Anatomia di un luogo comune: lo spreco.
Le Province italiane subiscono da 39 anni un incessante tormentone. Il luogo comune che le vuole enti inutili acquista costantemente nuovi consensi e spinge per la loro abolizione. E' altissima la trasversalità di consenso che suscita questa proposta, che accomuna una popolazione sterminata che va dalla estrema sinistra alla estrema destra. E' probabile che se fosse indetto un referendum, avrebbe un consenso quasi totale; persino tra gli stessi dipendenti e funzionari provinciali ce ne sono molti convinti assertori. Ma allora, perché rimane una promessa elettorale puntualmente disattesa?
Consiglio Provinciale di Piacenza
L'abolizione delle Province non è semplice. Innanzitutto, siccome la Costituzione Italiana le definisce come parti costitutive della Repubblica, per eliminarle sarebbe necessaria una modifica costituzionale. Peraltro in tempi relativamente recenti è stata operata la riforma del Titolo V, accompagnata alla famosa legge Bassanini, approvata con legge costituzionale n. 3/2001 che ha modificato sensibilmente i testi riguardanti i rapporti tra lo Stato e le Regioni, apportando anche modifiche allo status delle Province.
Nel 1970, con l'istituzione dei Consigli Regionali a 22 anni dall'entrata in vigore della Costituzione, nasceva l'Ente Regione. Già allora l'Ente Provincia, nella sua dimensione di organo politico e di rappresentanza istituzionale, veniva considerato un ente intermedio inutile. Tuttavia, anziché essere abolite, nel corso degli anni le Provincie sono addirittura aumentate di numero.
Le province, nate dopo l'unificazione dell'Italia a metà del'800, sono insieme ai Comuni le istituzioni amministrative più antiche. Da un secolo e mezzo in Italia si ragiona in considerazione della suddivisione del territorio in province: le prefetture, i comandi militari e di Pubblica Sicurezza sono organizzati secondo i territori delle Province, così come tutti i Ministeri dello Stato, Poste, telefonia, televisione, motorizzazione e i sistemi viabilistici sovracomunali.
La provincia di Monza e Brianza
Negli anni '70, epoca di partecipazione di massa alla politica, vennero inseriti nuovi livelli di rappresentanza democratica. Dal livello basilare costituito dai comitati di quartiere nelle città, alcuni comuni si sono spinti fino alla costituzione di comitati di frazione e alla creazione delle Comunità Montane negli anni '80, enti sovra locali pensati per coordinare le amministrazioni dei piccoli comuni in territori omogenei e scarsamente popolati.
Con la crescita costante del debito pubblico, anno dopo anno, vengono scandagliati tutti i possibili capitoli di spesa da inserire nei tagli delle pubbliche amministrazioni che puntualmente vengono operati nelle varie leggi finanziarie. Siccome delle Province non si può eliminare la struttura tecnico-amministrativa (manutenzione delle strade, controllo della caccia e pesca, ecologia, protezione civile ecc.) ma solo la rappresentanza politica ( il Consiglio Provinciale, il Presidente, tanti assessori ed altrettanti uffici), si calcola un risparmio misero se rapportato ai numeri dell'evasione fiscale stimata. Tuttavia questo raffronto, iniquo e anti etico, per nulla intacca il luogo comune consolidato: "Le Province non servono, se non a dare posti pubblici agli amici degli amici". In pratica si mira a una drastica riduzione della rappresentanza politica, giacchè gli enti intermedi sarebbero fonte di sostentamento del personale politico periferico dei partiti. Una chiara propensione anti politica, dunque, mascherata efficienza e snellimento burocratico.
Altro luogo comune sul tema "carrozzone provinciale" è quello della differenza della spesa tra Nord e Sud: la percezione comune è che al Sud prevalgano interessi clientelari. Dalle indagini dell'istituto di ricerca Eurispes, confrontando invece le province su base regionale, emerge che quella che ha aumentato maggiormente le entrate tra le amministrazioni provinciali, in parte anche aggiungendo nuove tasse, è stata la Lombardia, le cui Province hanno fatto registrare flussi finanziari in entrata per 2,1 miliardi di euro. Le Province che registrano i dati minori sono quelle della Basilicata (185 milioni di euro) e del Molise (64 milioni di euro).
La Lombardia detiene il primato anche per le spese, pari a 2,1 miliardi di euro. Seguono, in ordine decrescente di spesa sostenuta, Piemonte (1,6 miliardi di euro) e Veneto (1,2 miliardi di euro), mentre le Regioni le cui Province hanno avuto i più bassi livelli di spesa sono, così come per le entrate, Basilicata (186 milioni di euro) e Molise (75 milioni di euro).
Le province imperiali di Roma
Addirittura, proprio dal profondo Nord si leva una voce a sostegno delle tanto bastonate Province: il Presidente di quella di Treviso, Leonardo Murano della Lega Nord, difende il ruolo degli enti provinciali. "Il federalismo rappresenta una svolta epocale nella restaurazione statale - sostiene Muraro - Finalmente avverto la volontà trasversale di portare avanti queste riforme. I territori hanno bisogno di un sistema di governo di area vasta: la presenza istituzionale comunale è eccessivamente frazionaria e la logica regionale appare a volte distante". Secondo il presidente della Provincia, quindi, sopprimere le Province per creare comunque delle agenzie esterne alle Regione che sopperiscano alle funzioni delle Province non è di sicuro un passo verso la semplificazione amministrativa e nemmeno un segno di democrazia.
"I cittadini - secondo Muraro - si troverebbero un'area vasta governata da persone che non hanno eletto direttamente ma che sono state nominate. Le Province non sono fatte solo di manutenzioni, ma offrono servizi al territorio che solo un ente di governo dell'area vasta può dare. Perché ricordiamo che i Comuni ragionano coi PGT e la Provincia è l'unica in grado di dare una pianificazione sovracomunale. Certo, bisogna avere i numeri per definirsi area vasta, e le Province stesse sono disposte a definire i parametri minimi. La vera riforma dello Stato deve guardare alla cancellazione delle sovrapposizioni di competenze. Un vero riordino: competenze certe, ma anche tributi certi. Perché abbiamo visto che se lo Stato non funziona, l'economia corre lo stesso. E la politica rimane indietro".
Quindi, a parere di chi scrive, abolire, si deve, con il buonsenso, solo gli sprechi reali e non quelli presunti. La demagogia del talk show televisivo confonde tutti, comprese le alleanze politiche che sostengono il governo in carica, il Governo delle infrastrutture inutili e del ponte, inutile e plurimiliardario, sullo stretto di Messina.