Celebrata da Tremonti come la scialuppa di salvataggio per i più indigenti,
la Social Card si è rivelata l’ennesima bufala all’italiana.
Uno slogan propagandistico che ha lasciato con un pugno di mosche quanti, per lo più pensionati, ammaliati dalla promessa di poter disporre di 40 euro al mese per spesa e bollette, hanno intrapreso una vera e propria corsa ad ostacoli tra aspettative tradite, situazioni imbarazzanti ed umilianti, slalom burocratici. Una corsa in molti casi amaramente conclusa davanti alla cassa di un supermercato, con la mortificante scoperta di avere tra le mani non un bancomat finanziato dallo Stato, bensì un inutile pezzo di plastica.
Foto per gentile concessione di Marta Maria Fontana
A noi, la triste storia, ce l’ha raccontata Rosina Carbone, un’anziana signora incontrata, casualmente, in uno dei patronati presenti in città. Rosina ha 69 anni e vive con la figlia, invalida civile. Nel dicembre 2008, illusa dal tam tam mediatico sull’arrivo della salvifica tesserina azzurra, ha fatto richiesta per poter ottenere anche lei la famosa Social Card. Dopo essersi recata ai patronati ed al CAF; aver calcolato il proprio indice ISEE (indicatore sulla situazione economica) ed accertato di essere in possesso dei requisiti personali e reddituali richiesti; compilato i moduli; fatto la sua bella fila all’Ufficio Postale autorizzato ed atteso la comunicazione del relativo Pin; lo scorso venerdì Rosina si è finalmente recata in uno dei negozi convenzionati con l’uso del bancomat statale per fare – finalmente - la propria spesa. Peccato che ad attenderla alla cassa, l’anziana signora non ha trovato la generosa mano statale, pronta a pagarle con un sorriso il conto, ma una Social Card assolutamente vuota.
Comprensibilmente sbigottita, Rosina si è recata all’Ufficio Postale per chiedere spiegazioni sull’imbarazzante figuraccia; le è stato risposto che avrebbe potuto effettuare i propri acquisti solo dopo aver ricevuto una, non meglio precisata, “comunicazione della Finanza”. Umiliata e beffata.
Alla resa dei conti, la Social Card si è rivelata un grosso flop: al punto che nessuno pare neppure avere un’idea precisa del numero dei bancomat magnetici rilasciati a Monza e Brianza. Non i patronati che, immediatamente dopo la notizia della sua erogazione, hanno visto i propri uffici presi d’assalto da numerose persone, quasi esclusivamente pensionati, che per il 90% sono risultate prive degli strettissimi requisiti richiesti: età superiore ai 65 anni o famiglie con bambini inferiori ai 3 anni a carico; indice ISEE minore di 6.000,00 euro, trattamenti pensionistici inferiori ai 6.000 euro per i sessantacinquenni ed agli 8.000 euro per gli ultraottantenni.
Lo ignorano i Centri di Assistenza Fiscale abilitati al rilascio del certificato ISEE. Tantomeno possiedono dati statistici i Sevizi Sociali del Comune di Monza, che si sono limitati a pubblicare sul proprio sito la relativa modulistica, o gli Uffici Postali, autorizzati al rilascio materiale della tessera.
Insomma mentre regna sovrana la confusione, l’unico elemento su cui pare concordino gli operatori è costituito dal fatto che circa un terzo delle tessere consegnate sono risultate prive di accredito.
Non sarebbe stato più semplice, meno complicato e, soprattutto, meno oneroso in termini di tempo e risorse per anziani, patronati, CAF, Poste, aumentare di 40 euro le pensioni più basse? Così, magari, i beneficiari avrebbero pure potuto decidere liberamente dove andare a fare la spesa, senza dover necessariamente rivolgersi alle strutture convenzionate, evitando disagi specie a chi ha più difficoltà a muoversi.
O forse l’obiettivo del Governo era proprio quello di rendere il più difficile, cervellotico e artificioso possibile l'erogazione della Social Card, in modo da scoraggiare anche chi, vincendo l’iniziale umiliazione, avesse deciso di chiedere la “tessera dei poveri”.
Niente di nuovo sotto il sole: come al solito, la montagna ha partorito il topolino.