I calabresi di Milano Nord: da accolti ad accoglienti. A Cinisello sono quasi cinquemila. Intervista a Pantaleone Paparo

Nell’immaginario collettivo, è la terra dei salumi, del peperoncino, di difficoltà sociali ataviche e degli uomini testardi. Rimanendo nel mondo del percepito, la Calabria dista dal cuore della Lombardia ben più dei 1.100 chilometri di autostrada che separano le due regioni. Immaginario e percezione, però, farebbero bene a calarsi nella realtà e guardare quel che il panorama, anche in loco, offre. Pochi sanno che nell’hinterland milanese, ai confini con la Brianza, in alcuni quartieri forse ci sono più calabresi che autoctoni. Il caso sintomatico è Cinisello Balsamo: 74.000 residenti, dei quali almeno 5.000 di origine calabrese. Sono parte di una emigrazione iniziata copiosamente quasi cinquanta anni fa, sono una quota del milione di calabresi che non abita più la Calabria, a cui vanno aggiunti 321mila calabresi ancora cittadini italiani ma residenti all’estero e la stima di 2-3 milioni di italiani di origine calabrese che non hanno mantenuto il passaporto nazionale. Insomma, fuori della Calabria (appena 2 milioni di residenti), i calabresi sono almeno 4 milioni. Da qualunque parte la si guardi: una storia, italianissima, di emigrazione.

La Rivista che Vorrei ha fatto una chiacchierata con Pantaleone Paparo, medico 45enne, presidente dell’Associazione Culturale Calabrese di Cinisello Balsamo e Nord Milano per offrire, attraverso una esperienza diretta sul campo, una chiave di lettura su quel che è accaduto e accade in merito ai fenomeni di immigrazione-emigrazione.

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Quando e come è nata l’Associazione dei Calabresi del Nord Milano?
Nasce nelle forme attuali nel 2007, mettendo insieme tre storiche associazioni preesistenti: gli Amici della Sila, gli Amici della Calabria e l’associazione Agorà-marchesato di Crotone. Attualmente, nel libro soci abbiamo circa 550 iscritti e siamo espressione di almeno 5mila persone di origine calabrese. In maggioranza, si tratta di famiglie originarie dell’entroterra crotonese e silano. A Cinisello Balsamo, la comunità calabrese è la più numerosa insieme ai siciliani di Mazzarino. Ma ci sono anche cospicui gruppi sardi e marchigiani.

L’immigrazione calabrese a che anni risale?
La prima e più forte ondata è dei primi anni ’60: la classica emigrazione di gruppi familiari che poi ne chiamano altri, generando fenomeni di continuità paesana. Una emigrazione di lavoratori agricoli, rimasti spiazzati dalla riforma agraria e dalla Legge Sila, che non erano riusciti in quel «Vi trasformeremo da braccianti agricoli in coltivatori» dichiarato in un comizio da Fanfani. La redistribuzione delle terre non fu, in molti casi, sufficiente per autodeterminarsi, si produssero difficoltà nella gestione del fondo e necessità di sostentamento che causarono questa prima spinta migratoria a cui faceva da controaltare il boom economico del Nord. Si è poi andati avanti per piccole onde successive, tra le quali una significativa negli anni ’70 seguita a riforme scolastiche dell’epoca, una emigrazione ben diversa dalla precedente, composta da insegnanti per coprire supplenze e cattedre e, già allora, da studenti. Negli anni ’80 e in seguito si è sempre più trattato di trasferimenti di giovani uomini e donne, universitari o personale qualificato.

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La vostra esperienza associativa come ha risposto a ondate migratorie così differenti?
Le problematiche sono diverse. Da una decina d’anni i primi emigrati, operai della grande industria, sono in pensione, coltivando sempre più il sogno del ritorno a casa. Ma del resto i loro figli sono nati qui o si sono integrati del tutto. Quindi il primo emigrato vive un disagio tra la speranza di tornare al suo paese e la rete familiare che resta salda qui. Le associazioni calabresi nascono da questo desiderio di mantenere un legame con la propria terra, incontrarsi, essere attivi nel nuovo tempo libero post-lavorativo. Altri invece iniziano pellegrinaggi avanti e indietro alla ricerca di vecchi terreni di proprietà, tentativi di recuperare le antiche abitazioni, eredità e contenziosi che fanno la fortuna di notai e avvocati calabresi. Da sottolineare anche lo scopo fondativo di Agorà, una delle tre associazioni originarie: fungere da rete di aiuto per coloro che arrivavano qui per operarsi, in situazioni oncologiche e logistiche difficilissime. Pensiamo ad esempio ai familiari al seguito, ai costi che dovevano sostenere per la permanenza, allo scombussolamento portato nelle famiglie qui emigrate di fratelli e sorelle.

E oggi? Come avviene il contatto con i nuovi emigrati?
Oggi il contatto con l’associazione parte direttamente dai nuovi arrivati. Leggono delle nostre iniziative sui giornali, sui manifesti, nei servizi del tg e vengono alle nostre manifestazioni per saperne di più, per rimanere in contatto con le loro tradizioni. Il numero di simpatizzanti sale. Devo dire anche di non calabresi. Anzi, forse tra i non calabresi riscuotiamo ancora più successo. Probabilmente vedono in quello che facciamo valori che la città ha pian piano perso, la voglia di stare insieme, il racconto, l’agorà: un modo diverso di vivere. Organizziamo, ad esempio, “u cumbìtu”, ossia la tradizionale preparazione della povera pasta e ceci del 18 marzo, in onore di San Giuseppe, abbiamo al nostro interno una compagnia teatrale che ogni anno presenta lavori riadattati in vernacolo calabrese, la degustazione di prodotti tipici e musica folk “Castagna In..Cantata”, convegni su personaggi calabresi come Corrado Alvaro, Rino Gaetano, Mia Martini, il poeta Alberto Cavaliere.

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Il vostro motto è “da accolti ad accoglienti”.
Ci teniamo molto. Tutto sommato, Cinisello ci ha accolto bene e permesso di diventare quello che siamo. È una città che ha una sua identità rispetto a Milano, per certi versi, come dire, meridionalizzata. La prima emigrazione, da quel che mi raccontano i più anziani, ha incontrato i problemi risaputi, con il pregiudizio, la difficoltà di affittare una abitazione. Eravamo noi gli extracomunitari di allora, forse è per questo che riusciamo a capire meglio le difficoltà di chi ora arriva da più lontano. È stata comunque una reciproca opportunità, conveniente anche per i lombardi: arrivavano persone che volevano lavorare e dovevano pur spendere qualcosa, ferme restando le necessità di risparmio e rimesse da inviare in Calabria. Le difficoltà sono state superate con le seconde generazioni, con l’esempio di persone che ce la facevano e diventavano parte viva della comunità.

Ha accennato a un comprendere meglio i problemi degli extracomunitari da parte di chi è emigrato in passato…
Non parlo solo di extracomunitari. Mi riferisco pure a un inglese che si trasferisce da queste parti, perché il discorso non cambia. Chi ha vissuto sulla propria pelle l’emigrazione riesce a capire cosa si prova ad arrivare in un mondo che non è il tuo. Le relazioni con le realtà degli extracomunitari, per la nostra associazione, sono ancora poche. Tempo fa abbiamo avuto un contatto con la comunità egiziana ma non lo abbiamo reciprocamente sviluppato mentre, ad esempio, organizziamo manifestazioni con sardi e marchigiani. Avvertiamo un rischio a collaborare con comunità spontanee, ancora non organizzate in associazione: essere strumentalizzati politicamente, diventare per partito preso da altri una parte schierata per quel che facciamo o non facciamo. Cerchiamo invece di essere molto attenti a non essere percepiti come una parte politica. Un esempio: nelle ultime comunali di Cinisello, due candidati sindaco su sei erano di origine calabrese. Inoltre abbiamo suggerito 3-4 nomi in diverse liste a rappresentanza dei calabresi, senza badare al colore politico. Chi ha il cuore di destra ha potuto scegliere il suo candidato “calabrese” nella lista di destra e viceversa. Senza valutazioni a priori di schieramento.

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Arriviamo all’allarme per le infiltrazioni mafiose in Lombardia.
Lo dice ad uno che ha per sventura lo stesso cognome di persone poco raccomandabili che agivano qui vicino, ma non lo scriva. Il calabrese, da sempre, ha due timori che porta con sè: mi unisco a un gruppo di persone ma temo di finire per avere relazioni con chi ha qualche problema oppure entro in un gruppo ma tale gruppo è finalizzato a qualcosa di poco chiaro. Non a caso, tanti non partecipano o si avvicinano con il timore del “e se poi…”. L’associazione culturale dei calabresi nasce per rispondere a tali timori, per distinguerci in positivo. Qualcuno lo chiama desiderio di riscatto, io lo chiamo “compensare”. Accennavo alla divulgazione della figura storica di alcuni personaggi calabresi ma abbiamo anche fatto incontrare qui amministratori di paesi calabresi con i locali, con i consoli russo e inglese commemorando i cento anni dal sisma di Messina e Reggio perché pochi sanno che i primi a soccorrere le popolazioni del posto furono la marina britannica e russa, giusto per fare un esempio.

E se domani qualcuno le dicesse: «l’associazione dei calabresi è una lobby»?
Distinguerei. Se per lobby intendiamo qualcuno che cerca di prevaricare sugli altri usando il numero, il gruppo, allora noi non siamo e non vogliamo essere una lobby. Se invece intendiamo un minimo comune denominatore di valori - anche senza farla tanto lunga - di famiglia, ospitalità, appartenenza, in una accezione totalmente positiva, in un’ottica di riscatto comune, di sacrificio collettivo, allora posso anche accettare il termine. Penso che, guardando alle comunità calabresi – il discorso vale anche per tutte le altre comunità emigrate ma forse è più incisivo tra i calabresi - un osservatore esterno percepisca che, se un calabrese ce l’ha fatta, è stato certamente per le sue capacità ma anche perché dietro ha un gruppo, è espressione di una comunità. Ovviamente si tratta del mio pensiero, ma ritengo che l’essere cresciuti in contesti collettivi, essere stati “meninhos de rua” con una identità comune e su quella “rua” aver condiviso esperienze ed aver incontrato persone diversissime, che poi hanno preso percorsi diversi, alcuni anche negativi, crei nella persona una facilità di approccio alle organizzazioni, alle relazioni, allo stare insieme importantissima.

Riferimenti:

www.calabresicinisello.it

 

Le statistiche citate sono tratte da dati Istat e da una analisi di marketing effettuata dalla Gugliemo Caffè SpA e presentata in occasione della VII Giornata della Comunicazione d’Impresa lo scorso 13 maggio nell’auditorium Assolombarda.

Le foto, se non altrimenti specificato, sono tratte dal sito www.campanaelefante.com

Gli autori di Vorrei
Ivan Commisso
Ivan Commisso

Vado per i quaranta, mi occupo di soluzioni pubblicitarie online in una grande concessionaria. La mia formazione universitaria è economica. Sono giornalista pubblicista e su Vorrei scrivo per lo più di economia perchè da lì verranno (ulteriori) problemi e su quel tema si dicono un sacco di fesserie. Nota Bene: mi piacciono le metafore, i dolci e la Calabria.

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