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Riceviamo e pubblichiamo

 

Una curiosa inversione

Mesi fa ho bombardato decine di volte le caselle email di sindacati scuola, RSU, docenti, genitori titubanti invitando tutti, me compreso, a muoversi più energicamente e rapidamente in difesa di ciò che restava della scuola pubblica, investita dalla bellicosa Triade Tremonti/Brunetta/Gemini.

Ora tocca a me trovarmi in casella solleciti a partecipare a questa o quella iniziativa al proposito. A volte è il neonato Comitato brianteo per la difesa della scuola pubblica, altre, visto che insegno all’ISA e sono rappresentante sindacale, il coordinamento di Milano e provincia per l’istruzione artistica.

Benvenuti, dico ad entrambi, anche se forse qualche riflessione in più sulla situazione attuale e sul perché ci si trovi semi-affondati in essa va fatta.

Infatti, aldilà delle manifestazioni in questa o quella città o scuola, da chiunque organizzate, non possiamo non avvertire - purtroppo - la sensazione che ci sia uno sfarinamento e una frammentazione progressiva dei movimenti di protesta, alla quale non so quanto potrà porre rimedio lo sciopero generale programmato dalla CGIL. Nel conteso complessivo, l’attenzione dei cittadini è rivolta, più che alla scuola, alla minaccia incombente di una crisi economica che comincia a mordere duro e prospetta sfracelli.

Lo sa Berlusconi, lo sa anche la Triade citata che è sì all’opera per procacciar risorse a casse statali esangui ma, soprattutto, per far sì che la difesa dei residui estremi di Stato sociale ancora in circolazione non eroda i capitali e i possedimenti di quei ceti che hanno fatto cassa, in questi anni per molti altri disastrosi.

Scuola statale pubblica e privata alla resa dei conti. Rallegramenti

Visto dal lentino della scuola pubblica, tutto ciò si traduce - con grande tempismo ed evidenza - nella vicenda che vede all’opera in estrema sintonia, Vaticano, Conferenza episcopale, governo e anche spezzoni sparsi ma con incarichi importanti dei cristiano/popolari saldamente annidati nel PD.

La vicenda è nota. Tremonti dispone un sostanziale taglio dei fondi per l’istruzione privata che, a differenza che in altri paesi, in Italia è in buona parte fatta di scuole di ispirazione religiosa cattolica.

La Conferenza dei vescovi, a stretto giro di stampa, lo “invita” a ripensarci e il governo, altrettanto rapidamente, ci ripensa.

Questo scambio di cortesie si inserisce in un quadro nel quale le scuole pubbliche stanno subendo, già ora, tagli di bilancio del 40 o 50% e ciascuno dovrebbe esser in grado di capire cosa significa: la fine. E difatti lo sanno Sua Santità teutonica, la Conferenza episcopale, e dovrebbero avernecoscienza anche il ministro ombra del PD Garavaglia e il capogruppo del PD in Commissione Istruzione al Senato, Antonio Rusconi.

I quali ultimi, inopinatamente, come scrive Miriam Mafai su Repubblica, “hanno subito e con calore dichiarato di apprezzare le rassicurazioni fornite, a nome di Tremonti, dal sottosegretario Vegas. Ma non ne sono ancora soddisfatti. Chiedono di più. Sempre per le private. Chiedono cioé che siano garantiti "pari diritti agli studenti e alle famiglie" È, quasi con le stesse parole, la rivendicazione già avanzata dalle gerarchie."

Capite il messaggio consequenziale, nemmeno troppo nascosto in tutte questi singolarmente coincidenti apprezzamenti e richieste?

Al massacro delle statali pubbliche si opponga anche in ordine sparso chi può e riesce - l’opposizione parlamentare ne può ne riesce - ma intanto ci si rallegri comunque di questo pronto ravvedimento governativo anche se, sul fronte della scuola statale pubblica, non trova alcuna corrispondenza.

Si rallegra Ratzinger, si rallegra la Cei, si rallegrano le migliaia di scuole sostanzialmente confessionali, perché non dovrebbero farlo anche il ministro ombra per l’Istruzione e i signori cattolici-popolari impegnati in politica nel PD?

Il cerchio si chiude

Non dovrebbero farlo perché il cerchio ora si chiude, e se non è affar loro chi resterà nella tagliola,è affare nostro.

In precisa e "Concordata" sintonia con Triade, Conferenza dei vescovi e i nostri pidiessini expopolari, c'è infatti Ratzinger che chiede l'estensione a tutti del buono scuola, da spendersi dove la famiglia ritiene più opportuno.

Dove lo spenderanno? Nella scuola pubblica dove i muri, grazie ai tagli, crollano in testa agli allievi o nei Collegi con campus e piscina e i corsi estivi di inglese a Londra?

La risposta, capirete tutti, é facile.

La violenta reazione del Vaticano e del vescovato non è quindi solo legata all’occasione contingente, ma s’inserisce nel quadro strategico teso ad allargare la presenza delle scuole cattoliche in un settore decisivo della società.

Quel che a prima vista appare solo singolare - lo straordinario silenzio delle Gerarchie sui tagli alla scuola statale accompagnato al rombar di cannoni su quelli alla confessionale - si spiega dunque benissimo.

E si spiega, anche, la sollecitudine con la quale le sponde cattolico-popolari del PD plaudono e Concordano: c’è una “perversa” tradizione, che promana dal PDS prima e dal PD poi ed affida a ministri o sottosegretari, un po’ troppo ossequienti all’attivismo vaticano, un settore delicato come quello dell’istruzione, tradizione che perdura con l’attuale ombra di ministro, Maria, non a caso Pia, Garavaglia.

Quasi che i cattolici cristiani non fossero già di per se nel PD, e avessero bisogno di rappresentanti espliciti. E quasi costoro fossero davvero ancora gli eredi del riformismo cattolico democratico e libero d’altri tempi.

Non è così, purtroppo, ne constatiamo ogni giorno le evidenze,velenose per il Pd stesso e per lo Stato laico (non laicista!!).

Qualche domanda a noi stessi

A questo punto, stabilite alcune responsabilità altrui - in primo luogo quella della Triade governativa - è però anche il momento di chiedersi: solo ora, dopo decenni di tagli, limitazioni, espropriazioni di competenze, sperimentazioni negate, autonomie progressivamente ridimensionate, solo ora partiti democratici, sindacati, movimenti, istituzioni scolastiche si accorgono di quel che stava compiendosi e reagiscono?

Solo ora rivendicano di poter gestire quella autonomia ridotta a brandelli che, quando è stata loro affidata, hanno raramente saputo riempire di innovazione e contenuti, tesi com’erano anzitutto a difendere lo stato quo delle cattedre, delle discipline, delle corporazioni, degli infiniti frammenti di interessi particolari (i docenti, i lavoratori non docenti, i precari, i concorsi, le SSIS, i genitori, gli studenti…) che nelle scuole di ogni ordine e grado hanno trovato espressione anche a costo di costruire non un “sistema scolastico” coordinato, ma un apparato gommoso e informe obbediente a qualsiasi ordinanza, circolare, regolamento anche cervellotico purché non ne intaccasse i fragili equilibri interni?

Nessuno nega gli sforzi individuali, le risorse umane impegnate e spesso sprecate in questa o quella occasione: ma il compito di rinnovare la scuola, in scuole dotate di autonomia giuridica, davvero doveva esser lasciato solo ai governi? Per poi lamentarsi, eventualmente, degli esiti?

Davvero bastava trastullarsi col gioco del rimpallo delle responsabilità tra l’una e l’altra componente della vita scolastica?

Che si fa ora

Ora, com’è evidente, tutti noi si farà il possibile perché anche quel che poco che resta della scuola pubblica non vada definitivamente distrutto, ma il compito dei distruttori è assai più facile.

Non dico che già possono sedersi sulla sponda del fiume e attendere che il cadavere del nemico – la scuola laica, libera, democratica e aperta a tutti – passi, ma quasi. I primi frammenti (scuola primaria e università) già galleggiano, a febbraio seguirà la secondaria, se la crisi economica, finanziaria e sociale non porrà altre e più pressanti priorità all’ordine del giorno.

Bello, no, doversi quasi augurare il sopraggiungere di un disastro sociale più grande per scongiurarne uno per il momento minore?

Così, mentre penso alle difficoltà di questi mesi che ci aspettano, rifletto con amarezza sulla troppa ossequienza che alcuni dei mittenti delle mail che oggi chiamano al soccorso e alla resistenza hanno dimostrato a suo tempo rispetto ai primi evidenti segni dell’opera dei distruttori, solo perché governavano governi amici, a Roma o localmente.

E mi rigiro tra le mani un documento presentato dal Comitato scientifico didattico della scuola dove insegno a un Collegio docenti (del 1991!), nel quale si proponevano ai colleghi innovazioni strutturali e didattiche che non furono nemmeno discusse in quell’occasione e oggi – guarda caso – costituiscono patrimonio seducente e concreto di tante scuole private.

Quelle stesse che già allora additavamo come possibili concorrenti in futuro e che ora lo sono ogni giorno, e ancor più lo saranno, se il buono scuola trasformerà la formazione in un libero e diseguale mercato nel quale chi ha più risorse economiche la vince.

Concorrenti, appunto, messi in condizioni di competere a partire da posizioni privilegiate, com’è nell’interpretazione berlusconiana della libera concorrenza quando interessa affari suoi o di suoi affini e sostenitori.

Quel futuro che nel 1991 ipotizzavamo - ma che ogni studioso attento prospettava da tempo - è arrivato mentre le scuole statali pubbliche, come spesso fanno, guardavano prevalentemente il proprio ombelico.

Costituzione, libertà dei saperi, regole generali, responsabilità

Spero d’ora innanzi, se ci sarà un innanzi degno d’esser definito tale, ci si ricordi che l’innovazione, l’efficacia, la concorrenzialità e le condizioni che le rendono possibili non sono graziosi regali assoggettabili a contrattazione variabile a seconda di chi governa. E stanno in parte nelle mani dei governi ma, in buona parte, anche nella nostra capacità di intraprendere, inventare, concretizzare iniziative e sostenere la richiesta di contesti normativi coordinati e integrati nei quali le nostre competenze peculiari si possano realizzare.

L’art. 33 della Costituzione contiene tra le altre, al proposito, indicazioni precise: l’arte e la scienza sono libere, e libero ne è l’insegnamento. La Repubblica detta le regole generali sull’istruzione ed istituisce scuole statali per tutti gli ordini e gradi. Sta alle scuole che l’insegnamento delle arti e della scienza sia libero e non svilito; sta alla Repubblica, attraverso le sue istituzioni e gli organi che lo compongono e non solo il governo statale, far si che queste compiti possano esercitarsi con efficacia, competenza, innovazione, il che non può avvenire senza libertà, poiché senza libertà non può mai esservi assunzione di responsabilità civile.

Questa cura, tuttavia, non mi è parsa prevalente occupazione, almeno negli ultimi dieci anni, di nessun governo, nazionale o locale.

E, altrettanto non mi è parso sufficiente, anzi, l’impegno di difesa della propria libertà e di contemporanea assunzione di responsabilità da parte delle scuole.

Di modo che un percorso che, nonostante mille difficoltà, si era snodato a partire dall’inizio degli anni ‘60 avendo come punto di riferimento questi esiti, si sta ora rovesciando nel suo esatto contrario.

Michelangelo Casiraghi

RSU FLC CGIL, componente del Comitato scientifico didattico e del Consiglio di Istituto dell’IIS MONZA

Gli autori di Vorrei
Michelangelo Casiraghi