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driano Corioni, Direttore dell’Ente cattolico di formazione professionale di Monza, racconta il mondo della scuola professionale, la sua vicinanza al lavoro, il suo proporsi come percorso “alternativo” ai classici iter formativi nei licei e negli istituti tecnici, a suo modo di vedere, spiega perché i cambiamenti previsti dal governo sono sostanzialmente positivi e vanno incontro alle esigenze degli allievi e invita a non strumentalizzare politicamente le trasformazioni in atto.
Che realtà vive la scuola professionale in Lombardia?
La scuola professionale da sempre rappresenta un indirizzo alternativo ai canonici percorsi di formazione, attraverso modalità di insegnamento-apprendimento impostate in modo molto diverso da quella scolastica standard. Nei centri di formazione ha, infatti, importanza predominante la trasmissione di saperi pratici attraverso l’attività manuale. Nel nostro caso, abbiamo da oltre 25 anni la figura del tutor a supporto dell’insegnante e garantiamo ampio tempo alle attività di stage: già dal secondo anno lo studente affronta un primo periodo di tirocinio, che diventa di 300 ore durante il terzo anno. Il quarto anno, per chi sceglie di frequentarlo, si configura invece come un affinamento e un’integrazione delle competenze mirato all’inserimento nel mondo del lavoro (ad esempio, attività di orientamento, modalità di ricerca del lavoro, redazione del curriculum, eccetera). Tutti questi elementi, oltre a dare una formazione pratica di livello, si configurano come un’opportunità di collocazione considerevole. La maggior parte dei nostri studenti nel corso dei sei mesi successivi alla fine dei corsi trovano lavoro nel proprio ambito di riferimento. Inoltre, il Ministro Gelmini ha riconfermato l’impostazione ideologica della Legge 53 che stabilisce al termine del quarto anno la possibilità per lo studente di passare ad una scuola media superiore a sua scelta, la quale dovrà prevedere dei corsi di riallineamento.
La riforma prospettata dal Governo risponde ai bisogni della scuola?
Questa riforma tocca in modo marginale la formazione professionale. Il precedente governo voleva eliminare la scuola professionale o, almeno, questa era la dichiarata intenzione del Ministro Fioroni, che probabilmente non riconosceva dignità a questo indirizzo formativo. La riforma di Fioroni rivedeva l’innalzamento dell’età scolare, ma non i suoi contenuti: prevedeva due anni di scuola in più, senza specificare come riempire questo periodo. È scorretto definire sia le modifiche apportate da Fioroni sia quelle della Gelmini come riforme, una riforma che abbia la dignità di questo nome sarebbe altra cosa. In merito alle modifiche annunciate in tempi recenti, credo che ci si debba chiedere: servono questi tagli? A chi? Sono nell’interesse degli allievi? Il triplice maestro è una modalità utile o inutile? Chiediamoci queste cose prima di barricarci nell’ideologia. Credo che ci voglia maggiore apertura ai bisogni dei ragazzi e meno strumentalizzazione politica. Sono convinto che molti tra coloro che scenderanno in piazza nei prossimi giorni non conoscono nemmeno la reale sostanza della proposta del Ministro. Personalmente, credo che il triplice maestro fosse un modo per risolvere un problema occupazionale in un dato periodo storico, tale modalità non ha mai dato prova di essere migliore, mentre posso confermare che il modello stellare, che vede un maestro affiancato da specialisti per le discipline tecniche o specifiche, si è rivelato un metodo efficace, non a caso, è stato adottato dalla totalità delle scuole paritarie che conosco. Molto più semplice avere un singolo incaricato con obiettivi precisi e capace di tenere una linea di fondo, aiutato laddove sia necessario da specialisti esterni, piuttosto che tre menti che viaggiano ognuna dietro un proprio obiettivo. Si prenda il caso delle lingue: è possibile che in Italia un laureato in Lingue Straniere non possa insegnare inglese nelle scuole elementari, mentre si fanno fare corsi alle maestre per imparare una lingua che non sanno?
Dobbiamo affrontare i problemi per come essi si pongono, dei tagli sono necessari se operano a favore dei ragazzi.
Quali sono oggi i principali problemi che la scuola deve affrontare?
Mi pare che l’insegnamento delle lingue, prima citato, sia un primo importante nodo da sciogliere. I diplomati e i laureati italiani che vanno all’estero o che hanno a che fare per lavoro con le realtà straniere si trovano spesso in difficoltà: in Italia non esiste ancora una adeguata modalità di trasmissione delle lingua, c’è spesso una trasmissione di nozioni grammaticali e si dimentica del tutto l’aspetto comunicativo. Insomma, i bambini imparano una lingua senza nulla sapere di grammatica. All’estero la mentalitàè diversa, si guardano film senza doppiaggio e sottotitoli, si ha meno paura di affrontare altri suoni e impostazioni.
Un secondo grande problema mi pare che sia quello dell’orientamento: si creano corsi di laurea per occupare i docenti, senza curarsi delle richieste del mercato, poi ci si lamenta dei laureati senza occupazione. Servirebbe un orientamento che aiutasse i ragazzi a scegliere corsi capaci di valorizzare le capacità e di preparare per l’ingresso nel mondo del lavoro. Oggi, invece, la scelta non è guidata e ci troviamo con troppi studenti che scelgono in modo casuale il proprio corso, salvo poi ritrovarsi con una laurea in mano che non porta da nessuna parte.