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Anche in Lombardia, anche in Brianza amministratori e imprenditori a contatto con la malavita organizzata. Lo hanno ricordato Walter Mapelli e Nando Dalla Chiesa

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’è ma non si vede. O forse sì. La ‘ndrangheta in Brianza inizia a fare paura. La presenza dell’organizzazione calabrese nel territorio di Milano e a nord del capoluogo non comincia ieri. È dagli anni ’70 che i clan si sono insediati su un territorio a torto ritenuto immune da fenomeni di tipo mafioso. Ma negli ultimi anni qualcosa è cambiato. Le cosche danno meno nell’occhio, ma fanno male, tanto, e forse più di prima. Dalle attività tipiche della criminalità come sequestri, estorsioni e usura si è passati a un livello più alto, quello delle infiltrazioni nella pubblica amministrazione. Se ne è parlato al convegno “Le mani sulla città” organizzato dalla circoscrizione 3 di Monza. Presenti il pubblico ministero della Procura di Monza Walter Mapelli e Nando Dalla Chiesa, ex- senatore e oggi professore di Sociologia della criminalità organizzata all’Università degli Studi di Milano.

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Walter Mapelli, Giuseppe Chiorazzi e Nando Dalla Chiesa in Circoscrizione 3 a Monza. (Foto di Manuela Montalbano)

 

Mapelli ha tracciato un’analisi del fenomeno ‘ndranghetistico in Brianza. “Ogni mafia è un anti-stato, che dello stato ricalca in un certo senso la struttura: c’è un governo che prende le decisioni, una popolazione di affiliati, e un territorio che da essi è controllato. Nel caso della ‘ndrangheta si tratta, però, di un’organizzazione familistica, policentrica e federativa, più difficile da combattere delle mafie per così dire “canoniche” per via dell’assenza di un vero centro decisionale”. Non esiste infatti in Calabria un organismo paragonabile alla commissione palermitana che regge le sorti di Cosa Nostra.

L’insediamento delle ‘ndrine nella provincia è avvenuto gradualmente, secondo un percorso che si può suddividere in tre fasi. “La prima, di penetrazione, è durata fino al 1985. In questa fase l’attività principale erano i sequestri di persona, gestiti ancora dal meridione, e in misura minore il traffico di droga e lo sfruttamento della prostituzione. I criminali calabresi sono arrivati a nord grazie al soggiorno obbligato disposto dalle autorità giudiziarie e qui hanno messo radici. Il soggiorno obbligato fu un’intuizione felice, che coglieva il legame tra crimine organizzato e territorio, ma che forse era più adeguata a combattere la mafia dell’800 che quella dei giorni nostri. Verso la fine degli anni ’60 nelle città cominciano a crearsi interi quartieri di immigrati calabresi. I flussi intensi di lavoratori rendono difficile identificare criminali tra i tanti cittadini onesti che arrivano alla ricerca di un’occupazione. Nel 1985, anno del sequestro Villa, comincia la seconda fase, quella del radicamento. Il business si sposta sempre più dai sequestri di persona al traffico di droga, soprattutto cocaina. Cominciano le truffe e le estorsioni”.

Siamo sempre negli anni del soggiorno obbligato, quando i boss in esilio, dopo un periodo iniziale di smarrimento, mettono radici e trasferiscono qui la propria corte. Su tutti spicca su tutti il ruolo di Natale Iamonte,  la cui residenza coatta era a Desio, e che ora si trova in un supercarcere in regime di 41 bis, condannato  assieme ai figli. Di sequestro in sequestro si arriva alla metà degli anni Novanta, quando in Brianza scoppia una guerra per il controllo del territorio. Nel Vimercatese e nel Meratese, epicentro dello scontro tra bande, si viaggia alla media di un morto a settimana per ragioni legate al controllo del traffico di droga. Una faida che è stata stroncata dalla DDA di Milano grazie alla collaborazione di alcuni pentiti. Ma che si è trascinata dietro a mo’ di strascico quello di aver obbligato la ‘ndrangheta a lavorare sottotraccia. “Al tempo, comunque - dice Mapelli - c’era ancora una frattura netta tra imprenditoria e ‘ndrangheta. Ancora non si parlava di infiltrazioni nella Pubblica Amministrazione.

Ma i tempi cambiano e la criminalità si adegua. Negli anni ’90, Cosa Nostra è in declino, duramente colpita dalla reazione dello Stato. I clan calabresi, che hanno sempre mantenuto un profilo più basso, hanno saputo sfruttare il declino della potenza siciliana per inserirsi nelle attività che prima facevano capo a loro. Col nuovo millennio si apre la terza fase, quella in cui ci troviamo a tutt’oggi e che può definirsi della diffusione. Prima, ci si divideva il territorio. Adesso, i calabresi sono rimasti da soli. “È in questa fase che gli imprenditori cominciano a legarsi ai clan. Le attività principali diventano a questo punto l’usura, con la famiglia Mancuso di Monza in primo piano, il traffico illecito di rifiuti a Desio, la bancarotta, come nel caso del Magic Movie di Muggiò, e il riciclaggio di denaro sporco. Allo stato attuale, si può dire che il tessuto imprenditoriale è stato intaccato. In particolare, è il caso del Magic Movie di Muggiò a dimostrare la commistione tra imprenditori e clan, oltre ai rapporti tra calabresi ed esponenti della criminalità cinese”. Ma c’è di più. “La ‘ndrangheta, che prima faceva riferimento ai paesi del Sud Italia, sta assumendo un profilo decisionale autonomo, che prima al Nord non aveva. Adesso gli affari vengono gestiti direttamente da qui”.

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Un quadro che richiama alla mente scene già viste. Si tratta, purtroppo, di immagini nere che si credeva appartenessero a realtà lontane. Socialmente, culturalmente, ed economicamente. “E invece a Desio negli anni scorsi - accusa Nando Dalla Chiesa – si sono verificate le stesse scene di Gomorra. Nel film di Garrone, camion guidati da bambini scaricavano rifiuti tossici in cave private. Qui mancano i bambini. Ma ci sono stati 850 camion che hanno riversato nel terreno chissà quali veleni”.

“La Lombardia non ha capito che il problema c’è, ed è minaccioso. C’è una debolezza diffusa delle istituzioni e dell’opinione pubblica. Di ‘ndrangheta si parla da anni, ma per la società civile è ancora un fatto lontano, che poco o nulla ha a che fare con la propria esperienza di vita, con la quotidianità. Ma si tratta di un errore di prospettiva grave che, invece di combatterla, consente all’organizzazione di rinforzarsi. Ogni volta che si ritiene di poter convivere con la ‘ndrangheta, si pagano prezzi molto alti, è bene saperlo. La ‘ndrangheta cresce con la forza dei soldi e della disattenzione altrui”. Ed è diventata un’organizzazione internazionale con ramificazioni in molti paesi e interessi un po’ ovunque. Soprattutto dove ci sono i soldi. Anche qui da noi. Anno dopo anno, appalto dopo appalto, la Lombardia ha scalato la speciale classifica riservata alle aziende confiscate alla mafia, guadagnandosi il terzo posto dietro a Sicilia e Campania (fonte: Agenzia del Demanio, dati al 31/10/2008). E già si parla di mani mafiose sugli appalti per i lavori preliminari all’Expo 2015. Un affare da centinaia di miliardi. Dalla Chiesa avverte “Sono dappertutto. Hanno uomini nella pubblica amministrazione e nei consigli di amministrazione delle aziende, gente che ha studiato e che cura i loro interessi. A cercare un paragone, il loro modo di agire ricorda quello di  una serie di agili scialuppe piuttosto che di una corazzata”.

Il vantaggio della ‘ndrangheta? Semplice. La mancanza di attenzione da parte dei media e di una reazione forte della società civile. Quella che c’è stata contro la mafia dopo gli omicidi e le stragi di Capaci e via D’Amelio, e in misura minore contro la camorra. Di ‘ndrangheta come organizzazione  a se stante si incomincia invece a parlare solo nel 1961, e a quella data anche gli esperti più quotati facevano fatica a riconoscerne le peculiarità rispetto alla mafia siciliana. Si sbagliavano. Dalla Chiesa attribuisce un’importanza decisiva all’humus sociale. “ In Calabria la città più grande è Reggio, che conta circa 180.000 bitanti. Troppo pochi perché possa formarsi un’opinione pubblica vera, che per cominciare a svilupparsi ha bisogno di città tra i 400 e gli 800 mila abitanti. La più grande manifestazione di dissenso è stata quella dei ragazzi di Locri, che hanno lottato al grido di Ammazzateci tutti. Ma erano poche decine. E la verità è che la ‘ndrangheta non ha avversari, nemmeno in Calabria”. Lo stesso concetto l’ex parlamentare lo sviluppanel suo libro “Delitto imperfetto: il generale, la mafia e la società italiana” del 2007. “Sarebbe scientificamente assai grave – afferma  nel saggio - se un giorno dovessimo scrivere la storia della mafia come certa sinistra ha scritto la storia del fascismo, di un pugno di criminali, cioè, che tiene in soggezione un popolo che non vorrebbe sottomettersi ma vi è costretto dal timore o da un passato di rassegnazione”. Un’accusa precisa alla società che rappresenta il terreno dove il fenomeno criminoso cresce.Ogni mafia è un sistema criminale che ha rapporti stretti con la società non criminale, e che di essa beneficia” spiega a Vorrei. “È una rete fitta, che chiama in causa tante responsabilità. Non si è mai visto altrove quello che è capitato in certi momenti da noi, un pugno di criminali che mette in ginocchio quella che in definitiva è una delle più grandi potenze economiche del mondo”.

Significa che le cosche si giovano di complicità locali. “In Lombardia si rifiutano di capirlo. Reti di appoggio ce ne sono, e funzionano, anche in Brianza. Per entrare in urbanistica o nell’edilizia bisogna necessariamente interloquire con la politica. Non se ne può fare a meno. Questo significa che i politici sono coinvolti. C’è bisogno di una reazione forte da parte degli amministratori”.

Sembra semplice. Qualcuno, non uno solo, in sala si alza. Dice di lavorare nell’edilizia. Di aver visto, di sapere cose che non ha avuto il coraggio di raccontare. Per paura. Emerge un quadro a tinte fosche, nuovo e doppiamente inquietante. Forse il fenomeno ‘ndrangheta non è così nascosto come sembra. Forse, è solo un’impressione, la voce non è arrivata ai media, ma il vicino che esce tutti i giorni col camion per andare in cantiere ha ben presente di che si tratta, cosa si può e cosa non si può fare, a chi non si può proprio pestare i piedi. “È ora di finirla con le aste al ribasso per gli appalti” dice qualcuno. “Vincono quelli che non rispettano le regole, e appaltano i lavori a gente equivoca”. Magari gente condannata per rapina a mano armata, precisa il giudice Mapelli.

Altri chiedono cosa si può fare. “Bisogna andare avanti sulla strada delle commissioni antimafia, che a volte la politica decide, e che poi è la stessa politica ad abolire, com'è accaduto a Milano. In queste sedi si arriva spesso a sapere cose molto importanti prima dei magistrati, e spesso è qui che si convince la gente a denunciare. Chiaramente, questo a qualcuno non conviene. In secondo luogo, bisogna rendere pubblici e accessibili i bilanci delle società privatizzate che prendono soldi pubblici. Anni fa i vertici dell’Amsa si rifiutarono di dare in visione i documenti al Consiglio Comunale di Milano. Si tratta di episodi inaccettabili. È ora, poi, di smontare i falsi miti, come quello che nella ‘ndrangheta non ci siano pentiti, e che per questo sia imbattibile. I pentiti ci sono. Infine, i cittadini devono votare consiglieri comunali in grado di battersi. Le classiche “brave persone”, quelle che quando vengono contattate dai clan chiudono un occhio, magari anche due, non servono a niente”.

Come non serve cadere nella retorica. “È vero. Ci sono politici giovani e onesti, che vogliono denunciare. Bisogna dire loro di stare attenti. Non sono abituati a battersi, non hanno ancora gli strumenti per farlo. E allora bisogna formarli, dar loro una mano. Spiegargli che questi sparano davvero. Anche qui, anche al Nord”.

 

Intervista a Walter Mapelli

«La ‘Nrangheta in Brianza è arrivata nella Pubblica Ammninistrazione»

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ato a Limbiate (MI) nel 1958, sposato con due figli. Esperto di reati tributari, da quando è in servizio presso la Procura della Repubblica del Tribunale di Monza, conduce alcune delle inchieste più delicate degli ultimi anni, alcune di rilevanza mediatica nazionale (tangenti,frodi intracomunitarie,usura,favoritismi nelle scuole di specialità di medicina, vari omicidi,alcuni di mafia) e internazionali (truffa del lotto, riciclaggio finanziario,traffico di armi dall'Est europa all'Africa in collegamento con la commissione del Consiglio di Sicurezza dell'ONU).

Dottor Mapelli, abbiamo parlato di imprenditoria, appalti, traffico di rifiuti. Tutte attività illecite. C’è pero un’altra domanda che scotta. A Monza si paga il pizzo?
In città no. Forse Nei comuni dell’hinterland, anche se non ci sono evidenze di un sistematico ricorso al pizzo. C’è un’attività di estorsione non generalizzata e non sistematica, perché questo comporterebbe il controllo del territorio da parte della ‘ndrangheta, che al momento non c’è. Certo, le organizzazioni criminali convivono con la realtà imprenditoriale locale o sono diventate esse stesse imprenditrici – ed ecco il fenomeno della ‘ndrangheta imprenditrice . Il Magic Movie, la discarica di Desio, il processo per usura alla famiglia Mancuso, l’assassinio di Rocco Cristello a Verano Brianza ne sono esempi.

Quali sono le zone grigie del territorio, quelle dove la presenza è più forte?
Direi la zona di Desio. Fino a qualche anno fa, vi si trovava in soggiorno obbligato Natale Iamonte, attualmente in regime di 41 bis in un supercarcere assieme a tutti i figli. Iamonte era il capo indiscusso dell’omonima famiglia. A Desio all’inizio degli anni Novanta hanno bruciato l’ufficio tecnico comunale. Un segnale, naturalmente. A me non risulta che il responsabile dell’ufficio sia stato portato agli onori della cronaca come vittima della ‘ndrangheta. Mi pare anzi che in questi anni abbia fatto carriera.

E le zone d’ombra nella pubblica amministrazione?
Nella P. A. ci si infiltra in due modi: o corrompi il tecnico, che è quindi a libro paga per agevolarti nelle procedure amministrative, nel rilascio di concessioni, nelle varianti di piano regolatore – l’edilizia “contrattata”, come si chiama adesso - oppure hai un sodale, un referente dell’organizzazione che lavora lì in Comune .E lavora lì perché è lì che è stato assunto. Quindi, tutto sommato, è a disposizione.

A che livello sono le infiltrazioni della ‘ndrangheta nella PA in Brianza?
Non sappiamo quanti loro uomini ci siano nei vari comuni. Certo è che l’unica giustificazione davanti a fenomeni di evidente sperequazione edilizia è che a qualcuno si sia dato,e a qualcun altro no. Ma il criminale perfetto non lo acchiappi mai. Lo acchiappi solo quando commette qualche errore. Più cresce il livello di sicurezza, di presunzione, più aumentano le probabilità di prenderlo. Il problema diventa che quando lo si arresta, in materia di urbanistica, tutti i danni che poteva fare li ha già fatti. Gli si può applicare una pena,certo… Ma bisognerebbe impedirgli di entrare nella pubblica amministrazione prima. Da parte mia, io più che metterli in galera non posso fare.

 

20091028-gomorra-aLa foto usata in copertina è tratta dal film "Gomorra" di Matteo Garrone. È evidentemente una forzatura ma neppure poi tanto perchè le scene viste nella pellicola tratta dal libro di Roberto Saviano potrebbero davvero vedersi nella quotidianità della "placida" Brianza se non si pone un freno fermo e deciso al dilagare della malavita organizzata. Un contrasto che deve partire anche e soprattutto dalla società, dalle persone comuni.

Gli autori di Vorrei
Antonio Piemontese
Antonio Piemontese