Aumentano i consumi, e i prezzi non scendono. Le ragioni? Iper-competizione e scarsa ficucia nel futuro. Ritratto di un abuso.
Aumenta l'uso di cocaina e anfetamine. Ma i prezzi non sono scesi. Ad aumentare sono stati i consumatori. Farsi una "pista" è diventato più facile. Fiutato il business, le organizzazioni malavitose hanno pensato bene di sfruttare l'affare e di intensificare i rapporti coi fornitori. Le statistiche indicano invece che i prezzi della cocaina in strada sono rimasti sostanzialmente invariati negli ultimi 20 anni: dai 108 dollari al grammo del 1990 ai 104 del 2006. Sono leggermente diminuiti i prezzi all'ingrosso: si è passati dai 54.000 dollari al chilo nel 1990 ai 52.920 del 2006 ( fonte: United Nations Office on Drugs and Crime, Unodc).
La coca comprata viene quindi venduta in dosi più piccole, fino a una singola "striscia", magari dopo essere stata tagliata con sostanze di vario genere che nel migliore dei casi la "allungano". Si calcola che 12 milioni di europei l'abbiano provata almeno una volta nella vita, una media del 3.6% degli adulti nella fascia 15-64 anni. Il consumo si concentra tra i giovani adulti ed particolarmente elevato tra quelli di sesso maschile. Sono invece 11 milioni gli europei che hanno fatto uso, almeno una volta di anfetamine. Proprio in Europa si trova la maggior parte dei laboratori che producono la sostanza. Nel quinquennio 2001-2006, dei 14 paesi che hanno fornito dati sul consumo di queste sostanze la cui composizione spesso è sconosciuta e che vengono usate (spesso illegalmente) per dimagrire. I dati raccolti da uno studio dell'Espad (European school project on alcohol and other drugs), curato per la parte italiana dall'Istituto di fisiologia clinica del Cnr di Pisa raccontano che di un aumento del consumo di antidepressivi e anfetamine.
Fin qui i dati. Ma le cifre da sole non rendono ragione dell'aumento dei consumi di droga. Ma cosa spinge un ragazzo a usare cocaina? Riportiamo alcuni stralci di un'intervista ad Emilio Rebecchi, psichiatra e psicoanalista che nei suoi studi si è occupato lungamente di comportamenti giovanili e di dinamiche sociali nei posti di lavoro. L'intervista è a cura di Loris Campetti, ed è disponibile integralmente al link http://streetantipro07.noblogs.org/post/2008/05/30/senza-la-speranza-vince-la-cocaina-quarta-parte .
«Il carcerato almeno una speranza ce l'ha: quella di uscire dalla galera, per fine pena o tentando la fuga. Spesso si ha l'impressione che al giovane, al giovane operaio, sia negata anche la speranza di fuga. Se a un ragazzo togli la speranza di costruirsi un futuro gli hai tolto un diritto fondamentale [...] Oggi i ragazzi si drogano come noi si beveva il caffè o si succhiava il latte dalla mamma. Per loro farsi una striscia di coca o un'anfetamina è un fatto normale, persino ovvio. Senza alcuna solida motivazione il giovane diventa 'spontaneamente' consumatore. Incidono molto i modelli culturali (la competizione spinta all'esasperazione) e interviene un fatto imitativo. Così come da bambini si vuole andare al Burghy o al Mcdonald's perché lo fanno tutti a prescindere dalla schifezza che ti danno da mangiare, così qualche anno più tardi, con lo stesso atteggiamento, può capitare di farsi di cocaina. Questo segnala la presenza di un vuoto che spesso si tenta di riempire con la droga». Al lavoro, spiega Rebecchi, la droga è consumata soprattutto durante il turno di notte, quando la stanchezza aumenta e i controlli si diradano.
«La cocaina è un eccitante, serve ad aumentare la produzione. Ammettiamo pure che in fabbrica a spingerti al consumo possa essere una condizione difficile, segnata dalla fatica. La fatica alla linea di montaggio, dove la durata della mansione che si ripete sempre uguale a se stessa è al di sotto del minuto, provoca effetti negativi sulla salute dell'operaio, dolori, lombalgie. Una situazione di questo tipo farebbe pensare che la sostanza adatta ad alleviare la condizione di sofferenza sia l'eroina che è un anestetico e dunque attenua il peso e le conseguenze di un lavoro faticoso. Invece sempre più spesso la droga assunta, anche in fabbrica, è la cocaina. La cocaina è un eccitante, serve ad aumentare la produzione. Negli anni Settanta l'uso di sostanze poteva avere una qualche connotazione antisistema, oggi è tutta interna, verrebbe da dire funzionale al sistema. Non vale solo per gli operai, vale per i manager, per gli sportivi». L'analisi di Rebecchi si spinge quindi a ciò che si può fare per cercare di aiutare i consumatori di coca a uscire da una dipendenza che spesso porta allo spaccio e a conseguenze fisiche serie. La risposta è disillusa. «La cosa che rende più difficile l'intervento è proprio la mancanza di motivazione sociale nella decisione di assumere sostanze, che non sia l'aumento della prestazione individuale e di conseguenza della produzione. Sei disarmato, anche gli strumenti tradizionali come la psicoanalisi sono spuntati. Ti può capitare di chiedere a un giovane paziente di fare delle libere associazioni, dopodiché a un certo punto ti domandi: ma che vuoi che associ questo poveraccio, se non ha un cazzo di idea nel cervello?
Dico che ti senti disarmato perché se il giovane consumatore, che sia operaio o studente, non ha una motivazione, quando gli dici di smettere ti risponde semplicemente 'e perché? Mi piace'. Guarda che domani starai male, avrai delle conseguenze gravi sulla salute, gli contesti, ma ti accorgi che non glie ne frega niente. Il che vuol dire, lo ripeto, che nelle giovani generazioni c'è una caduta, una rinuncia a costruirsi un futuro, una prospettiva di vita. Senza ideali, non solo politici o religiosi ma semplicemente civili, si resta solo dentro una realtà durissima che non si sopporta più. Così si finisce per tornare all'infanzia, si regredisce allo stadio all'oralità. Vuoi dimostrare di essere più potente di chi ti sta vicino. La regressione è legata alla natura della società in cui viviamo, e l'aumento della prestazione individuale, in qualsiasi campo, risponde al comandamento della competitività» La cocaina, dicono alcuni operai intervistati in fabbrica, aumenta la capacità di socializzare sul posto di lavoro. «Certo - risponde Rebecchi - ma è la socialità della colpevolezza, certo non è la socialità della condivisione. E' la denuncia estrema di una condizione di solitudine. E se in passato drogavi generazioni intere per mandarle a combattere e morire in guerra, oggi con la caduta dei valori le distruggi drogandole per farle produrre di più alla catena di montaggio». Rebecchi conclude il suo ragionamento tornando al concetto della mancata motivazione nell'assunzione di sostanze 'dopanti', da cui discende la mancata motivazione a smettere: «Il generale cinese Zhu De era dedito al consumo di oppio. Quando iniziò la Lunga marcia, prima di assumerne il comando fece una scelta, aveva una motivazione forte per smettere. L'unico luogo in cui era vietato il consumo dell'oppio era il fiume Yangtze, così salì su una barca che scendeva il fiume chiedendo al proprietario di non fargli mettere i piedi a terra per alcuni mesi, per nessuna ragione. Così, con una motivazione forte, vinse le sue due guerre».