"Intere parti della Lombardia sono ostaggio degli appetiti delle 'ndrine,
ma la novità è l'asse tra Milano e Brescia"
La nuova forma dello Stato è materia di polemiche politiche ma, in compenso, il federalismo criminale è già realtà. E la capitale scelta è Milano. Il giorno in cui la Direzione distrettuale antimafia del capoluogo arresta 20 presunti appartenenti a due cosche che in Calabria si fanno la guerra ma in Lombardia fanno la pace in nome di affari milionari, la relazione della Dna – chiusa nel cassetto del Procuratore nazionale antimafia Piero Grasso – rivela che la 'ndrangheta si sta ormai impossessando della regione.
Intere parti della Lombardia – come Buccinasco, dove decine di imprese edili sono in odore di mafia – sono ostaggio degli appetiti delle 'ndrine ma quel che sorprende nel documento consegnato a Grasso dal sostituto procuratore antimafia Vincenzo Macrì è scoprire l'asse sempre più stretto tra Milano e Brescia, dove le cosche procacciano affari anche grazie all'ingresso della mafia russa. La relazione della Dna mette a nudo una realtà che – in vista di Expo 2015 – va affrontata con realismo e fermezza: il baricentro delle decisioni strategiche non è più San Luca ma Milano dove la 'ndrangheta, ormai, è di terza generazione.
Se la politica cerca di riempire di contenuti il federalismo, la 'ndrangheta lo ha già fatto. Ha deciso che Milano è la nuova capitale dell'Italia criminale federata e in vista di Expo 2015 ha anche scelto di rinforzare l'asse con una città ponte verso i ricchi traffici, italiani ed europei, del Nord-Est: Brescia. Come sempre, le cosche sono avanti, più avanti di chi dovrebbe sconfiggerle. E anche gli arresti e i sequestri milionari di ieri a Milano dimostrano che la Lombardia è ormai terreno di conquista per le cosche (si veda l'articolo a fianco).
A metterlo nero su bianco è Vincenzo Macrì, sostituto procuratore nazionale antimafia. «Non ci sono più tanti satelliti che ruotano intorno a un unico sole, la 'ndrangheta di San Luca - scrive nella sua relazione consegnata poco più di un mese fa al suo capo, Piero Grasso -, ma una struttura federata, disposta a dialogare con la vecchia casa-madre, ma non più a dipendere da essa, sia quanto alla nomina dei responsabili della periferia dell'Impero, sia quanto all'adozione delle nuove strategie e alla condivisione dei profitti».
Eccolo il motivo per il quale quest'anno - per la prima volta - la Dna, Direzione nazionale antimafia, ha deciso di secretare l'intera relazione. Quasi 900 pagine chiuse a chiave in pochi cassetti e accompagnate da una lettera del procuratore capo, Grasso, con divieto di divulgazione agli uffici.
Grasso, quest'anno, non poteva permettere che la relazione - a partire dalle dense e sorprendenti considerazioni sulla 'ndrangheta - uscisse fuori dai confini di chi - ogni giorno - è in prima linea a combattere la criminalità. Grasso non poteva tollerare la diffusione delle pagine dedicate alla 'ndrangheta che con il suo fatturato annuo di 44 miliardi (stime Eurispes) è ormai l'organizzazione criminale più forte al mondo. Forte dell'asse con i narcos colombiani. Una 'ndrangheta talmente pervasiva che non c'è pagina - nei contributi consegnati dalle 26 Direzioni distrettuali alla Direzione nazionale - che non trasudi di investimenti, prestanomi, traffici e corruzioni a opera di esponenti delle cosche calabresi o ad essi vicini. Una 'ndrangheta che compra tutto e, quando non può, delegittima, calunnia e isola. E uccide.
Il Sole 24 Ore ha la relazione ma, per non ostacolare le indagini, si astiene dal pubblicarne stralci e si limita a fornire il quadro d'insieme divulgando alcuni passi utili a comprendere il fenomeno, privi di qualunque dato coperto dal segreto. A pagina 117 si legge testualmente che «si è alla vigilia di una vera e propria rivoluzione copernicana... La 'ndrangheta avrà in tal modo completato il suo lungo percorso di occupazione della più ricca e produttiva regione del Paese: la Lombardia».
E non sarà un'occupazione precaria, ma definitiva, con strutture permanenti di direzione, con il territorio rigidamente suddiviso. «In pratica - secondo la relazione, anch'essa secretata ma acquisita agli atti, della Direzione distrettuale di Milano -, corpi separati ma provenienti dal medesimo ceppo e viventi nell'ambito di quella che può definirsi una coesistenza autonoma ma interattiva».
Nel giro di pochi anni - se le indagini dovessero confermare il quadro della Dna, ma appare scontato - i rapporti di forza si ribalterebbero: i centri decisionali si sposteranno sempre di più dalla Calabria alla Lombardia. Non è un caso che i boss Paolo Sergi e Antonio Piromalli siano stati recentemente arrestati a Milano, da dove - secondo gli investigatori e gli inquirenti - dirigevano i traffici internazionali di droga e curavano i collegamenti con il mondo politico e delle istituzioni.
Ma se la situazione di Milano e dell'hinterland - come ad esempio Buccinasco, che nella relazione di Macrì viene descritto come un territorio sottoposto passivamente alla conquista delle cosche fin dagli anni 70 - quel che sorprende è scoprire che Brescia e la sua provincia siano entrate ormai a pieno titolo nelle maglie della 'ndrangheta. Le cosche «condizionavano e condizionano il tessuto sociale e le iniziative d'intrapresa finanziaria», scrive Macrì. Un assalto in piena regola, agevolato dalla complicità delle mafie straniere, in primo luogo di quella russa. «In particolare - si legge nel contributo messo a disposizione della Direzione distrettuale di Brescia - i calabresi appaiono svolgere il ruolo di procacciatori d'affari per i soggetti stranieri e in tale contesto si è rivelato persino l'interessamento per l'acquisto di una raffineria».
L'allarme della Direzione nazionale antimafia non prescinde da Expo 2015, sulla quale Stato ed enti locali non trovano accordi: la 'ndrangheta si è già piazzata con omicidi (tre in pochi mesi) e spartizioni già decise o in via di definizione. Accordi che lasceranno briciole (sostanziose) anche a Cosa Nostra e Camorra, ormai costrette a venire a patti con chi è più forte di loro. «Gli interessi in gioco con Expo 2015 - si legge nella relazione - sono maggiori persino di quelli ipotizzabili dalla realizzazione del Ponte sullo Stretto di Messina».
Di fronte a questa prospettiva, lo Stato prova ad attrezzarsi al meglio e il Comune di Milano tenta di conciliare le esigenze di chi vorrebbe istituire una Commissione municipale sul fenomeno mafioso con quelle di chi - forte anche del parere negativo del prefetto del capoluogo Gian Valerio Lombardi - ne farebbe volentieri a meno.
Commissione sì o commissione no, ciò che conta è che la politica prenda consapevolezza del fatto che Milano e la Lombardia non sono più solo le capitali morali, produttive e finanziarie del Paese, ma sono anche i capisaldi intorno ai quali la narcofinanza calabrese ha deciso di far girare tutti i traffici e le vie del riciclaggio del denaro sporco. Gli arresti di ieri - per chi avesse ancora dubbi - sono lì a ricordarlo.