Narrazione, flussi, nuove forme di coagulazione di senso e consenso. Accenni.
Siamo davanti a una crisi, e ok, fino a lì, c'eravamo già arrivati.
Proviamo ora a leggere questa parola, crisi, come processo di mutamento delle precedenti categorie, come cambiamento del modo di produrre significati e di distribuirli nello spazio, come diffusione di differenti modalità di relazione.
Pensiamo alla parola "partito", ad esempio, cosa evoca, qui, oggi? (La Rivista che Vorrei ci sta provando, a lanciare questo gioco.)
Non credo che questo affidarsi alle sensazioni ci sappia dire tutto, ci dice però una parte non secondaria: ci dice qualcosa sull'assenza di interesse, di dialogo e, ovviamente, di rappresentanza.
La politica, anche, e forse soprattutto, quella locale (che poteva stare più vicina alle persone), si è fatta circolo di gestione del potere, autoreferenziale, chiuso, non dinamico, affossato sulle vecchie strutture, ormai vuote (a cui non crede più nemmeno il nostalgico).
Ecco, senza voler cadere nello scontato, è d'obbligo percorrere questo passaggio: pare si debba cercare qualcosa che è nuovo, un nuovo modo di raccontare le idee e la politica, nuove modalità di connessione tra governati e governatori; serve cambiare le categorie intuendo dove oggi passa e si crea il senso, dove circola l'interesse e la voglia di partecipare.
Ne passa e se ne crea più di prima, ve lo assicuro. Come vi assicuro che il processo di ristrutturazione è già in atto.
Si tratta di captarli, i flussi, di uscire dal guscio delle vecchie abitudini di comodo. Si tratta di saperne parlare, di trovare una nuova narrazione, che è creazione di flusso: ricreare flussi di narrazione con tempi e stilemi di questo momento.
Detto così, lo so, sembra molto astratto, questo discorso; ma, fate uno sforzo, guardateci dentro: non lo è. Non lo è affatto.
Provo a raccontarvelo con un esempio.
In questi mesi ho avuto modo di frequentare diverse associazioni di questo paese, Casatenovo: sono tante, è un splendido piccolo mondo, in prevalenza fatto di giovani, di persone che hanno sensibilità e capacità da esprimere. Lo dico senza piaggeria.
Parlando di qui e di là, avvicinando il tema della politica (della stanza dei bottoni, da cui tutti, non lo dicono, si aspettano parta il cambiamento), parlando di amministrazione, noto molte idee e sensibilità vicine e un comune denominatore: sono idee e sensibilità che non trovano rappresentanza; non sono coniugabili, riconducibili, a nessun organo di rappresentanza politico.
Altra notazione che traggo da un ascolto nemmeno troppo lungo: non puoi andare da un ragazzo, che abbia 15, 20 o 30 anni, e dirgli "ehi, parliamo di politica". Se lo fai, sei un carnefice della narrazione: renditene conto, hai appena ucciso un dialogo.
Eccola la categoria mal funzionante: tu schiacci il tasto sbagliato, e crei il vuoto, sapresti rendere muto anche il più chiacchierone dei presenti.
Non è una cosa a caso, questa. E' un indicatore preciso, un termometro importante, che ci dice dove va il senso, o quanto meno dove non va più, dove non c'è più.
Ecco, sento che tra quelle associazioni c'è un milieu (passatemi il termine) culturale che infondo accomuna i più e so (di nuovo, "sento") che i più si agglomererebbero volentieri attorno alle idee, a delle proposte, offrendo probabilmente la voglia di fare che è già percepibile, tangibile, nelle attività che comunemente svolgono.
All'epoca di Facebook il consenso si addensa e sintetizza attorno alle idee brevi e capaci di coagulare, mentre i vecchi simboli, che qualche romantico come me guarda con vaga nostalgia, giacciono caduti e vuoti.
Capite che, se questo è il quadro, rifondare, ri-esplorare, spolverare il passato, non serve, se non a scavarsi con mani proprie una tomba politica un poco più confortevole.
Serve, invece, rielaborare una nuova codificazione, un nuovo modo di raccontare le idee, le relazioni e la comunità, che permetta di catalizzare l'attenzione, riaggregare il consenso attorno a poli che incontrano una sensibilità e una voglia che esistono, ci sono e hanno sofferto finora in malcelato silenzio, senza la possibilità di identificarsi, là, nella stanza dei bottoni.
Ecco, è davanti ai nostri occhi il reiterato bisogno che pervade sotterraneamente tutti, individui e gruppi sociali, compresi quelli digiuni di politica o di interessi: la voglia di rinnovamento. Di pancia, così, anche un po' irrazionale.
Apparentemente, pare una sadica voglia di eliminare chi ci ha condotto nel baratro (e in parte, va detto, lo è), ma meno chiaro e cosciente tra noi è il sano istinto che ci dice, ci racconta, di come gli attuali uomini al potere non abbiano avuto la capacità di raccontare ancora, di narrare di nuovo, un modello, dei valori, delle idee.
E non saper raccontare, nell'epoca dei flussi, significa non avere alcuna chance, significa non essere più. E' un potere, quello, la cui data di scadenza si avvicina sempre di più.
Dal blog di Alfio Sironi.
La prima parte è qui.