Alla riscoperta della città con gli occhi dei migranti meridionali di ieri e di oggi, lontano dai luoghi comuni
Se tu, uomo o donna del Sud Italia, prendi un treno per lasciare i tuoi luoghi e dirigerti nella grigia Brianza per il solo motivo di andare ad incontrare un caro amico o parente che lì ormai abita, scòrdati di trovare una provincia industriale asettica e sconosciuta. Tra quei condomini circondati da siepi e viali alberati rintraccerai un luogo del cuore nel quale fare un viaggio a ritroso nella tua vita. Attenzione quindi alle escursioni emozionali!
lo zio Carmelo accompagnò in bici mio nonno Totò e mia madre Lia di appena quattordici anni alla stazione di Lecce per salire sul treno per Milano, un treno che per sedili aveva delle panche di legno.
Le lunghe serate della mia infanzia, in Puglia, sono trascorse attorno ai grandi camini in pietra bianca a casa dei nonni e quando saltavo sulle loro gambe per riceverne le carezze, le guance venivano graffiate dalle loro mani ruvide e senza unghie. Era quello il momento nel quale dalle loro labbra sottili iniziavano certi racconti oscuri e di fantascienza. Storie di tangenziali, di fabbriche, di bitume, di cantieri stradali, di ponti, di ferraglie, ricordi di sveglie notturne, di brande richiuse al mattino in cucine unte illuminate al neon. Una mattina di febbraio del 1956, lo zio Carmelo accompagnò in bici mio nonno Totò e mia madre Lia di appena quattordici anni alla stazione di Lecce per salire sul treno per Milano, un treno che per sedili aveva delle panche di legno. Giunsero a Monza con la 600 dello zio Vito, emigrato già dai primi anni '50, che e li portò in un garage in via Carlo Amati, dove mia madre avrebbe abitato e lavorato come impagliatrice di sedie. Il nonno, invece, dal lunedì successivo avrebbe affiancato come operaio un gruppo di asfaltatori.
Gli occhi di Ilario, il più piccolo dei cugini accucciati attorno al nonno, si spalancarono ed erano ancora più vividi al riflesso della vampa del camino: “Zia, ma tu sapevi fare le sedie da piccola?! Nonno, e tu? Tu non hai sempre e solo lavorato in campagna? Chi ti ha insegnato a fare le strade?”. Gli occhi degli adulti presenti si riempirono di tenerezza e mia madre rispose: “Ma a Monza non dovevi cercare il lavoro! Non c'era bisogno di dire cosa sapessi fare. Ti presentavi davanti alla porta di una fabbrica, oppure su un cantiere dicendo solo «Lavoro?» e l'indomani eri lì! Ti mostravano cosa fare e lo facevi. Loro sapevano che noi avremmo fatto di tutto, noi sapevamo che loro ci avrebbero dato il lavoro, non bisognava dire altro, e forse nessuno di noi voleva parlare”.
In effetti così aveva fatto lo zio Vito, lui era molto amico di un carpentiere di Desio che aveva preso degli appalti per la costruzione di alcuni condomini a Monza e negli anni successivi ci avevano lavorato altri cugini; anche mio padre li raggiunse dal Salentonei primi anni '60, ed io ho sempre saputo, infatti, che la nostra Mini Minor IT Innocenti, quella che ci ha accompagnato a scuola fino ai primi anni Novanta, l'aveva acquistata “con le paghe di Monza”. Abitavano tutti insieme in una stanza unica con cucina in via Amati, con il bagno comune al piano e un'unica finestra che si affacciava sul disimpegno esterno attraverso il quale si accedeva ai piccoli garages. La mamma vi scendeva che era ancora buio, e quell'immagine mi riempiva talmente tanto di solitudine e angoscia che, ancora oggi, certe levatacce mi riaccompagnano a quei racconti e immagino quegl'angoli di cielo grigio visti con i suoi occhi, quasi chiusi dalle palpebre stanche e tra i ciuffi crespi e bruni dei suoi capelli spettinati.
Per noi bambini di mare e abitanti di case ad un solo piano, quei luoghi ci sembravano leggendari al pari di Atlantide o di Trantor, noi che vivevamo in campagna correndo sulle strade polverose, questi nonni che andavano a stendere il bitume sulle futuristiche rampe di tangenziale ci apparivano come i personaggi di Isaac Asimov... per noi dell'estremo est, le mattine buie erano immaginabili solo nello spazio!
I cugini, quelli più anziani, hanno abbandonato il sogno di invecchiare al sole del Sud. Ci parlano di quei luoghi che sentono ormai propri eppure eternamente distanti.
Crescendo, poi, scopri che questi luoghi non solo esistono realmente ma sono una continua attrattiva e minaccia per la tua vita. “Quale Università? … eh, ma lo sai che dovrai spostarti, no? Dove? Milano!”, “Provi il concorso? Insegnamento? Lettere? Filosofia? Ma quale Puglia e Puglia!... Provincia di Milano!” e per quanto tu voglia resistere, metà della tua vita, delle tue relazioni va o rientra in Brianza.
I cugini, quelli più anziani, hanno abbandonato il sogno di invecchiare al sole del Sud. Ci parlano di quei luoghi che sentono ormai propri eppure eternamente distanti.
In questi nuovi racconti, però, non si narra più di fumi e di carboni ma di Trenord, di metropolitana fino a Sesto, di corsetta al parco, di cene solitarie alle sette della sera... Quella Brianza fumosa e buia raccontata dai nonni operai, non esiste più, è diventata famigliare, quasi amica, è divenuta la casa dei compagni di liceo, dei compagni di studio all'università, del bambino di fronte casa, al paese, col quale correvi in bici, del ragazzo che ti passava a prendere in vespa per andare al mare.
Con Annalisa, la mia amica di infanzia che vive e lavora a Monza come insegnante, affrontiamo spesso un classico delle sfide verbali: Nord Vs Sud. Tutto funziona Vs Bagno al mare nel mese di ottobre; Cielo Grigio Piombo Vs 18 gradi nei pomeriggi di novembre; Lavoro, contributi, ferie pagate Vs Co.Co.Co...; Manco una carta a terra Vs Coast to Coast Adriatico - Jonio con caffè ad Otranto ogni domenica pomeriggio... Ed è facile infierire sulla ferita del migrante, colma di nostalgia. È facile vincere il match parlando di mare mentre percorri la Statale 36 per Monza. Però, raggiungere la tua amica e scoprire invece una provincia verdissima con un cielo terso, scoprirne il sole del pomeriggio sulla facciata del Duomo, la piscina aperta di domenica e la facilità di socializzare e incontrarsi, anche se in modi diversi dai nostri, è stata davvero una sorpresa!
Ma l'emozione più grande è stata essere accompagnata in via Carlo Amati e soffermare lo sguardo su ogni finestra e davanti ad ogni cancello di condominio che porta ai box auto e chiedersi dietro quale vetro. O ritrovarsi davanti al cimitero per ricordare che più in là, nelle cappelle comunali, riposa la zia Rosaria, quella che veniva a prendermi dalla scuola Elementare e mi permetteva di guardare i cartoni su Canale 5. Leggevamo insieme i titoli di coda e quando sotto i nostri occhi scorreva “Cologno Monzese, MI” sobbalzavo: “Ma è lì che abita quella figlia tua che non conosco, vero?!” pensando che fosse fortunatissima ad abitare, credevo io, vicino a Cristina D'Avena. E pensando a tutto questo ti ritrovi a scioglierti di tenerezza e ricordi per le strade di Monza, tu che vivi, lavori, respiri, altrove.
Monza mi ha insegnato questo: non esistono degli “altrove” e non si è poi così lontani dal calore del Salento. Queste strade sono intrise di legami, di vite, di le storie, di corpi che si sono incontrati, separati, ricongiunti. Prima una generazione, poi un'altra, attraversando la mia vita pur senza averci abitato.
No, nessun grigiore per me nel cielo di Monza.