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Intervista all'autore di "Sobrietà. Dallo spreco di pochi ai diritti per tutti"
«Viviamo in una società che crede che l’unico modo di risolvere i problemi dell’uomo siano i soldi»

Q

uarant’anni fa il reddito del 5% più ricco della popolazione mondiale era 30 volte superiore al reddito del 5% più povero, dieci anni fa lo stesso rapporto era di 60 a 1, ad oggi la ratio è di 114 a 1, cioè il 5% della popolazione più ricco ha un reddito di centoquattordici volte superiore rispetto a quello del 5% più povero. Le 500 persone più ricche della terra posseggono da sole un reddito che è pari alla somma dei redditi del 50% più povero del pianeta. Mentre noi stiamo scegliendo se iscrivere nostro figlio alla scuola pubblica o a quella privata, ad una scuola gestita da religiosi o a un istituto “laico”, 100 milioni di bambini nel mondo non hanno alcun accesso a nessun tipo di istruzione e sono paradossalmente di più, 400 milioni, i bambini che non hanno accesso all’acqua potabile. Sono quasi un miliardo le persone malnutrite.

Ecco - sembra spiegarci Francesco Gesualdi - parlare di decrescita significa partire a ragionare da questa situazione. La crisi economica che stiamo vivendo è una crisi degli eccessi: iniziamo a correggere questi eccessi per trovare una nuova strada che sia equa e percorribile.

L’attuale modello è allo schianto, ma le masse rapite da pubblicità e consumi si ostinano a non vedere. Come fare? Non bisogna andar molto lontani: basta guardare dentro di noi, in noi stanno le risposte, nelle nostre abitudini, nel nostro modo di guardare al mondo.

Questa intervista è l’occasione per attraversare, guidati da un esperto, teorico e pratico, come Gesualdi, una teoria che da un decennio a questa parte sta facendo parlare di sé e via via guadagna consensi.

Gesualdi, innanzitutto, cosa significa “decrescita”?
Decrescita significa “porre dei limiti al sistema”, penso in particolar modo al consumo di beni materiali, a risorse sensibili come il petrolio e l’acqua. Ecco, io la definirei così: quel modo di organizzare l’economia che riduce al necessario i consumi e l’utilizzo di risorse.

Cosa l’ha avvicinata a questo approccio?
La costatazione del dato di fatto, l’osservazione di ciò che mi sta intorno: processi naturali che stanno degenerando, una massa umana in condizioni di indigenza, disequilibri, sperequazioni. Guardandosi attorno non è difficile capire che questo modello non è più accettabile. Molte popolazioni vogliono raggiungere livelli di vita dignitosi e non lo possono fare se la ricchezza non viene ridistribuita.

Come lo vive in concreto?
Tentando di chiedermi, ogniqualvolta devo fare un acquisto: “ma ne ho realmente bisogno?” Insomma, cercando di discernere tra ciò che è bisogno primario e ciò che è condizionamento esterno dovuto in primo luogo alla pubblicità, che è in ogni dove. Cerco di allungare il più possibile la vita degli oggetti, comprando usato, riparando, cerco di comprare locale e per quanto possibile di usare le mie gambe per muovermi. Bastano gesti semplici.

A che punto è oggi in Italia il movimento della decrescita?
Penso si sia fatto un gran lavoro dal punto di vista delle scelte e degli stili di vita personali. Credo che sia crescente il numero di individui che acquistano con attenzione, che cercano di abbracciare stili di vita sostenibili, che si applicano nelle buone pratiche, che riscoprono il valore della sobrietà. C’è un attenzione crescente su tematiche come il riciclaggio e la diminuzione dei rifiuti prodotti, sulla scelta delle energie rinnovabili per riscaldare la propria casa, e via di seguito.
Manca quasi totalmente un’azione di più ampio raggio, che tenti di cambiare le impostazioni del sistema. Su questo andrà concentrato il lavoro futuro.

Nella teoria della decrescita un elemento di debolezza pare essere la fase di “transizione” dall’attuale modello a quello proposto, come verrà affrontata?
“Transizione”: potremo pronunciare questa parola solo quando sapremo dove siamo diretti. Oggi non mi pare si sappia dove vogliamo andare, bisognerà chiarirsi le idee su questo prima di tutto. Dobbiamo mirare a un sistema economico rallentato che sappia garantire a tutti un posto di lavoro, prevedendo una riduzione dell’orario. Solo coniugando sobrietà e piena occupazione potremo andare verso una serena decrescita. Tre aggettivi andranno tenuti presenti in questo percorso: locale, pubblico e gratuito.

La transizione si gestisce anche rispetto alla crisi, imparando a produrre ciò che ci servirà in futuro: potenziando le energie rinnovabili, razionalizzando i nostri reticoli idrici (che oggi perdono in media il 42% dell’acqua immessa), aumentando le attività connesse alla cura del territorio. Insomma, bisogna produrre posti di lavoro in un’ottica di sostenibilità e bandire quel che ormai è passato: l’industria dell’automobile è passato, imballaggi e confezioni inutili sono passato.

Come convinco un mio lettore al fatto che tale rinuncia non porti all’austerità, ma a una nuova convivialità, per dirla con Illich.
Facendogli comprendere che quello che oggi è chiamato ben-essere è in verità un puro ben-avere. L’uomo è anche e prima di tutto anima, affetti, spirito: è necessaria armonia, questa mi sembra la parola chiave: armonia che ci permetta di svilupparci in ogni ambito delle nostre vite. Oggi, invece, si vogliono più soldi, si cercano guadagni sempre più alti, e per questo si tende a lavorare di più e peggio, togliendo spazio alle relazioni, agli affetti, alla ricerca spirituale. I sintomi sono nevrosi, insonnie, depressioni, piccole malattie, sempre più diffuse. Se osservassimo questi semplici fatti comprenderemmo che il ben-essere è altro: è avere tempo per noi, aria respirabile, buona acqua e buona salute. Ovvio, è necessario raggiungere un equilibrio e non trascurare nessuna di queste dimensioni. Armonia, appunto.

Pensa che la crisi economica che stiamo attraversando possa in qualche modo contribuire alla diffusione e applicazione del modello della decrescita?
Penso di sì, messi nelle condizioni di rinunciare a qualche cosa potremo forse e più facilmente comprendere che quelle che all’inizio chiamavamo “rinunce” si rivelano nel tempo delle vere e proprie “liberazioni”, che possiamo fare a meno di molte cose e che questo fare a meno lascia spazio ad altro. Il diavolo non è brutto come lo si dipinge! Certo accanto alle scelte individuali, volontarie o condizionate dalla contingenza, servirà un rinforzo di carattere culturale, che sappia accompagnare le persone verso questa nuova presa di coscienza.

È possibile che le persone, trovandosi in condizioni di maggiore povertà reale, si sentano invece spinte nel senso opposto?
Può essere: viviamo in una società dove si crede che l’unico modo di risolvere i problemi dell’uomo siano i soldi e, di seguito, il lavoro. In una situazione di crisi, in cui c’è meno lavoro, si potrebbe veder crescere la competizione tra gli individui e diminuire il prezzo della prestazione lavorativa, con conseguenti ricadute sulla qualità della vita dei singoli. Non credo percorreremo questa via.

Il mondo della finanza, al centro dell’ultima crisi, è il mondo della speculazione e del profitto fine a se stesso. Come recuperare e contrapporre a questa brama incontrollata una nuova etica economica? Le teorie sulla decrescita che cosa dicono in merito? Innanzitutto, vorrei sottolineare che questa crisi trova le sue origini nell’eccesso di produzioni: l’indebitamento e le perversioni della finanza sono solo effetti derivati di questa stortura del sistema.
In un’ottica di decrescita l’economia deve essere semplice, quindi, commisurata ai bisogni effettivi degli individui. La finanza riveste un ruolo decisamente più contenuto di quello attuale, ma resta comunque necessaria per permettere quei finanziamenti utili a realizzare gli opportuni investimenti. Servono una finanza al servizio dell’economia reale e un’economia al servizio dell’uomo.

Vita più lenta, nuova convivialità, autorealizzazione: questi valori o aspirazioni mal si conciliano con gli attuali modi di vita, che chiedono più ore di lavoro, più fretta, meno spazi e tutele per se stessi, il tutto per poter portare a casa il proprio salario. La decrescita che risposte da alla questione dei molti lavoratori che si trovano in queste condizioni, da dove bisogna incominciare?
Viviamo in un mondo di eccessi, incominciamo da lì, eliminandoli. Incominciamo pensando attentamente al nostro modo di fare la spesa, condividendo e intrattenendo più relazioni di vicinato, scambiamoci più servizi, recuperiamo la dimensione della gratuità! Per chi ne ha la possibilità, si può incominciare facendo un po’ di agricoltura in proprio o organizzandosi collettivamente. Ci si può iscrivere a un GAS (gruppo di acquisto solidale) e così via.

Decrescita significa anche il passaggio da forme di democrazia rappresentativa a forme di democrazia partecipativa?
Una cosa è certa, occorre un recupero della dimensione politica: non possiamo affidare, come stiamo facendo, ogni ambito della vita al mercato, il mercato non è sempre la chiave migliore per risolvere situazioni complesse. In un modello di vera decrescita deve acquisire importanza una politica che parta dal basso, valorizzi i momenti di confronto e renda i cittadini autori delle scelte che riguardano il bene della loro comunità.

200902-francesco-gesualdi-libro.jpgE la politica istituzionale che ruolo può ricoprire nella diffusione del nuovo approccio?
Il suo intervento sarà sicuramente necessario quando si tratterà di riformulare il quadro di riferimento in cui agisce oggi il sistema, ma sarà un intervento subordinato a un cambiamento culturale già in atto. Prima si dovrà formare un movimento dal basso che lentamente sia in grado di diffondere un nuovo approccio culturale e un nuovo stile di vita nella popolazione, quando i tempi saranno maturi, allora, toccherà alla politica istituzionale recepire i cambiamenti e confermarli mutando il quadro di riferimento.

Uno dei temi più rilevanti per garantire una nuova sostenibilità è quello dei trasporti. Quali sono i primi e possibili passi da compiersi se è vero, ad esempio, che in una città come Monza recentemente sono state raccolte firme per eliminare una pista ciclabile?
La mobilità è un diritto che deve però contemplare dei limiti: è assurdo che ogni anno noi si debba andare in vacanza ad Haiti. Quindi, in primo luogo, vanno razionalizzati gli spostamenti e per quanto possibile ridotte le distanze. In secondo luogo, è importante scegliere il mezzo più adeguato allo spostamento: se devo percorrere 500 metri è inutile ch’io prenda l’auto, posso andare a piedi. Se devo percorrere due chilometri, penso alla bicicletta. Per distanze superiori a 5-10 Km devo cercare di privilegiare i mezzi pubblici o di utilizzare al meglio l’auto, facendo car-pooling o car sharing.

Mi tolga una curiosità, lei riesce a rispettare queste buone norme?
Abbastanza, tenga conto che abito un po’ fuori mano e, quindi, devo spesso ricorrere all’auto, ma le assicuro che non appena posso utilizzo la bicicletta o vado a piedi, anche perché, le dirò, quando ci si abitua a questo modo di vivere tutto viene naturale, non ci sono forzature. Noi abitualmente coltiviamo l’orto, il frutteto, produciamo olio, facciamo la legna, una volta alla settimana si fa il pane. Presto sono le regole non scritte del consumismo ad andare strette. Quando devo tagliare il prato non utilizzo il tagliaerba, ma la falce: so che mi fa bene, sto in movimento, evito di creare rumore e inquinamento. Tutto questo non costa fatica, anzi, diventa nuovo piacere di vivere. Una delle assurdità di questa società è che in molti prendono l’auto per fare 500 metri e poi la sera vanno in palestra “per smaltire”.

Dalle sue parole deduco che la decrescita è un modello inconciliabile con la dimensione urbana.
Il modello urbano è un obbrobrio: è stato funzionale entro certi limiti, ma poi, con l’industrializzazione e la crescente concentrazione è diventato un modello perverso, energivoro, inquinante, disordinato, creatore di una scadente qualità della vita. La sostenibilità richiede, invece, una adeguata dispersione, un rapporto più equilibrato tra individui e territorio, un recupero della relazione con la natura, la terra e gli animali. Il modello urbano è un modello innaturale: in futuro, dovremo fare nuovi passi verso le campagne.

Telelavoro, case autosufficienti dal punto di vista energetico, mezzi di trasporto meno inquinanti: come si rapporta la decrescita alla tecnologia? E lei personalmente che rapporto ha con la tecnologia?
Noi abbiamo certamente bisogno di tecnologia. Il punto su cui dibattere è un altro: tecnologia per chi? Tecnologia per cosa? Dobbiamo abbandonare le tecnologie inutili volute e propagate da un modello sociale basato sui consumi e sui bisogni indotti. Abbiamo bisogno di tecnologie al servizio dell’uomo, per l’uomo! Dobbiamo limitare l’uso della tecnologia ai campi in cui essa ci rende un vero servizio. Non demonizzo, insomma, l’aiuto della tecnologia, ma deve essere un uso al servizio della persona e nel rispetto dell’ambiente.

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Chi è
Francesco Gesualdi fu allievo di Don Milani, e da costui pare aver mutuato una totale propensione per l’impegno sociale. Infermiere, coordinatore del Centro Nuovo Modello di Sviluppo di Vecchiano (PI), si è occupato in particolar modo di sottolineare e documentare le disuguaglianze e le sperequazioni esistenti tra Nord e Sud del mondo. Oggi, teorico (e pratico) della decrescita, si occupa anche di molti altri argomenti come lo sfruttamento minorile, i mutamenti del mondo del lavoro, la distruzione degli ecosistemi, la guerra dell’acqua.

Breve bibliografia per esplorare motivi e propositi della decrescita:
-
Zygmunt Bauman, Homo consumens, Erickson Edizioni, 2007.
- Epicuro, La Felicità, Newton & Compton, 2002.
- Erich Fromm, Avere o Essere, Mondadori, 2001.
- Ivan Illich, La Convivialità, Red edizioni, 1993.
- Ivan Illich, Elogio della bicicletta, Bollati Boringhieri, 1996.
- Nicholas Georgescu-Roegen, Energia e miti economici, Bollati Boringhieri, 1998.
- Serge Latouche, Come sopravvivere allo sviluppo, Bollati Boringhieri, 2005.
- Maurizio Pallante, La decrescita felice, Editori Riuniti, 2005.

Gli autori di Vorrei
Alfio Sironi

Mi occupo di tematiche geografiche dentro e fuori la scuola.

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