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Ogni anno, da sette anni, il Cardinale Tettamanzi incontra gli amministratori e i politici della sua Diocesi di Milano.

Venerdì 16 gennaio nell’Auditorium della Facoltà di Medicina dell’Ospedale di Monza l’arcivescovo ha presentato la sua lettera: “La sobrietà dimenticata” rivolgendosi agli amministratori della Brianza.

A differenza di quanto è avvenuto giorni fa, nell’incontro di Varese, nel quale Tettamanzi fu contestato vivacemente da un gruppo di leghisti (confermando la “scomodità” del personaggio), da noi nessuna contestazione, ma una certa indifferenza viste le scarse presenze. Per Monza erano presenti Sindaco, Vicesindaco e altri tre assessori mentre nel resto della platea era maggioritaria la presenza dell'area del centrosinistra brianteo.

E’ stato comunque singolare vedere un centinaio di amministratori, educati e disciplinati, in silente ascolto, comportamento inusuale per dei politici spesso travolti da una nevrotica “ansia da prestazione”, costellata di parole, riunioni e rumori.

Tettamanzi da vicino appare come uomo modesto (nell’accezione più positiva), bonario (nelle sembianze fisiche ricorda Papa Giovanni), semplice nel comunicare al punto dal rischiare di essere percepito dagli ascoltatori come un parroco di campagna. Insomma, nel paragone con il suo predecessore Cardinal Martini, persona dall’alto livello intellettuale e comunicativo, dovrebbe uscire annullato. Invece, nulla di tutto questo. Infatti la sua relazione, con tatto ma con coraggio, ha affrontato temi di estrema attualità riguardo alla crisi “della politica e della società” che stiamo vivendo, lo ha fatto in modo quieto ma forte, attento ma provocatorio. Il Cardinale ha svolto una comunicazione centrata su un richiamo molto forte alla politica, della necessità che questo mondo assuma in sé il valore della “sobrietà”.
Sobrietà dei politici ed amministratori, come antitodo al bisogno di esserci, comparire, dello spreco di parole, al bisogno di dichiararsi, in qualsiasi occasione e su qualsiasi argomento.
Sobrietà nell’esercizio del potere, in alternativa al cumulo delle cariche, del potere che si ritiene di avere una volta per sempre, all’occupazione di posti, al rischio di “fare troppo e male”.
Sobrietà nello stile di vita, attenti alla naturalezza ed essenzialità, persone quindi capaci di rendere credibile il rapporto con la gente come condizione per entrare in relazione di ascolto e di comprensione con i cittadini della singola comunità locale.

In un secondo passaggio dell’intervento, ha posto la riflessione sulla “questione morale in politica” che attraversa il nostro paese. Il Cardinale si domanda se questa questione, non nasca da un uso spregiudicato del potere e dalla mancanza di una reale moralità della politica innanzi tutto dei singoli. Non bastano “nuove regole” o leggi per affrontare il problema, ma c’è bisogno invece di formazione alla politica di persone intelligenti, preparate, oneste e sobrie; c’è bisogno di un grande e giusto ricambio delle classi dirigenti di chi fa politica, in particolare con una nuova generazione di amministratori.

Un terzo e importante passaggio della “lettera”, ha riguardato la relazione tra sobrietà come via privilegiata che conduce alla solidarietà. Solidarietà come valore non solo cristiano, ma profondamente umano: «l’ostentazione di grandezza e ricchezza crea una distanza, erige una barriera, finisce per dividere; non così la sobrietà che conduce alla condivisione e apre all’accoglienza; servono quindi alla politica “testimoni autentici” di solidarietà».
Solidarietà come compito fondamentale di amministratori nel mantenere saldo e accresciuto il legame sociale e comunitario del territorio che gli è affidato.

«Mi piacerebbe che tornassimo ad usare con libertà e abbondanza la parola solidarietà, senza però logorarla. In passato ne abbiamo forse abusato, oggi sembra scomparsa dal nostro vocabolario, è caduta in disuso, dà perfino fastidio…i poveri sono poveri. Non sono diversi a seconda del colore della pelle! E i bambini sono i bambini: non sono diversi a secondo dalle provenienze dei genitori e delle loro condizioni sociali ed economiche».

Un passaggio “alto” e delicato, il Cardinale lo ha affrontato ponendo grandi e attuali domande che riguardano l’attuale crisi e il modello di sviluppo non più sostenibile: «da molte parti e con grande enfasi si sollecita la necessità di sostenere il più possibile i consumi…”..ma in che misura? E ancora… fino a che punto rispondiamo a troppi bisogni inuitili, indotti da una pubblicità più che ingannevole? ...oppure gli economisti e gli amministratori dovrebbero aiutarci a individuare i settori per i quali è giusto crescere: la medicina, la cultura, la ricerca scientifica, l’ecosostenibilità, l’agroalimentare per dare cibo a tutti».

In questo passaggio pone la questione della crescita, non come dato quantitativo, ma qualitativo. Perché e come crescere e in quale giusta misura? «Forse nessuno ci sta seriamente pensando, perché ci lasciamo travolgere dal meccanismo irrefrenabile del mercato. Una economia seria non può non porsi le domande e cercare la risposta, così come una politica seria». In questa ottica c’è un richiamo legato anche al come gli amministratori locali potrebbero e dovrebbero porsi anch’essi la qualità e il senso dello sviluppo: «Come amministratore ho elaborato una giusta gerarchia di bisogni veri della mia comunità? oppure ho ceduto a qualche insistenza di troppo di chi aveva più influenza o più potere?..ho messo in cima alle mie scelte i più debole oppure ho agito solo spinto dal desiderio di ottenere un facile consenso?»

Tettamanzi ha poi concluso la sua “lettera” con una citazione per certi versi stupefacente, una “fotografia“ scattata sessanta anni fa ma attualissima: «Vi è poi la tentazione di una potente tentazione che viene dai beni temporali e dalle ricchezze economiche. La loro conquista la si ottiene nella concezione materialistica della vita, sia proletaria che capitalista... per il loro maneggio si disintegra il concetto di onestà: nel pagamento dei tributi, nel gioco di borsa, nella speculazione monopolista, nell’imbroglio commerciale, nelle bustarelle clandestine... nell’interesse per giustificare ogni scorrettezza possibile senza incorrere nel codice penale. Poi il loro godimento: il lusso, la vanità, il piacere, il divertimento, la modanità sono diventati idoli e cui l’uomo si deve sacrificare, la suggestione modana si fa collettiva, la febbre dei sensi diventa endemica, la vita gaudente un ideale». Parole del 1961 dell'allora cardinale Giovanni Battista Montini, vescovo di Milano poi diventato Papa Paolo VI.

In questa fase di grandi disorientamenti, frammentazioni, distanze e abbandoni al senso delle scelte politiche e sociali, credo che interventi culturali ed educativi o propriamente “pre-politici”, al di la da dove provengano (filosofi, preti, sociologi etc.), siano assolutamente necessari, per costringerci a misurarci con un quadro di analisi, domande, sistemi di valori “alti”, che ci permettano di “respirare” e continuare a dare senso e continuità ai nostri impegni.

Al termine della serata, mi è sorta una domanda spontanea a me stesso e alla sinistra. Per quale motivo quando la Chiesa interviene attraverso il settimanale Famiglia Cristiana, il Card.Tettamanzi, lo stesso Benedetto XVI (più volte citato nella comunicazione) in difesa degli immigrati, contro le guerre, per la giustizia sociale ci viene spontaneo dire “meno male che c’è la chiesa... sono gli unici a farlo…” mentre quando la stessa Chiesa affronta i problemi dell’aborto, dell’omosessualità, della coppia etc…” e allora noi ci diciamo in coro unanime "ah no, non gli compete! che la Chiesa si occupi di dottrina ecclesiale e non di altro. Basta con l’invadere un campo che non gli è proprio". O è l’una o è l’altro, sempre. O no?