo del percorso di evoluzione dell'Islam politico, nemmeno di quello rivoluzionario, al massimo può essere considerata una sua aberrazione. Non ha basi, né teoriche, né legali, né religiose, all'interno dell'Islam. E soprattutto non ha una storia, come fosse comparso dal nulla. Di Al-Qaeda sapevamo quando era nata, in Afghanistan nel 1978, come si era evoluta e quali fossero le sue idee di riferimento. L'ISIS è nato all'improvviso, al di fuori di ogni contesto islamico. Le domande al riguardo sono molte».
L'Iran, un caso particolare
«L'Iran ha conosciuto una fase di modernizzazione attraverso la militarizzazione. Il vertice laicizzato guidato da Pahlavi voleva imporre una occidentalizzazione forzata alimentandola mediante lo sfruttamento di idrocarburi. Questa laicizzazione violenta dall'alto ha provocato una reazione contro lo Scià che ha trovato il suo catalizzatore in Khomeini. Il 1979 iraniano in verità non nasce come una rivoluzione islamica, perché fu una reazione forte sostenuta in particolare da forze liberali e comunisti. Khomeini ha islamizzato con un paio di mosse azzeccate la rivoluzione. Insieme a quella leninista, a quella maoista e a quella cubana, è stata una rivoluzione moderna del Novecento, il khomeinismo. Una spinta moderna poiché ha rinnovato alle radici il pensiero politico sciita e ha saputo contenere tra le sue istanze anche quelle di riscatto per una vasta fascia di oppressi. Il prodotto finale della rivoluzione fu un sistema politico fatto di pesi e contrappesi molto interessante, parzialmente eletto dal basso e parzialmente dall'alto: una sorta di repubblicanesimo islamico moderno.
A seguito di quella rivoluzione l'Iran si è affermato come potenza regionale, antagonista nell'area mediorientale al potere dei Saud. Questo equilibrio geopolitico oggi è incrinato, ma ancora stabile. Rompere questo assetto è miope e sciocco. L'Arabia Saudita è un paese arretrato, conservatore e dittatoriale, l'Iran è pragmatico e sempre più moderno. L'Occidente ha responsabilità nell'attuale fase di dissoluzione del Medioriente, le scelte che faremo da qui in avanti disegneranno scenari completamente nuovi».