"Sono migrante, sono straniera. Ho lasciato la mia terra, casa mia e la mia famiglia."
Sono migrante, sono straniera.
Ho lasciato la mia terra, casa mia e la mia famiglia.
Quel giorno, l'otto marzo 2008, dalla finestra del taxi verso l'aereoporto ho visto passare davanti ai miei occhi i luoghi della città a me più cari e con loro i ricordi che mi lasciavo dietro per una ultima volta.
Eccomi. Ho trentasette anni, lascio cinque amici, la mia gatta, la strada che mi portava al lavoro, il lavoro ed il cibo, il supermercato dove facevo la spesa, le gallerie d'arte che spesso visitavo ed i luoghi dove andavo a ballare... Sono qui, insieme ai miei tre figli, con otto valigie e mille domande, tante paure ed illusioni. Sono felice e triste allo stesso tempo, oggi piove ed il cielo è grigio come accadrà per tanti giorni dopo.
È passato un anno da quel giorno e di tutte quelle sensazioni rimangono solo ricordi perchè il corpo e l'anima si accorgono che ormai sei "qua" e non più "là".
Un dipinto di Martha Meza
Avevo tante paure, la paura che i miei figli non ce la facessero, la paura di non essere capace di sentirmi me stessa qui, di sentirmi parte di questo nuovo mondo.
Uscivo per la strada e sentivo suoni, suoni come il canto degli uccelli, belli ma incomprensibili per me, ed allora il terrore, il terrore di essere considerata non competente, una nuova ignorante.
Studiavo, studiavo e capivo di essere in una posizione di svantaggio di fronte a tutti.
Una lotta giornaliera per non arrenderti, per non perdere la tua identità che nessuno conosce, per apprendere e gestire i codici che funzionano qui.
Sono passata attraverso stati di paranoia, arrivavo a casa stanchissima con il corpo esausto dalla tensione quotidiana. Poi l'inverno, la neve che solo avevo visto nei film.
I figli iniziano a fare amici, le persone iniziano a sorriderti, ti rendi conto che capisci di più e che forse ti capiscono, oppure no ma che ti sorridono.
Cominci a sentire i sapori ed a provare piacere in quello che vedi dalla finestra, in quello che vedi per strada. Inizi a trovare delle persone con cui condividi le stesse ricerche, gli stessi problemi.
Pian piano cominci a sentirti a casa ed ad avere una tua quotidianità.
Ma fuori, là fuori, a volte è diverso.
Mi accorgo che essere sudamericana è diverso da essere rumena, indiana o africana. C'è una sorta di classificazione per assumere gli stranieri a seconda che provengano da un paese di primo o terzo mondo, cambia lo sguardo e non solo.
Sono nata in Colombia, sono sudamericana e qui quasi tutti gli immigrati sudamericani fanno lavori umili e così senza volerlo si crea uno stereotipo che condiziona tutti... ogni paese ha la sua specializzazione!
È questa discriminazione? Sì, lo è, in maniera indiretta lo è! È sottile, ambigua ma costante.
Non tiene conto delle capacità di una persona, non importa cosa sei ma da dove vieni e così, avrai un posto assicurato solo per quel tipo di lavoro, altrimenti non hai alternativa.
Oggi posso dire che ho superato le prime prove, quelle più drammatiche, che tanti non superano ritornando subito indietro.
Il freddo, ah ... è difficile da sopportare per una persona che viene da un paese dove non cade neve ed il sole accompagna tutte le giornate, le palme suonano la loro melodia ogni pomeriggio quando arriva il vento.
Ah... i paesaggi della mia terra, ogni città offre un paesaggio ed un clima diverso in Colombia. Quei paesaggi li porto dentro me e tento di ritrovarli nei momenti in cui mi siedo nello studio a dipingere ed a ricordare.
Ho smesso di paragonare il cibo, le persone, la musica e ho comiciato ad accettare questa nuova cultura così com'è.
L'esperienza di migrare ha un sapore dolce amaro, ma sempre sarà una esperienza che segna l'essere umano, cambiando il suo modo di vedere il mondo.
Non si può immaginare o tentare di capire quello che si prova in questo viaggio, una prova verso se stessi, una fede nell'uomo, nella sua evoluzione.
Qualche volta, per forza, le frontiere devono essere invisibili.