Competenze e compiti di un ente sempre in discussione. Sulle orme di un decentramento che esiste sulla carta, ma nella realtà appare lontano.
Provincia sì, Provincia no. C'è chi la difende, chi la critica, chi vorrebbe eliminarla. E poi - va detto - ci sono i più. Quelli che della Provincia hanno un'idea vaga, nebulosa, inafferrabile. Come di certi principi fisici, lasciati con troppa indulgenza a invecchiare nel ripostiglio degli anni liceali.
Che esistano, si sa. Vediamo di capire cosa fanno.
Diciamo subito che non è impresa semplice, dacché le ambigue vicende del federalismo italiano ci consegnano un quadro piuttosto anomalo. Per farla breve, la compresenza di tre ordini di decentramento territoriale (Regioni, Province e Comuni) colloca l'assetto italiano a mezza strada tra l'opzione federalista forte, su base regionale, e quella solo amministrativa, fondata su circoscrizioni provinciali. A questa incertezza di fondo si aggiunge l'indeterminatezza con cui l'opzione federale è stata perseguita nel corso degli anni dal legislatore italiano. Dal 1970 (nascita delle Regioni) a oggi, il dettato costituzionale è stato oggetto di continue negoziazioni e ripensamenti in sede di attuazione concreta.
L'argomento, per chi volesse cimentarvisi, è appassionante e ricco di spunti. Qui proveremo solo a fare il punto della situazione, così com'è uscita dall'ultimo decennio di riforme istituzionali. Il principio generale che attualmente regge il sistema è quello della sussidiarietà, accompagnato da quelli di adeguatezza, unicità e differenziazione. In sostanza, mentre il potere legislativo è ripartito tra Stato e Regioni, le funzioni amministrative vanno generalmente attribuite all'Ente più vicino ai cittadini destinatari, purché questo sia adeguato a gestirle integralmente e con efficacia. In linea di massima, perciò, tutto il carico della pubblica amministrazione pesa sul Comune, in quanto Ente più localizzato. Dove però questo non sia in grado di assolvere a una specifica funzione, ad esempio per necessità di un coordinamento territoriale più ampio, questa passerà alla Provincia (o alla Regione, se necessario, e così via). Ogni caso va esaminato sulla base delle specificità territoriali (differenziazione): potrà quindi capitare che dei Comuni svolgano funzioni che altrove sono gestite da Province.
Va inoltre aggiunto che, in seguito alla riforma costituzionale del 2001, gli Enti Locali (tra cui le Province) sono riconosciuti come parte (e non ripartizione) della Repubblica, in qualità di Enti autonomi con propri statuti e propri poteri. Quella riforma, che aveva lo scopo di "portare in Costituzione" i principi di sussidiarietà elaborati dalle riforme degli anni Novanta, ha però aperto a sua volta dei nuovi problemi. Nel momento in cui imprime - con la sussidarietà - una forte spinta al decentramento amministrativo, essa riserva infatti allo Stato di individuare le funzioni fondamentali degli Enti locali, e stabilisce inoltre che lo Stato medesimo debba definire i livelli essenziali dei servizi che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale. Sembrano cavilli, ma quando dalla carta si passa ai bilanci i dettagli pesano: partecipazioni d'imposta e un apposito fondo perequativo garantiscono agli Enti locali la copertura finanziaria integrale per le funzioni fondamentali, mentre il resto delle attività locali dovrà finanziarsi autonomamente. E' proprio sulla definizione delle funzioni fondamentali che si gioca pertanto la partita sulla reale autonomia di Province e Comuni, sui loro compiti, oltreché sul federalismo fiscale tout court.
La legge delega prevede infatti che le funzioni fondamentali degli Enti siano finanziate sulla base di un fabbisogno standard, la cui determinazione dovrebbe avvenire su scala nazionale e sulla base di bilanci che già oggi sono difficilmente comparabili, per la diversità delle funzioni pubbliche che si trovano a dover coprire e per il diverso ricorso all'esternalizzazione dei servizi.
L'intera questione delle funzioni fondamentali e dei servizi essenziali sarà pertanto soggetta a concertazione nella sede deputata, quella Conferenza Unificata che coinvolge tutte le articolazioni territoriali della Repubblica. Per il momento, la succitata legge delega (42/2009) si limita a stabilire che «il fabbisogno delle funzioni di comuni e province è finanziato considerando l'80 per cento delle spese come fondamentali ed il 20 per cento di esse come non fondamentali ». La norma si spinge anche oltre, e arriva ad accennare un primo sommario elenco delle funzioni da considerarsi fondamentali (fatta salva la possibilità di modificare il quadro nei successivi decreti). Per le Province, abbiamo:
«a) funzioni generali di amministrazione, di gestione e di controllo, nella misura complessiva del 70 per cento delle spese come certificate dall'ultimo conto del bilancio disponibile alla data di entrata in vigore della presente legge;
b) funzioni di istruzione pubblica, ivi compresa l'edilizia scolastica;
c) funzioni nel campo dei trasporti;
d) funzioni riguardanti la gestione del territorio;
e) funzioni nel campo della tutela ambientale;
f) funzioni nel campo dello sviluppo economico relative ai servizi del mercato del lavoro.»
Sulla base di queste prime indicazioni, appare probabile che le Province continueranno a svolgere la loro attività nel quadro della prassi amministrativa finora invalsa, che le vede impegnate nella tutela e nella gestione del territorio (viabilità, bacini idrici, trasporti, protenzione ambientale), secondo un profilo da Ente territorial-ambientale più che politico-economico. Il che non impedisce a queste istituzioni di partire dal territorio per giocare una partita di identità culturali. In un'Europa delle Regioni, in un'Italia che ha paura di scoprirsi multietnica, la forza di una zona franca - tra i confini della città e la politica delle regioni - è forse una scommessa da azzardare.
APPROFONDIMENTI:
- Guerra, M.C., Il federalismo secondo Tremonti, «Lavoce.info», 5 V 2009
- Lg. 5 maggio 2009, n. 42, «Gazzetta Ufficiale», 103, 6 V 2009
- Rega, R., Governo Italiano: Dossier sul federalismo fiscale