Intervista a Diego Colombo, corrispondente del Corriere della Sera, fondatore di Brianze e presidente della Casa della Cultura di Monza.
Dustin Hoffman e Robert Redford in "Tutti gli uomini del presidente" di Alan J. Pakula del 1976
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ome hai cominciato il mestiere?
Da brianzolo, costruendo dal nulla negli anni Ottanta un mensile – si chiamava “La Piazza” - che si occupava di Biassono. Era un giornalino di 8 pagine, fatto in modo artigianale (non c’erano computer, si battevano i pezzi a macchina e si correggeva col bianchetto) ma molto aggressivo. La Dc, allora saldamente al comando in paese con quasi il 50% dei voti, un po’ ci temeva perché le facevamo le pulci su tutto: dai consigli comunali alle concessioni edilizie. Ma anche con gli altri partiti non eravamo teneri, anzi. Credo sia stata l’esperienza più esaltante (forse perché ero giovane ed entusiasta) che abbia fatto come giornalista. Anche perché avevi subito il riscontro di quello che scrivevi: si preoccupavano eccome, anche se vendevamo 500 copie. Poi sono sopraggiunti gli impegni un po’ più seri: “l’esagono”, “Brianza oggi”, e dal 1990 il “Corriere della Sera”. Altre storie. Con l’eccezione della rivista “Brianze”, anche quella fatta per divertimento.
Come giudichi lo stato di salute dell’informazione in Brianza? Credi che sia completo o che manchi qualcosa?
Beh, i giornali non mancano. C’è un quotidiano (anche se non esclusivamente brianzolo) come “Il Giorno” che dedica diverse pagine al territorio, due settimanali come “Il Cittadino” e i giornali del gruppo Netweek (Giornale di Monza, Seregno, Vimercate…) e un bisettimanale come “l’esagono”. Più il “Corriere della Sera”, “Il Giornale” e “Repubblica”, che qualche pezzo ogni tanto alla Brianza lo dedicano. Certo, non hanno più la presenza – soprattutto i primi due - di qualche anno fa e questa, credo, è la perdita maggiore per il territorio, perché la loro incidenza era elevata e si faceva sentire. E ci sono, poi, un bel po’ di giornali on line. Mi pare dunque che di testate non ce ne siano poche. Se c’è un difetto, va forse cercato nell’uniformità dell’informazione: si fanno giornali quasi fotocopia, con le stesse notizie e con poca voglia di differenziarsi. Si punta tutto sulla cronaca spiccia, si danno le stesse notizie e quasi allo stesso modo.
Perché la Brianza non ha un suo quotidiano o una sua tv? Bacino d’utenza e mercato pubblicitario dovrebbero essere sufficienti. Può essere la mancanza di un sentirsi comunità il motivo di quest’assenza?
Se fosse così, sarebbe un bel disastro, dal momento che sul sentirsi comunità dei brianzoli (ma c’è poi davvero questo “idem sentire” o da noi conta soltanto il proprio paese?) si sta costruendo addirittura una provincia. Non lo so. Certo, in passato non sono mancati tentativi di darsi un giornale proprio o una propria tv, ma sono tutti falliti. Dall’“Ordine” di Como (che aveva un’edizione brianzola) negli anni Ottanta, a “Brianza oggi” e al “Quotidiano della Brianza” (“panino” della “Stampa” di Torino) negli anni Novanta, alle tre pagine che per poco meno di un anno (1990) il “Corriere” ha dedicato a Monza e Brianza. A “Unica tv” in campo televisivo. Un disastro dal punto di vista delle vendite e della raccolta pubblicitaria. Altri tempi, forse. Ma se non ha funzionato allora, dubito che possa funzionare oggi. Perché? Mah. La vicinanza con Milano è più forte di quel che non si creda. E quando dico vicinanza non è intendo solo quella geografica, c’è anche un’affinità culturale, sociale, culturale, economica altrettanto forte, per quanto poi i brianzoli si sbraccino a reclamare autonomia e indipendenza. L’unica strada percorribile è che i grandi quotidiani nazionali tornino a interessarsi della Brianza con edizioni locali aggiunte al giornale nazionale, come avviene in altre province italiane. Con un accorgimento: le inserzioni pubblicitarie non possono avere i costi del quotidiano nazionale, perché, per quanto ricca, la Brianza è fatta di piccole imprese che non hanno disponibilità rilevanti di risorse per farsi conoscere.
Un’altra assenza importante è quella di un giornale per l’area che politicamente fa riferimento al centrosinistra. Ci sono mai state esperienze e tentativi?
Credo che la sinistra (o il centrosinistra, che dir si voglia) abbia per anni sottovalutato questo problema e oggi ne paghi un po’ le conseguenze. Chi è causa del suo mal, pianga se stesso, no? Penso soprattutto alla “perdita” de “L’esagono”, settimanale che almeno in origine aveva una forte connotazione politica, con un taglio editoriale diverso dalle altre testate: poca cronaca nera e tanta attenzione ai diversi aspetti della convivenza civile e al lavoro. E qualche timido tentativo di andare oltre la notizia lo faceva. Purtroppo, la sinistra non ha saputo dare continuità a questa esperienza, lasciando che il giornale passasse in altre mani. E questo è stato un grosso errore, perché ci si poteva affidare a una testata già nota, con uno “zoccolo duro” di qualche migliaio di lettori. Qui la miopia dei politici locali di sinistra è palese. Anche perché oggi gli stessi si lamentano che la stampa brianzola è tutta schierata col centrodestra. E allora? Cosa si è fatto per invertire la tendenza?
Tu sei testimone da sempre di quanto accade in questo territorio. Quanto è cambiato negli ultimi vent’anni?
Tanto. Innanzitutto a livello politico. Con tutti i difetti che potevano avere i partiti, erano comunque una grande palestra, in cui nessuno si inventava sindaco, assessore o consigliere comunale dall’oggi al domani. Per emergere occorrevano capacità non indifferenti e non accadeva mai senza aver prima fatto un lungo tirocinio. Chi arrivava ad amministrare un Comune (Provincia e Regione, poi, non parliamone) poteva avere tutti i difetti di questo mondo ma non era certo uno sprovveduto. In questi ultimi anni, mi è invece capitato d’incontrare neosindaci che, per loro stessa ammissione, hanno messo piede per la prima volta in una sala consiliare il giorno della loro elezione. E se ne vantavano, anche.
Ma è cambiato molto anche il territorio. Oggi si insiste sulla necessità di nuove infrastrutture, strade, superstrade, autostrade, per non perdere il passo coi tempi. Io credo che la resa ai capannoni (il vero simbolo della Brianza, che dovrebbe stare nel logo della futura provincia), l’abbiamo già firmata da anni e che ormai non ci sia più molto da riconvertire alla produzione. Forse dovremmo incominciare a pensare di ristabilire un minimo di vivibilità in Brianza, senza trascurare le legittime esigenze di chi produce ma senza dimenticare che qui ci vivono anche 780 mila persone.
Perché i giornali tendono a somigliarsi tutti e così tanto?
Per vendere. La foto di una scolaresca di bambini il loro primo giorno di scuola “tira” di più di un’inchiesta sulla mafia in Brianza. Come un bel delitto in famiglia affascina il lettore molto di più di un’indagine seria su come i nostri amministratori spendono i soldi di tutti. E i giornali vengono stampati per essere venduti.
Una recente indagine ha dimostrato la scarsissima considerazione che gli italiani hanno del giornalismo nostrano (e dei giornalisti) e la grande sete di qualità. A giudicare dalla facilità con cui molte pagine sono riempite con il copia-incolla dai comunicati stampa, lo trovo in parte un giudizio condivisibile.
Mah. Tutti chiedono giornali di qualità, che poi immancabilmente nessuno compra. In giro ce ne sono e ben fatti, ma hanno i bilanci perennemente in rosso. Perché? Non dimentichiamoci che i giornalisti sono i primi a sentire il polso dei loro lettori. Se fanno giornali di pessima qualità è perché il pubblico vuole e compra quel prodotto. Una volta, forse, i giornali servivano, con un bel po’ di retorica, a creare l’opinione pubblica. Oggi sono una merce, al pari di qualsiasi altro prodotto. E allora si pubblica quel che la gente vuol leggere.
La contiguità con gli interessi politici ed economici è inevitabile per le testate e gli operatori dell'informazione?
No di certo. Ma la realtà, salvo poche, preziose eccezioni, è questa.