Intervista a Rosella Panzeri, l'unico sindaco donna nella storia del capoluogo brianteo
Parlare di Monza al femminile in politica non può che significare parlare di Rosella Panzeri: il primo e per ora unico sindaco donna della storia del capoluogo brianteo. Lei stessa nel nostro colloquio si definisce ex-zarina e “migliore sindaco della città”, salvo poi aggiungere, “donna”.
Signora Panzeri, in due parole, un autoritratto.
Nata 57 anni fa, ho sempre avuto nel sangue la passione politica. Mi sono avvicinata all’attività politica attraverso l’oratorio e su spinta dell’allora parroco, come voleva il sano collateralismo di quei tempi. Dal 1975, prima volta in consiglio comunale, sono rimasta sempre in politica. Un’esperienza bella, intensa, di lotte, di scontri, di batoste, di soddisfazioni. Una vita politica vissuta, insomma. È da anni che ci sono dentro e ancora ne ho voglia, è quasi come una droga da un certo punto di vista. In questi trenta e più anni sono stata consigliere comunale, assessore, sindaco e segretario di partito. Di certo il periodo che mi rimarrà più a cuore è quello in cui fui assessore ai servizi sociali: il mondo che mi è più vicino e consono, un mondo che in Brianza è di una ricchezza straordinaria. Attualmente, sono nel collegio uno di Monza e corro per le elezioni provinciali.
In questa carriera quanto l’ha aiutata o svantaggiata il suo essere donna?
Fa arrabbiare tante mie colleghe, quando lo dico, ma a me il fatto di essere donna ha aiutato molto. I monzesi hanno colto la differenza e mi hanno trattata bene. Lo dico spesso: “sono stata il miglior sindaco di questa città, sì, il miglior sindaco donna”.
Mi diceva che ora corre per le provinciali. Come reputa il ruolo delle Province e in particolare della Provincia di Monza e Brianza?
Ho sempre sostenuto che Monza, rispetto all’area afferente a Milano, abbia specificità proprie. Mi sono battuta con forza perché tali specificità venissero riconosciute e trovassero una dimensione autonoma rispetto all’area milanese. Emanciparsi era necessario e credo che nel tempo permetterà di sviluppare diversi aspetti di questo territorio che attualmente sono inibiti dall’ingombrante dipendenza dalla metropoli. Per quanto riguarda il discorso delle Province più in generale, beh, sarà il caso di iniziare a fare un po’ d’ordine: ci sono Province di recente istituzione che pesano un terzo della nostra e che non hanno valide giustificazioni alla loro base. Non ne ho ancora analizzato i contenuti ma mi auguro che la recente legge sul federalismo fiscale dica qualcosa in tal senso.
Quali sono le priorità per Monza ora?
A mio parere la viabilità era e rimane il problema per eccellenza. A Monza ci si muove con grande fatica. Per il resto, si potrebbero fare molte cose sul piano sociale e culturale: il livello dell’offerta è discreto, ma ora servirebbe un guizzo di fantasia, qualcosa che faccia veramente fare un salto di qualità alla città, che la renda realmente un capoluogo, un polo attrattore. Credo che sia sul piano culturale che si debba fare un grande lavoro in futuro.
Mi indica qualche personaggio femminile di Monza che ha avuto particolare significato o importanza nella sua vita?
Monza è sempre stata una città difficile per le donne. Francamente, non ne ricordo molte. Una di certo è Maria Paola Colombo Svevo che fu il primo assessore ai servizi sociali a compiere importanti passi avanti. È stata un esempio per chi è venuto dopo. Da ricordare anche l’architetto Giovanna Mussi che molto si è prodigata per il parco.
Qualche personaggio maschile?
Sono cresciuta all’ombra dell’onorevole Tarcisio Longoni, deputato di Monza per tanti anni. Lui mi ha insegnato il modo di fare politica, partendo dal contatto e dalla vicinanza con le gente. E’ andato in pensione nel 1975, io ero agli inizi. Ne porto ancora gli insegnamenti. Lui insieme all’avvocato Giovanni Centemero e al professor Pier Franco Bertazzini sono stati i miei personali “guru”.
Panzeri lei all’inizio degli anni ’90 è rimasta coinvolta in Tangentopoli. Come descriverebbe quel periodo della politica?
Lo ricordo come un periodo infernale, che personalmente mi ha annientata e dal quale non sono ancora riuscita ad uscire del tutto, preferirei non parlarne. Unica cosa che mi sento di dire, in virtù anche delle riflessioni fatte a debita distanza da quel momento, è di non essermi meritata quanto successo. Ricordo in quei giorni, però, di aver sentito attorno a me l’abbraccio di un’intera città.
Poi è ritornata alla politica nel 2000.
In verità, non l’ho mai abbandonata, la politica. Per un periodo mi è sembrato necessario, per me e per gli altri, farmi da parte. Poi ho scelto di tornare in campo con l’UDC, che a quei tempi mi era sembrato il partito più affine alla mia impostazione. In verità in cinque anni di minoranza nel consiglio comunale ho avuto modo di capire che quel partito era altro da ciò che immaginavo inizialmente. Mancavano le regole democratiche di base. Il PDL, in cui milito ora, è un ambiente migliore, non dico che sia una nuova DC, la cui nostalgia tengo per me, lo vedo però come un partito ugualmente diffuso e vicino alla gente. Resta il fatto che chi è della vecchia guardia, come me, e ha iniziato a far politica in altri tempi, nota oggi una certa latitanza della politica, i cui compiti sono sempre più marginali e relegati. Inoltre, l’esperienza di opposizione di questi ultimi anni, per quanto affascinante, è stata spesso vuota e orientata allo scontro personale. Quando il confronto si sposta dal piano delle idealità a quello dello scontro tra persone la politica muore. Questo mi pare uno dei problemi di grande attualità per la politica italiana. Tuttavia, qualche cenno di miglioramento è presente.
Torniamo al tema “donne e politica”: a che punto siamo?
Non credo nei provvedimenti come le quote rosa, non c’è niente di più falso. Dobbiamo dire chiaramente che i tempi della politica non sono i tempi dell’universo femminile. La donna in questa società porta ancora sulle proprie spalle un peso maggiore di quello dell’uomo, e i consigli comunali che finiscono alle tre di notte non si addicono certo a una madre. Io ho potuto fare certe cose non avendo marito e figli. Secondo me bisogna lavorare in due sensi: da un lato rendere più accessibili i tempi della politica alle donne, prendendo in considerazione anche di attuare possibili facilitazioni per le stesse. Dall’altro lato, bisogna lavorare sul piano della cultura. Ancora troppo spesso ci muoviamo sugli schemi tipici del maschilismo. In una visita svolta presso le elementari di Monza alla domanda “che lavoro fa tua madre?” I bambini con le madri casalinghe rispondevano “nulla”, direi che questo è un piccolo ma significativo termometro della nostra situazione.
In politica è necessario iniziare a lasciare spazio alle donne specie nei campi in cui per attitudine e naturale inclinazione di genere potrebbero fare meglio degli uomini, penso tra gli altri proprio ai servizi alla persona.
Quella tangentopoli monzese.
Nell'intervista alla signora Panzeri, si fa accenno alla vicenda giudiziaria che la vide coinvolta nella prima metà dei Novanta. Per capire bene a cosa ci si riferisce, riprendiamo l'articolo del Corriere della Sera pubblicato all'indomani della sentenza della Cassazione, il 26 marzo 1997, a firma di Manuela Cagiano.
Condannati in Cassazione l'ex sindaco Panzeri
e altri big della vecchia politica monzese
Mezzo miliardo sulla lottizzazione dell'area abbandonata
dal cappellificio nel centro della città
Tangente Cambiaghi, tutti colpevoli
Mezzo miliardo sulla lottizzazione dell'area abbandonata dal cappellificio nel centro della città Tangente Cambiaghi, tutti colpevoli Condannati in Cassazione l'ex sindaco Panzeri e altri big della vecchia politica monzese MONZA - Colpevoli anche per i giudici della Cassazione. Sei ex amministratori locali di spicco, fra democristiani e socialisti, coinvolti nello scandalo dell'area Cambiaghi, sono stati condannati con sentenza definitiva, per la "stecca" da oltre mezzo miliardo ruotata attorno alla lottizzazione di quasi 25 mila metri quadrati nel cuore della città. Chiudono così amaramente il capitolo - Cambiaghi Francesco Rivolta, ex assessore regionale democristiano agli Affari Generali, già condannato in primo grado dal tribunale di Monza nel gennaio del '95 a 4 anni e 8 mesi; Rosella Panzeri, ex sindaco dc, (un anno e 4 mesi); Paolo Meregalli, ex assessore dc all'Edilizia privata (un anno e 6 mesi); Giuliano Salvi, ex assessore socialista predecessore di Meregalli (un anno e 4 mesi); Francesco Ironico, ex consigliere comunale socialista (un anno e 4 mesi); Maurizio De Ponti, all'epoca segretario del garofano (un anno e 4 mesi). Rivolta era accusato di concussione; Meregalli e Panzeri di ricettazione; Salvi, Ironico e De Ponti di tentata concussione: capi d'imputazione confermati tutti dalla Cassazione, così come aveva fatto in precedenza la Corte d'Appello. Sotto i colpi dell'inchiesta sul cappellificio dismesso Cambiaghi, condotta dai pubblici ministeri Walter Mapelli e Alessandra Dolci, erano caduti altri nomi eccellenti della politica monzese. Molti sono usciti di scena rapidamente con il patteggiamento della pena: gli ex democristiani Vigilio Sironi, Filippo Apicella, Natalino Erba e Giovanni Ardigò e l'ex socialista Raffaele Politanò. Secondo il nutrito fascicolo raccolto dai sostituti procuratori, l'imprenditore Guido Ongaro (titolare della società che sta ultimando i lavori sull'area Cambiaghi) era stato costretto a stare al gioco dei "tangentomani" per ottenere l'inserimento del suo programma urbanistico nel progetto di recupero previsto dalla legge regionale Verga e avere così la possibilità di costruire con vincoli più bassi rispetto a quelli previsti dal piano regolatore. L'industriale aveva sborsato tra l'86 e il '90 mazzette per 545 milioni che, passando da una mano all'altra erano finite nelle tasche dei politici più "influenti". Stanco di pagare, Ongaro aveva poi, con le sue rivelazioni, dato il via all'inchiesta (una delle prime sulle tangenti monzesi) che aveva messo nei guai "insospettabili" del calibro di Rosella Panzeri, incriminata per aver intascato una quindicina di milioni con "l'affare" Cambiaghi. La "zarina bianca" aveva ammesso di averne presi soltanto cinque e di averli offerti in beneficenza al Centro per l'assistenza all'infanzia "Mamma Rita".