Dall'esperimento di Monza Soccorso ai militari precari, anche nel capoluogo brianteo impazza la ronda-mania
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abemus rondam. Ed ecco che ce ne andremo a passeggio con la protezione non più dei tutori dell’ordine a cui siamo sempre stati abituati, ma con il nuovo modello fai da te della sicurezza: i rondaioli. Infatti, con il decreto datato 20 febbraio 2009 lo Stato ci comunica che non si fa più carico di fare da garante esclusivo alla nostra sicurezza, ma ci significa che ci dobbiamo arrangiare un po’ per conto nostro. Il presidente Napolitano si è inorridito, e il Quirinale ha emanato una nota in cui sottolinea come il contenuto di tale legge sia stata una bella idea del Governo, che se ne deve prendere la totale responsabilità. Però lo firma.
Così, in un tripudio di applausi, nascono le ronde, che sono un’iniziativa assai sinistra. Il presidente della provincia Penati deve averlo pensato anche lui, che sono una cosa sinistra, visto che ha offerto un quarto di milione di euro per finanziarle, queste ronde. Accidenti, noi la credevamo sinistra, non di sinistra. E le ronde partono.
Da noi continuano, perché, anche se qui non ce n’eravamo accorti, già c’erano. A Monza infatti abbiamo avuto per sei mesi, fino alla fine del 2008, l’Associazione Monza Soccorso che faceva la funzione di ronda in giro per la città. Questo è il passato.
E adesso? Innanzitutto non si chiameranno più con quel vecchio orrendo nome di ronde padane, ma “sicurezza partecipata” o altresì, come vuole l’assessore monzese Massimiliano Romeo, “volontari della sicurezza.”. Espressione molto più rassicurante, non c’è che dire, che allontana qualsivoglia immagine di fanatismo. Le ronde saranno costituite in prevalenza da militari, poliziotti e carabinieri in pensione. La Prefettura terrà gli elenchi dei volontari disposti a fare questo lavoro.
Si tratterà di pacioccosi signori di una certa età che pattuglieranno in simpatia le strade, armati del solo telefonino pronti a segnalare carabinieri e polizia eventuali crimini. Apprezziamo la bella iniziativa sociale di mantenere gli anziani in attività, ma che senso ha chiedere di compiere un dovere oltre i limiti di età a chi ha già fatto tanto, quando abbiamo già pronta e addestrata la generazione successiva? Si insiste – giustamente – sul fatto che i rondaioli non potranno assolutamente girare armati. Ma per quanto tempo riusciremo a tenere disarmata gente che è andata in giro per decenni con la pistola nella fondina? Siamo certi che queste persone sanno quello che fanno e starano ben attente. Ma come faranno a far intervenire gli agenti in servizio, che stanno lì in caserma con le macchine a secco? Le ronde godranno di finanziamenti pubblici, cioè i volontari, se e solo se sono ex agenti, riceveranno un contributo per il loro impegno (e qui si vede il tentativo di mettere una pezza a tutta la zoppicante faccenda, perché è sempre meglio mandare in giro un ex carabiniere che uno che non ha esperienza alcuna di pattugliamenti e appostamenti). E allora perché piuttosto non dare i soldi alle forze dell’ordine in servizio per comprarsi la benzina? A tutte queste domande come sempre si risponderà in corso d’opera, con virate e aggiustamenti più o meno agghiaccianti.
Dovendo scegliere, direi no alle ronde e organizzerei una colletta per far ripartire le auto dei tutori dell’ordine. Chi scrive non ama le divise, ma personalmente mi sentirei molto più sicura se ci fossero meno ronde di vecchietti con il cellulare e più giovani carabinieri di pattuglia.
Gli agenti in divisa, oltre a essere i benvenuti quando li si incontra nelle vie buie e nelle brutte zone, hanno carattere di ufficialità e legalità e risultano decisamente più rassicuranti.
Per esempio mi sentirei meglio se vedessi in giro per strada il caro poliziotto di quartiere, come capita a San Fruttuoso dallo scorso dicembre 2008. Tale figura dal 2005 è prevista in tutte le città con più di trentamila abitanti, ma costa e gli abitanti di san Fruttuoso, unitamente ai negozianti, afflitti da un rapinatore seriale di farmacie ora assicurato alla giustizia, hanno dovuto fare una petizione al Prefetto per ottenerlo. Ci si sente più sicuri a girare a San Fruttuoso la sera? Insomma. Dipende dall’ora e dalla fortuna di incontrare il tutore dell’ordine, che, per quanto efficiente e di passo spedito, non ha il dono dell’ubiquità. Gira la voce che si aggirino per le nostre strade ben otto tra poliziotti e carabinieri di quartiere. Solo che non stanno sempre nello stesso quartiere, ma si spostano di volta in volta per i vari punti della città. Si comportano insomma proprio come se fossero poliziotti e carabinieri qualunque, che però si vedono costretti ad andare in giro a piedi, come se le loro autovetture avessero problemi di rifornimento. Quindi basta togliere la macchina agli agenti, farli scarpinare e subito essi ottengono la qualifica “di quartiere” e le strade diventano magicamente più sicure. E che ci vuole?
Il problema è un po’ questo: che, per quanta buona volontà ci si possa mettere, il delinquente ha sempre a disposizione quei dieci minuti di tempo che servono perché la ronda e il poliziotto svoltino l’angolo.
Discorso a parte meritano i militari. A Monza nello specifico lo scorso dicembre ne sono arrivati sei. Sì, avete capito bene, sei. Tutti quanti insieme in una volta sola, come in un novello sbarco in Normandia. L’assessore regionale Zanello ha detto che sarebbe stato meglio se, al posto di sei, ne fossero arrivati cinquanta. Ma davvero? Con tutto il dovuto rispetto per la loro indiscussa professionalità, come fanno a pattugliare in sei una città di centotrentamila abitanti? Comunque se ne sono già andati, ma a quanto pare ritorneranno. In sei o in cinquanta? Maceriamo nel dubbio.
È vero che ci sono gli altri. Ma gli altri chi?
Facciamo un riassunto. Fatto tutto ciò che si doveva fare, presi tutti i provvedimenti possibili e immaginabili per rendere inespugnabili le nostre strade da criminali e malavitosi, a presidiare il nostro territorio da domani avremo in totale: numero sei militari (o cinquanta, sempre se tornano), numero uno poliziotto di quartiere (o numero otto poliziotti di quartiere, a seconda di come si considera la questione), numero x pattuglie di pensionati con telefonino, a cui vanno aggiunti carabinieri e poliziotti pieni di volontà e di energia, ma disgraziatamente privi di carburante.
Direi che saremmo a cavallo, se i carabinieri, a parte i due o tre che si incrociano ogni tanto al Parco di Monza, avessero a disposizione un equino per andare ad arrestare i cattivi, i quali invece la macchina ce l’hanno, e la benzina pure.
Comunque non c’è assolutamente da preoccuparsi. Da oggi, per legge, dobbiamo dormire sonni tranquilli.
Le mani dei partiti sulle ronde
Boom al Centro nord, ed è allarme. La bandiera della sicurezza fa gola
E ora bisogna vedere cosa accadrà con la patente di legittimità del governo. In prima fila Lega, An e Destra
di VLADIMIRO POLCHI
(da Repubblica.it)
ROMA - I City Angels battono le strade milanesi da 14 anni. Gli "assistenti civici" di Livorno sono invece pronti a debuttare in questi giorni. Il decreto anti-stupri del governo non fa che accelerare un processo in corso: decine sono le ronde già attive nei comuni del centro-nord. Il rischio? Le mani dei partiti sulla sicurezza. Una parte delle ronde ha infatti un colore politico: in testa, sventolano le bandiere della Lega Nord, seguite da quelle di An, Destra di Storace, Forza Nuova e Fiamma tricolore. "Il rischio di politicizzazione della sicurezza - avverte l'Associazione nazionale dei funzionari di polizia - è reale e ci riporta alla memoria tempi che credevamo superati".
Quello delle ronde non è un fenomeno omogeneo. Si va dai pensionati con block notes di Firenze, agli studenti-vigilanti di Bologna; dagli storici e apartitici City Angels lombardi, alle ronde targate Carroccio. Se infatti è vero che una parte del fenomeno è trasversale a tutte le amministrazioni comunali, di centrosinistra e centrodestra, un'altra parte mantiene precisi connotati politici.
Molte ronde sfilano oggi sotto le insegne leghiste. Le prime? Le "Ronde padane", nate a Voghera nel 1997: "Stavamo raccogliendo le firme per chiedere una maggiore presenza di polizia nel centro storico - racconta uno dei fondatori, Gigi Fronti - quando ci venne in mente che noi stessi potevamo fare la nostra parte formando squadre che, disarmate, girassero per la città". Quanti sono i volontari padani? Numeri ufficiali non ce ne sono, ma Mario Borghezio, già dieci anni fa, parlava di 8mila persone: "Da Cuneo e Trieste sono una quarantina i comuni coinvolti, anche grandi come Modena, Torino e Monza".
La bandiera della sicurezza porta voti e fa gola a molti. Gli altri partiti non stanno a guardare: si muove Alleanza nazionale, con Azione Giovani a Torino, Padova e Venezia; muovono i primi passi le ronde della Destra di Francesco Storace alla periferia di Roma; la Fiamma Tricolore annuncia di aver cento militanti pronti a Trieste; Forza Nuova è già attiva a Foggia e Pescara.
Bisogna vedere ora cosa cambierà con la patente di legittimità promessa dal governo, sotto la responsabilità del prefetto. "Non solo le ronde sono una maldestra surroga alla mancanza di turn over tra le forze dell'ordine - sostiene Enzo Letizia, segretario dell'Associazione nazionale funzionari di polizia - ma costituiscono un rischio reale di politicizzazione della sicurezza. Le ronde - prosegue - sono permeabili all'infiltrazione di organizzazioni criminali, come mafia e camorra e possono nascondere tra le loro fila delle squadracce di esaltati pericolosi". Meno allarmato il giudizio del sociologo Marzio Barbagli: "Non serviranno a granché, ma non credo che siamo in presenza di fenomeni pericolosi, se disarmati e privi di colore politico. Una cosa però è certa: le ronde rappresentano una forma premoderna di sicurezza, di prima che nascesse la polizia. Se le si ritirano fuori, accanto all'uso dei militari in città, si mette in discussione la funzione stessa delle forze dell'ordine".