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Cresce l'allarme sociale per l'aumento delle attività criminali associato all'arrivo di migranti. I dati invitano alla calma e a ragionare su politiche di sicurezza che creino fiducia e non diffidenza. L'analisi di Roberto Cornelli, criminologo ed esperto di sicurezza urbana.

Oggi i furti compongono il 50% dei crimini commessi in Italia, nel 97% dei casi rimangono reati impuniti. Questi due dati, presi così, sembrerebbero giustificare ampiamente il clima di allarme sociale che si è andato diffondendo negli ultimi anni e che non sembra arrestarsi. La Brianza, in particolare, è da sempre territorio tra i più sensibili ai temi della sicurezza. In questi anni le Amministrazioni comunali si sono inseguite nella corsa all'installazione di sistemi di videosorveglianza, al potenziamento dell'organico delle forze dell'ordine e così via. L'Associazione CambiaMenti, con la collaborazione del Comune di Robbiate, qualche giorno fa  ha voluto organizzare una serata di approfondimento con Roberto Cornelli, docente di criminologia presso l'Università di Milano Bicocca, per riflettere sull'argomento. Esperto di giustizia penale, sicurezza urbana e transitional justice, Cornelli è stato chiamato a tracciare un quadro quanto più oggettivo della attuale situazione del Paese. Risultato? Le cose non vanno poi così male.

«I  nostri problemi con la criminalità – esordisce Cornelli - aumentano alla fine del boom economico, nella crescente tensione tra il benessere imposto come status e una parte della società con insufficienti mezzi per raggiungerlo. Dalla fine degli anni Settanta i dati relativi ai principali reati crescono. Anche il furto, che occupa il 50% dei casi di reato, va  osservato come fatto all'interno di una dinamica sociale più vasta: la crescita delle disparità economiche».

 

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Delitti denunciati alle forze dell'ordine 1955- 2012

 

Nei discorsi da bar l'Italia viene sempre rappresentata come uno dei paesi meno sicuri, in cui lo Stato non garantisce a sufficienza la sicurezza dei cittadini. Il professore tende a smorzare:  «L'Italia si posiziona dietro paesi come Irlanda, Danimarca, Belgio, Regno Unito. Per i furti, ma anche, ad esempio, per le rapine: ne abbiamo meno degli inglesi, qualcuna in più rispetto alla Svezia».

Si può avere conferma di trend discendenti per la maggior parte dei reati commessi nel nostro Paese analizzando i dati sulle attività criminali contenuti nel rapporto 2012 dell'ISTAT.

 

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Reati in Europa per 100.000 abitanti

 

«Il dato sull'omicidio è importante in criminologia – spiega Cornelli - perché mentre per altri reati c'è da tener conto della propensione alla denuncia, che può variare da paese a paese, nel caso dell'omicidio no. Se osserviamo le statistiche, in Europa abbiamo pochi omicidi, solo il Canada e alcune aree dell'estremo oriente pareggiano con noi. Siamo a quota 1,2 omicidi all'anno ogni 100.000 abitanti. Un rapporto di 2 a 6 con gli USA».

 

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Omicidi media per anno 2007-2009 / 2010-2012

 

«Guardando al solo contesto europeo ci sono differenze interessanti. L'Europa dell'est, che vive ancora una profonda fase di transizione dal futuro incerto, ha tassi di omicidio più alti rispetto all'Europa occidentale. La Svezia ha un alto tasso di omicidi e questo forse può sorprenderci di più. Una delle ipotesi in merito è che il mar Baltico sia oggi luogo di traffici della criminalità organizzata, armi e droga che viaggiano dalla Russia verso l'Europa. Paesi come Estonia, Lettonia e Lituania, che confinano con la Russia e si affacciano sul mare, sono un primo fronte poroso di queste infiltrazioni».

 

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Crimini registrati dalle autorità 2007 - 2012

 

Veniamo all'Italia. Da noi cosa succede? «La stragrande maggioranza del paese – spiega il docente -  ha tassi di omicidio bassissimi: 0,8 omicidi all'anno ogni 100.000 abitanti. I problemi si riscontrano a Napoli (4 su 100000), a Caserta, in  alcune zone della Calabria, in Sardegna (Nuoro). A Nuoro vige ancora il codice barbaricino: la vendetta familiare di eventuali reati, ad esempio, in alcune aree interne dove permangono tracce di mentalità arcaica, è ancora presente. Calabria e Campania vivono quelle situazioni invece per via del controllo mafioso del territorio». 

Cornelli sottolinea anche che l'Italia di oggi non è un paese pacifico per tradizione, ma lo è diventato nel tempo: «nell'Ottocento la nostra penisola aveva fama europea di paese violento: 20 omicidi ogni 100.000 abitanti all'anno».

 

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Problemi considerati prioritari nel Paese

 

Il docente dell'università Bicocca viene poi al nodo cruciale: i cittadini italiani sempre più impauriti. «Questo è un altro dei luoghi comuni che emergono spesso nel discorso pubblico. Una recente ricerca ISTAT, una delle meglio composte in merito, ha chiesto a un campione di cittadini italiani se ritengono molto o abbastanza presente il rischio di criminalità nei loro luoghi di vita.  Risultato: un terzo della popolazione considera il proprio quartiere potenziale vittima di criminalità».

E' tanto o è poco? Difficile dirlo. In questi anni di certo la paura per la criminalità si è diffusa molto, spesso associandosi nel discorso pubblico al fenomeno migratorio con un'equazione piuttosto semplice: più immigrati, più reati sul territorio. I dati però, spiega Cornelli, dicono altro: «Anzitutto, a  guardar le statistiche, è lo straniero che oggi dovrebbe temere i cittadini italiani. I cittadini stranieri sono autori di reati, ma più spesso sono vittime di reati! L'87% delle vittime italiane è stata vittimizzata da autori italiani, solo il 9% da stranieri. Il 24% di stranieri sono stati vittimizzati da italiani e il resto da stranieri. E' insomma molto più facile che uno straniero sia ucciso da un italiano che viceversa».

«L'aumento dei reati in Italia è avvenuto in un periodo in cui i flussi migratori erano minimi e quasi tutti legati a  comunità consolidate: i filippini che svolgevano mansioni domestiche durante gli anni ottanta, per fare un esempio. Negli anni Novanta cresce il numero degli immigrati, ma in un panorama in cui il numero di reati diminuisce o resta stabile. Ad esempio, in quegli anni assistiamo a una sensibile diminuzione degli omicidi».

 

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Immigrati e reati in Italia (LaVoce.info)

 

I dati invitano dunque a mantenere la calma, mentre l'agitazione sale. «David Garland in un suo celebre libro – prosegue il criminologo - ha parlato di “cultura del controllo”: un modo di guardare alle cose che ci sta portando ad aumentare considerevolmente gli strumenti di controllo nella nostra vita (antifurti, videosorveglianza, ec). Eppure, nonostante questi strumenti si moltiplichino, sentiamo spesso ripetere che ci vorrebbe più controllo, che le forze dell'ordine non sono in numero adeguato ad affrontare i fenomeni in corso. In Italia, in verità, il numero di addetti alle forze dell'ordine è piuttosto alto. Abbiamo avuto alcune emergenze nazionali in passato che hanno giustificato questa situazione. Per fare un esempio, l'Italia è uno degli Stati europei con il più elevato numero di poliziotti per 100.000 abitanti. Ci troviamo in alto a questa classifica prima di paesi come Germania, Francia e Spagna».

 

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Numero forze di polizia

 

I fatti sono più complessi del discorso pubblico quindi: la criminalità in questi ultimi anni non è in crescita, ma è la società a percepirsi come sempre più a rischio di criminalità. La domanda da porsi a questo punto è scontata: perché così tante persone pensano che la criminalità sia in aumento?

«La paura degli italiani è diventata parte del discorso pubblico –  spiega Cornelli. Abbiamo fatto molta ricerca d'archivio negli ultimi anni:  se aveste modo di dare oggi uno sguardo ai quotidiani o ai telegiornali degli anni Ottanta, trovereste le notizie di nera a pagina 32, mai in prima pagina. I giornalisti di nera all'epoca erano spesso gli ultimi arrivati. Nei Tg di trent'anni fa parole come “sicurezza” o termini come “paura della criminalità” non erano mai utilizzati».

 

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Le parole quotidiane

 

La presenza di immigrati, insomma, sembra aver scoperto i nervi di una società che sta facendo fatica per diverse altre ragioni. I cambiamenti si susseguono rapidamente e fatichiamo ad adeguarci,  Cornelli suggerisce che davanti a questo quadro abbiamo individuato uno sfogo collettivo: il capro espiatorio di questi anni sono stati gli immigrati.

 

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Immigrati tra percezione e realtà

«L'aumento della paura, i flussi migratori e l'ossessione del controllo sono andati crescendo di pari passo, monopolizzando in pochi anni il discorso pubblico.  Alla fine degli anni Novanta si parlava solo di quello. La paura emerge in un contesto di crisi tra cittadini e tra cittadini e istituzioni. Non ci si fida più della politica, ad esempio. La politica come arte di sintesi utile a proteggere i nostri interessi. E, se ci pensate, i  governi di figure tecniche o comunque non prettamente politiche che si sono succeduti da Dini in poi hanno proprio questo significato. Berlusconi era l'imprenditore che doveva far funzionare lo Stato come le sue aziende, Prodi era un'economista prestato alla politica, Monti l'unico in grado di salvarci dal default, e via dicendo fino ad oggi».

Una politica con sempre meno credito a sua volta ha giocato e gioca in difesa, spiega Cornelli: «Le politiche di sicurezza vengono orientate oggi dalla “paura della criminalità”, tendono a immunizzare l'individuo, a promettergli la campana di vetro sotto cui vivere felice e sereno. Politiche giocate sull'idea di individuo protetto e che possa proteggersi da solo. A mio modo di vedere, si accentuano così le ragioni della diffidenza verso l'altro cittadino e verso le istituzioni; si avvalla il modello del cittadino che non si fida di nessuno».

Quale può essere la vita di uscita, Cornelli lo accenna solo alla fine del suo intervento: «Abbiamo analizzato in questi anni alcune buone pratiche, le indicazioni ottenute attraverso queste indagini le abbiamo riassunte in un libro (Oltre la paura, edito da Feltrinelli). L'idea di fondo è che sia necessario pensare a politiche di segno diverso, maggiormente mirate a lavorare alla radice del problema. Creare più socialità dovrebbe essere l'obiettivo. La politica dovrebbe provare a costruire contesti in cui sia possibile diminuire la “paura sociale”, contesti di maggiore fiducia. Proseguire in politiche che accentuano la  diffidenza creerà sempre maggiori distorsioni nel discorso sulla paura, distorsioni che accetterebbero come unica risposta dosi crescenti di immunizzatori».

Promuovere una cultura diversa per trattare i temi legati alla sicurezza, quindi. Un esempio per capire di che parliamo, dice Cornelli, può venire dall'interpretazione della pena: «Oggi la pena è  intesa comunemente come reclusione. Il periodo carcerario restituisce alla libertà un individuo che potrebbe essere uguale a prima, pronto a delinquere il giorno stesso della sua liberazione. Non c'è alcuna considerazione della persona e del suo percorso di consapevolezza in questo modo di agire. Pensare, ad esempio, a quelle forme di giustizia riparativa dove si promuove l'incontro tra vittima e autore del crimine può dare significativi risultati in termini di presa di coscienza e maturazione soggettiva. La vittima di un crimine vuole capire perché è stata proprio lei l'obiettivo di quel gesto e solo chi ha compiuto il reato può rivelarglielo, non un giudice, non il sistema giudiziario; allo stesso tempo l'autore del crimine può essere perdonato davvero solo dalla vittima. La giustizia riparativa è una via che dovremmo frequentare sempre di più.  E' ora di pensarci».

 

Cornelli con Elia Aureli di CambiaMenti

 

Per approfondire:

Statistiche europee sulla criminalità - Eurostat

Evoluzione dei fenomeni criminali: italiani e stranieri a confronto - Osservatorio Regionale per l'integrazione e la multietnicità

Gli autori di Vorrei
Alfio Sironi

Mi occupo di tematiche geografiche dentro e fuori la scuola.

Qui la scheda personale e l'elenco di tutti gli articoli.