20090325-marketing

Il marketing agisce in tempi di crisi dando nuovo valore al denaro ed a paradigmi sociali rivoluzionari

 

Riceviamo e pubblichiamo

"Noi uomini, si direbbe, desideriamo che la nostra logica sia assoluta. Agiamo partendo da questo presupposto, e poi ci facciamo prendere dal panico non appena ci si presenta il primo indizio che le cose non stanno così (...)"

Bateson 1979

Fonti: tra virgolette estratti da Wikipedia

Redazione ed ideazione contenuti: Matteo Filippo Ponti

Premessa

La cultura occidentale ha esteso la propria area di influenza ora con la persuasione ora con la forza su tutto il pianeta. Vige un solo modello sociale (paradigma) che pone al primo posto “la crescita produttiva e la conseguente crescita dei consumi” ed al suo fianco “il denaro come mezzo di scambio, unità di conto, riferimento per pagamenti dilazionati, riserva di valore”. I nostri modi di vedere, sentire, gustare sono influenzati in larga parte da questi elementi.

Come tutto peraltro, anche una cultura non sfugge alla legge del ciclo; nasce, ha una storia ed una fine. Siamo arrivati ai limiti dello sviluppo di questa fase culturale che apre il suo ciclo palese di rivoluzione (distruzione e rinascita) nel settembre del 2008 (l’esplosione dei mutui subprime).

Comprendiamo già che molte cose si apprestano a cambiare, in buona parte per effetto di un potente paradosso (Indica una proposizione formulata in evidente contraddizione con l'esperienza comune o con i propri principi elementari della logica ma che sottoposta a rigorosa critica si dimostra valida). Il denaro si moltiplica e genera denaro virtuale, il denaro virtuale distrugge il denaro reale. Il denaro che servirebbe a produrre benessere, finisce per togliere il benessere così come lo intendiamo fino ad oggi e soprattutto senza denaro non si produce più. Gli straordinari successi del mondo occidentale nascono da conquiste come il lavoro sicuro, la spesa pubblica, la democrazia e la libera iniziativa, la ricchezza distribuibile, la scolarizzazione, l’informazione, la longevità, tutti pagati con moneta sonante e sudore della fronte. Tutti questi successi, in parte inconsapevolmente, hanno permesso alle logiche della finanza (“l'arte o scienza di gestire redditi e risorse per il massimo beneficio del gestore") di dedicarsi alla moltiplicazione del denaro sganciandolo dal ciclo economico della produzione. Questo mondo speculativo, articolatosi in forme molto fantasiose, ha portato alla più potente crisi dal 1929 ed a montagne di debiti che molti non sanno più come pagare. Siamo in crisi: la crescita non si misura più ed il denaro per misurarla non c’e’ più.

Tre fattori preesistenti alla crisi ne hanno facilitato la diffusione ed ampliato le conseguenze.

La globalizzazione dei mercati ha diffuso gli effetti su scala planetaria e scatenando la recessione economica. La precarizzazione del lavoro, nata da tempo per ingegnerizzare i processi produttivi o forse per porre rimedio alle prime avvisaglie di crisi degli utili, ha creato le migliori condizioni per il diffondersi di una certa ansia e depressione emotiva fra la popolazione. Il mito del villaggio globale ha infine attivato imponenti flussi migratori di lavoratori, scatenando fobie razziali ed intolleranze etniche.

Se è vero che ogni cambiamento segue comunque il principio di causa / effetto, laddove ad ogni effetto segue una causa che a sua volta genera altri effetti, allora l’onda delle ripercussioni non sappiamo dove si arresterà. Un quadro da mal di testa e cupissima bancarotta, la cui estensione francamente non è nota.

Sappiamo forse distinguere tutti gli esiti di una causa ? Già, perché le cause banali e piccole possono produrre effetti devastanti. Si dice che in una notte d’estate, in una grande città, una sola persona che viaggi per una mezzoretta per le strade con un motorino senza marmitta, possa rovinare il sonno a quasi 10.000 persone. Se poi entriamo in una più vasta scala comprendiamo che quando le vendite delle auto crollano del 40%, a cascata crollano gli utili dei trasportatori di automobili, dei produttori di componenti di automobili, delle assicurazioni, etc. Crollo degli utili significa meno gettito fiscale che significa meno aiuti dello stato, che significa un sacco di cose a tutti immaginabili.

Il marketing può intervenire per guidare la rivoluzione ?

La risposta è certamente si. Ma vediamo meglio in che senso il suo esserci può esserci di aiuto.

Il marketing è una disciplina economico sociale. Le attività umane sono interconnesse, siamo tutti produttori di significati. I prodotti ed i servizi, privati o pubblici, coperti da copyright o liberi, sono significati espressione della nostra società umana. Siamo tutti uomini del fare; creatori di senso. Ma questo agire scaturisce da serie di intenzioni e di valori che ispirano le decisioni quotidiane di tutti (individui, imprese, stati).

Il marketing è una disciplina del fare sociale e manageriale diretto a soddisfare bisogni ed esigenze attraverso processi di creazione e scambio di prodotto e valori”, e si propone come una "interfaccia comunicativa semplice” per tutti, in grado di promuovere “il progresso nel rinnovamento delle risorse e nella ricerca di prassi che mettano al centro l’individuo” ed il denaro reale e non virtuale.

Che formidabile occasione questa crisi planetaria. Capita molto di rado e sarebbe un peccato sprecarla.

Il marketing è una risorsa / risposta perché ha da sempre dimostrato di saper creare visioni e previsioni del mondo. Marketing significa creare mercato ed un mercato è un luogo di scambio e questo luogo di scambio è ormai incontestabilmente il pianeta intero. E’ inimmaginabile pensare che per sanare una crisi si possa ricorrere alla chiusura delle proprie frontiere vivendo in uno stato autoctono che sarebbe una realtà antistorica e inconsistente.

Il marketing intona una nuova musica perché ha il potere di innescare nuovi processi produttivi, nuove filosofie, nuova cultura. Oggi sentirsi uomini di marketing significa conoscere le dinamiche di un mondo in cui il denaro può essere un termine di confronto, una risorsa condivisa e non un giogo soffocante o una potente droga allucinatoria.

Grazie al marketing possiamo pensare un nuovo mercato. Proviamo a mettere nella nostra preziosa biblioteca evolutiva tutti i concetti che ha finora sviluppato e ricominciamo su solide basi.

I nuovi paradigmi dai quali ripartire sono la destrutturazione dello spazio e del tempo, spegnere la conflittualità sociale, l’etica ambientale, l’estetica.

Destrutturazione dello spazio e del tempo

Una qualsiasi impresa dopo aver studiato il mercato dei potenziali acquirenti identificandone i bisogni, procede identificando nel proprio mercato i destinatari (target) delle proprie strategie di vendita e cerca di farlo prima dei propri concorrenti. Spazio e tempi sono graniticamente strutturati.

Proviamo a smontare questo meccanismo e centriamolo sul ciclo naturale della vita, senza ingegnerizzare la realtà trasformandola ad immagine di un processore matematico. Consideriamo il mercato come un campo. Invito per questo a considerare il cliente come una pianta da frutto, legume, ortaggio, fiore in un campo. Per un buon raccolto (i successi commerciali) è necessaria una manutenzione attenta delle nostre colture (raccolta, analisi, confronto e sintesi di informazioni), in modo che le piante sane (clienti attivi) continuino a darci soddisfazioni (raccolti). Coltivando il sogno che la nostra erba sia sempre più verde di quella del vicino, ci accorgeremo che spesso neanche la massima perizia nel coltivare può essere sufficiente a produrre risultati eccelsi. Nel bene e nel male, una stagione fatta di sole e pioggia al momento giusto, una grandinata, possono cambiare in modo radicale gli esiti delle nostre campagne (alias strategie). Da buon contadino, ti accorgerai che una pianta felice non abbandonerà il tuo campo. Siamo solo noi che potremo cedere campo ad altri agricoltori, ovvero permettere che le gramigne (piante che non vogliamo seminare e coltivare nel nostro campo) si impossessino del nostro campo, riducendo lo spazio vitale per le nostre piante dai frutti prediletti.

“Il cliente è la pianta del mio campo” può e deve sostituirsi all’idea consolidata che il cliente sia il target del mio mercato. Preferisco la pianta perché per farla vivere è necessario instaurare un dialogo lungo nel tempo, fatto di cure amorevoli (pena il deperimento e morte) ed animato dall’incessante sforzo per sviluppare tutto il potenziale da un seme iniziale.

Quando invece penso al termine target, non provo le stesse sensazioni. Continuo a vedere solamente il raggiungimento di un obiettivo, il colpire un centro da una certa distanza, in una sorta di guerra di mercato intelligente nella quale si continua a pensare di non si fare mai vittime ed ottenere esattamente quello che si vuole.

Credo che ogni azione è un discorso da avviare un poco come accade per la coltivazione dell’uva. Il nostro seme d’investimento (la vite iniziale), ci ha porta con cure amorevoli alla creazione del nostro stabile cliente (la vigna) che frutta grappoli d’uva, poi vini d’annata, aceti spettacolari e risultati che nel tempo si moltiplicano da soli.

Spegnere la conflittualità sociale

Diceva Max Weber “La conflittualità sociale è una conseguenza del conflitto tra gruppi che lottano tra loro per conquistare potere, ricchezza e prestigio a svantaggio di altri gruppi di persone”. Ed ancora Ian Robertson, «Le cose che le persone vogliono - il potere, la ricchezza e il prestigio - sono sempre scarse e la loro domanda supera l'offerta. Coloro che controllano queste risorse riescono a proteggere i loro interessi a spese degli altri». Ma ognuna di queste definizioni non parla di ciò che accade nel nostro quotidiano laddove il conflitto non è una lotta fra due gruppi per la supremazia dell’uno sull’altro, bensì uno scontro permanente all’interno del gruppo dei perdenti costituito dalle masse dei popoli poverissimi come pure dalle masse (enormemente meno consistenti) dei paesi ricchi.

Il fascino del conflitto continua a sedurre perché fornisce la sensazione di vittoria e contestuale distruzione del nemico che ha arrecato disturbo ai propri progetti. Ma è una mera illusione, perché lo scontro non porta ad alcuna vittoria, ad alcun controllo, ad alcuna supremazia. Molti ancor oggi ritengono che la conflittualità sociale, o la competizione fra aziende sia necessaria al progresso e senza di essa non vi sarebbero cambiamenti. Secondo questa impostazione, in assenza di competizione coloro che sono riusciti ad impossessarsi del potere politico ed economico lo eserciterebbero in modo da accrescerlo solo per sé ed i propri diretti discendenti. La cooperazione invece sarebbe solo una tregua fra due conflitti, una pace armata.

L’ineluttabilità dello scontro si smentisce nei fatti. La conflittualità ha generato e genera scontri distruttivi fra nazioni, assolutizza le differenze sociali bloccando ogni forma di dialogo, produce rapporti degenerativi fra uomini e fra uomo e natura. Ha perfino rafforzato nel genere umano l’incoscienza dei propri limiti, spostandoli in un luogo e tempo imprecisato e cristallizzando l’idea di un progresso dai rendimenti infiniti.

E’ necessario operare un ribaltamento completo che spenga l’aggressività sociale. E’ possibile ricercare il dialogo ed il confronto cooperativo, partendo dal presupposto che nessuno e nulla esiste per massimizzare il nostro personalissimo tornaconto. Ogni cosa ed ogni soggetto sono con noi per farci comprendere che per procedere abbiamo bisogno di arrivare al successo contemporaneo di entrambi.

Il nuovo assoluto dovrebbe essere il dialogo dei relativi e non il dialogo di opposti che per accordarsi devono rinunciare a qualcosa. Il dialogo cooperativo è la costruzione di un significato comune che non origina dai dogmi del passato bensì genera efficacia operativa ed estrema efficienza. Sopiamo il conflitto, anzi dichiariamo la sua inesistenza semplicemente perché non si pone un problema di esistenza o meno dello stesso. Nella cooperazione c’è il massimo rendimento con uno sforzo minore di quello sostenuto da un’azione bellica o competitiva.

Etica ambientale

Secondo Aristotele (sorgente del pensiero occidentale) lo scopo dell’etica è la realizzazione di ciò che è il bene per il singolo individuo. Per l'uomo la felicità si persegue per mezzo di opere conoscitive e pratiche della ragione. In Aristotele l'etica è scienza del divenire, è sapere pratico autonomo. Perseguire la sapienza è dunque formare l'uomo al fine che scopra i modi di agire utili al raggiungimento del bene.

Il premio per chi agisce bene è, per Aristotele, la felicità in questa vita e in questo mondo e, di conseguenza, non vi sarà altro dolore e punizione per chi agirà male che l'infelicità in questa vita ed in questo mondo.

A partire dal XIX secolo il concetto di lavoro è venuto a scontrarsi con quello di etica dando origine ad un modello etico che trova nell’operosità umana una sintesi relazionale fra ogni singolo individuo con il proprio universo interiore, il mondo degli artefatti prodotti e il rapporto con gli altri individui. Nella socialità e nel lavoro l’etica trova nuovo terreno di movimento ed evoluzione. Come scriveva Albert Schweitzer “Il primo passo nell'evoluzione dell'etica è un senso di solidarietà con altri esseri umani”.

I comportamenti etici che dobbiamo ricercare nel lavoro devono consentire all'individuo di gestire adeguatamente la propria libertà nei limiti entro cui la libertà umana si può estendere, cogliendo le relazioni evolutive e solidali con gli altri uomini, ma aggiungerei anche con gli artefatti e con l’ambiente nel quale oggetti e uomini si muovono. La libertà individuale inizia e termina nella libertà degli altri e nel rispetto della natura intrinseca dell’ambiente nel quale viviamo.

Proviamo a caratterizzare l’etica con uno sforzo deciso verso il rispetto dell’ambiente. Nel mondo viviamo, produciamo e cresciamo. Proviamo a pensare non solo a costruire case occupando nuove porzioni di territorio con gli artefatti abitativi, ma anche a lasciare che la natura ritorni ad occupare il territorio magari smantellando vecchie fabbriche per farne parchi cittadini, oppure liberando le strade da autovetture e incentivando il trasporto pubblico su rotaia.

Estetica

Scommettendo sull’estetica nel nostro agire economico sociale, potrebbe nascere un nuovo mondo nel quale potremmo esprimere comportamenti virtuosi. Nel rispetto per l’ambiente ritroveremmo la cura per la natura, il rifiuto di avvelenarla, deturparla, depredarla, bruciarla, come fosse risorsa infinita, come se potesse vivere in eterno. Il mercato etico ambientale è totalmente inesplorato e talmente ricco di opportunitàda non potersi credere anche perché poggia sull’unica fonte totalmente rigenerabile, la vita.

Formidabili possibilità sono date dalla riscoperta del bello. Artefatti umani che ricalcano le forme della natura, che espandono le possibilità dell’ambiente, che trasformano in materiali vivificanti e non mortiferi, le spazzature ed i rifiuti, che recuperano la funzionalità degli oggetti e delle relazioni alla luce di ciò che possono fare per rendere il nostro mondo urbano meno grigio, meno pieno di cose inutilizzate o male utilizzate. Infine, la bellezza assoluta del tempo che scorre senza affanno, della paziente ricerca della migliore soluzione, del ritorno alla formazione personale come percorso graduale e fatto per stratificazioni lente di saperi acquisiti tramite un vitale confronto con i nostri simili. Ma molto altro ancora. L’integrazione delle estetiche di altre culture al di fuori delle tirannie degli alfabeti ufficiali. La riscoperta di canoni di bellezza sepolti da strati di indifferenza.

Conclusione

La crisi nella quale stiamo entrando non mi terrorizza. Ho paura molto invece della immobilità sociale che sento declinarsi nelle stime della durata della crisi. Sei mesi, un anno, quindici mesi etc etc. Quasi si volesse a tutti costi pensare che si tratta di un breve intermezzo spiacevole. Come se per una ciclica sfortuna avessimo esaurito i soldi del bancomat, per questo mese.

Non ci conviene pensarla in questo modo.

Sarebbe più opportuno pensare che le cose sono cambiate e possono cambiare in meglio, possono cambiare persino cose che in altri momenti mai avremmo voluto cambiare, per abitudine.

La grande rivoluzione del bello, della pazienza, dell’efficienza e dell’abbandono della violenza è possibile e la cosa stupefacente è che con le cognizioni che abbiamo raggiunto saremmo anche in gradi di farne un modello economico, sapremmo fare impresa e non sogni new age.

Gli uomini del fare marketing hanno le idee e le strategie per cominciare.