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l “Classico” non forma più solo umanisti; i tagli alla scuola come prospettati dall’attuale governo sono un’operazione indiscriminata senza nessuna giustificazione didattica; il mondo della formazione si dirige verso un modello di compartecipazione pubblico/privata sul modello delle Fondazioni; ecco alcune delle idee che il Professor Vincenzo Di Rienzo, Dirigente scolastico del Liceo classico Zucchi di Monza, sostiene in questa intervista. Un ritratto di una scuola che si evolve in mezzo a un quadro normativo confuso dall’alternarsi delle coalizioni di governo e che attende sempre con maggior bisogno una riforma bipartisan.
Scuole e mondo del lavoro: quanta distanza c’è oggi in Brianza?
I licei sono da sempre incaricati di preparare i ragazzi all’ingresso nelle università. Lo studente che esce dai licei dovrebbe, almeno in linea teorica, ricevere un’istruzione in grado di consentirgli l’accesso ai più disparati corsi di laurea. Ancor più oggi, la formazione del liceo non si può configurare come preparazione al mondo del lavoro e diritto ad entrare immediatamente nello stesso: un titolo di liceo superiore non sarebbe concorrenziale per nessuna posizione lavorativa in Italia e tantomeno all’estero. Per quanto riguarda lo specifico caso del Liceo Zucchi, tentiamo di offrire un’ampia formazione di base perché lo studente possa poi affrontare agevolmente qualsiasi corso successivo: un dato che dall’esterno non viene percepito, ad esempio, è che il 75% degli studenti che escono dal nostro liceo scelgono poi facoltà universitarie tecnico-scientifiche, come architettura e ingegneria, senza riscontrare particolari problemi in fase di inserimento. Questo trend che non vede più lo studente del “classico” indirizzato verso le sole materie umanistiche consolida la propria posizione di anno in anno, e in modo consistente da cinque anni a questa parte.
Secondo il governo l’antico dà sicurezza e il nuovo spaventa, è meno controllabile.
I media parlano molto di Riforma Gelmini: lei che frequenta la scuola da anni come la vede?
Vorrei premettere che, più che di riforma Gelimini, si dovrebbe parlare di “azione di governo”, sono infatti la linea e il modo di questo governo che agiscono nei vari campi del vivere a immaginare un mondo diverso: questo governo ha in mente un’idea di società, e quindi di scuola, diversa. È convinzione di questa parte politica che tornare all’antico sia meglio: l’antico dà sicurezza e il nuovo spaventa, è meno controllabile. Si badi bene, ritocchi e tagli anche nel mondo della scuola sono necessari, abbiamo potuto vedere in questi anni quante università abbiano utilizzato male l’autonomia loro concessa, costruendo corsi prima per occupare il corpo docente e, secondariamente, per formare gli studenti. Anche a livelli più bassi ci sono molti tagli che dovrebbero essere portati a termine. Il punto è la modalità con cui i tagli vengono operati: i tagli che vengono prospettati nella scuola primaria sono tagli indiscriminati, dal mio punto di vista il ritorno all’insegnante unico è un grande errore pedagogico, una scelta che in nessun caso è stata legittimata con motivazioni didattiche. Oggi occorrono più risorse per la mediazione linguistica, l’assistenza agli allievi che presentano situazioni familiari svantaggiate, c’è una maggiore necessità del tempo pieno, è quindi opportuno operare tagli laddove veramente servono e non sull’offerta che diamo ai ragazzi.
Qual è oggi la principale urgenza per la scuola?
I governi di ogni colore che si sono susseguiti negli anni non sono riusciti a portare a termine una organica e necessaria riforma della scuola. Se vuole avere successo una riforma, oggi, deve essere condotta in modo sinergico da entrambe le parti, deve essere un’operazione bipartisan. Questo è l’unico modo per sottrarre la scuola all’alternanza dei governi e alle conseguenti, sempre parziali, modifiche, trasformazioni attuate per essere invalidate qualche tempo dopo. Solo concordando una riforma la scuola può avere linee più chiare e il tempo per perseguirle.
Un altro tema importante è quello economico: se l’economia non si riprenderà e proseguirà in questa lenta discesa dobbiamo prospettarci l’impossibilità di avere ancora scuola pubbliche sostenute dallo Stato. L’attuale sostegno, già ridotto, non potrà essere riproposto fra qualche tempo, sarà quindi probabile una virata verso il modello che caratterizza alcuni degli Stati Uniti d’America: una scuola pubblica riservata solo agli studenti che ne hanno reale bisogno, e una scuola a gestione pubblico/privata che tende al modello delle fondazioni. Un’idea peraltro contenuta nelle disposizioni di legge promosse dall’attuale governo.
Per il futuro è quindi necessario uscire dalla logica della contrapposizione e, per un tema importante come quello della scuola, trovare un’intesa più ampia.